Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9856 del 14/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 14/04/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 14/04/2021), n.9856

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27578/2019 R.G., proposto da:

la “IMMOBILIARE PALU’ S.r.l.” (già “IMMOBILIARE PALU’ S.p.a.”), con

sede in Genova, in persona dell’amministratore unico pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Filippo da Passano, con studio in

Genova, elettivamente domiciliato presso la “STUDIO GREZ &

ASSOCIATI S.r.l.”, con sede in Roma, giusta procura in allegato al

ricorso introduttivo del presente procedimento;

– ricorrente –

contro

il Comune di Genova, in persona del Direttore Generale pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avv. Luca De Paoli, con studio in

Genova, ove elettivamente domiciliato, giusta procura in calce al

controricorso di costituzione nel presente procedimento;

– controricorrente –

Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

della Liguria il 12 febbraio 2019 n. 204/01/2019, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata (mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. 28

ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 9, convertito nella L. 18

dicembre 2020, n. 176, con le modalità stabilite dal decreto reso

dal Direttore Generale dei Servizi Informativi ed Automatizzati del

Ministero della Giustizia il 2 novembre 2020) del 28 gennaio 2021

dal Dott. Lo Sardo Giuseppe.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La “IMMOBILIARE PALU’ S.r.l.” (già “IMMOBILIARE PALU’ S.p.a.”) ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Liguria il 12 febbraio 2019 n. 204/01/2019, non notificata, la quale, in controversia su impugnazione di avviso di accertamento per l’I.C.I. relativa all’anno 2011, ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti del Comune di Genova avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Genova l’11 aprile 2017 n. 628/06/2017, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di prime cure sul presupposto che l’agevolazione prevista per i proprietari che concedono in locazione gli immobili a titolo di abitazione principale ben poteva essere subordinata dal regolamento comunale al requisito aggiuntivo della residenza del conduttore nell’immobile locato. Il Comune di Genova si è costituito con controricorso. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta formulata dal relatore è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. In vista dell’odierna adunanza la ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione della L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 2, comma 4, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente disconosciuto l’agevolazione prevista per le locazioni a titolo di “abitazione principale”, ritenendo la legittimità del regolamento comunale.

2. Con il secondo motivo, si denuncia nullità della sentenza o del procedimento per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver deciso sull’appello relativo alle sanzioni con motivazione inesistente o apparente circa le obiettive condizioni di incertezza della L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 2, comma 4.

Ritenuto che:

1. Il primo motivo è infondato.

1.1 In base alla L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 2, comma 4, al fine di favorire la realizzazione di accordi in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative per la definizione di contratti-tipo, i Comuni possono deliberare, nel rispetto dell’equilibrio di bilancio, aliquote I.C.I. più favorevoli per i proprietari che concedono in locazione a titolo di abitazione principale immobili alle condizioni definite dagli accordi stessi, derogando al limite minimo stabilito, ai fini della determinazione delle aliquote, dalla normativa vigente al momento in cui le deliberazioni stesse sono assunte.

1.2 Secondo l’esegesi di questa Corte (Cass., Sez. 5, 15 marzo 2019, n. 7414), il “diritto agevolativo” non è attribuito direttamente dalla legge. La L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 2, comma 4, prevede che i Comuni possano stabilire aliquote I.C.I. in misura inferiore al minimo legale per chi concede gli immobili in locazione a canone agevolato, ma non istituisce un diritto generalizzato ad ottenere tale riduzione di imposta per i locatori. La scelta se stabilire o meno le aliquote inferiori al minimo legale spetta ai Comuni, che devono operarla nel rispetto dell’equilibrio di bilancio. In definitiva è un beneficio che il Comune può deliberare come può non deliberare, ed in tale ultimo caso il proprietario locatore pagherebbe secondo le aliquote ordinarie. Rimessa al Comune la scelta sull’an del beneficio, non può essergli negato il potere di regolare il quomodo e la facoltà di stabilire i limiti temporali per la fruizione del beneficio stesso (Cass., Sez. 5, 15 marzo 2019, n. 7414).

1.3 Pertanto, il giudice di appello ha correttamente valutato la legittimità del regolamento comunale, in coerenza con la finalità dell’agevolazione, nella parte in cui esso subordina il beneficio fiscale alla circostanza che il conduttore stabilisca la residenza nell’immobile locato e utilizzi lo stesso come abitazione principale.

Nè l’introduzione del predetto requisito, che è perfettamente congruente con la ratio dell’agevolazione, consente di ravvisare una eventuale (peraltro, non dedotta) violazione dei limiti posti dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 52, comma 1, sulla potestà regolamentare dei Comuni in materia di entrate, atteso che non si individuano e definiscono fattispecie imponibili (al contrario, si individuano quelle soggette ad un parziale sgravio da una imposta stabilita ex lege) nè i soggetti passivi (scelti dal legislatore), nè le aliquote massime (al contrario si fissano le minime) (Cass., Sez. 5, 15 marzo 2019, n. 7414).

2. Anche il secondo motivo è infondato.

2.1 Secondo la ricorrente, il giudice di appello si era limitato a disattendere la censura relativa all’incertezza interpretativa della norma sanzionatoria con la formula: “considerata la mancanza di obiettive condizioni di incertezza interpretativa, conferma la debenza delle sanzioni D.Lgs. n. 471 del 1997 ex art. 13, nella misura del 30% di ogni importo non versato”. A suo dire, tale argomentazione integrerebbe un’assoluta carenza di motivazione.

2.2 A tale riguardo, giova richiamare l’insegnamento di questa Corte (Cass., Sez. Un., 2 febbraio 2017, n. 2731), secondo cui: “La mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonchè dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2, ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un “error in procedendo”, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell’implicito rigetto della domanda perchè erroneamente ritenuta assorbita, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto”.

Fatta questa doverosa premessa, nella specie, la Commissione Tributaria Regionale è pervenuta, sia pure implicitamente, ma in rigorosa coerenza con le considerazioni espresse sulle finalità della agevolazione controversa, all’esatta soluzione della questione di diritto.

Difatti, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, la Corte ha già avuto modo di affermare il principio di diritto in virtù del quale l’incertezza normativa oggettiva che – ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2, e della L. 2 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3 – costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, richiede una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento di interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (tra le altre: Cass., Sez. 5, 28 novembre 2007, n. 24670; Cass., Sez. 5, 12 gennaio 2012, n. 264; Cass., Sez. 5, 16 febbraio 2012, n. 2192; Cass., Sez. 5, 26 ottobre 2012, n. 18434; Cass., Sez. 5, 11 febbraio 2013, n. 3245; Cass., Sez. 5, 22 febbraio 2013, n. 4522). In altre parole, come è stato detto, “l’incertezza normativa oggettiva tributaria”, che consente di non applicare le sanzioni, “è la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertala dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito”, quindi in “senso oggettivo” (con conseguente esclusione di “qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive individuali sia delle condizioni soggettive categoriali” atteso che “l’incertezza normativa, in quanto esiste in sè, opera nei confronti di tutti”): “l’incertezza normativa oggettiva”, pertanto, “non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria” (Cass., Sez. 5, 11 settembre 2009, n. 19638). Inoltre, trattandosi di un’esimente prevista dalla legge a favore del contribuente, l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione, qualora effettivamente esistenti, grava sul contribuente secondo le regole generali in materia di onere della prova (art. 2697 c.c.) (Cass., Sez. 5, 7 dicembre 2017, n. 29368).

Nella fattispecie, non è ravvisabile una simile incertezza normativa oggettiva e, inoltre, la ricorrente nemmeno menziona specifici e rilevanti contrasti giurisprudenziali su questo specifico aspetto del thema decidendum.

3. Stante la infondatezza dei motivi dedotti, il ricorso deve essere rigettato.

4. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore del controricorrente, che liquida nella somma complessiva di Euro 2.300,00 per compensi, oltre spese forfettarie ed altri accessori di legge; dà atto dell’obbligo, a carico della ricorrente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021

 

 

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