Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9851 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. III, 26/05/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 26/05/2020), n.9851

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7392-2018 proposto da:

F.S., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

SERENA ANCILLOTTI;

– ricorrente –

contro

M.L., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati

SILVIA POLLI, ALESSANDRO FIUMALBI;

– controricorrente –

e contro

V.M., V.D.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2932/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 22/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/11/2019 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

nell’anno 1990 V.R. aveva intestato a Federico Silvana, da cui aveva avuto due figli, D. e M., la proprietà di un terreno in provincia di Firenze provvedendo a corrispondere il relativo prezzo. Nel (OMISSIS) aveva incaricato una impresa edile di eseguire alcuni interventi di bonifica e miglioramento del terreno per il costo complessivo di Euro 12.000 circa, corrisposto all’impresa;

con atto di citazione del 13 febbraio 2007, V.R. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Firenze, la ex convivente, F.S. per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 12.000. Si costituiva la convenuta deducendo, preliminarmente, l’intervenuto decesso dell’attore e, nel merito, che il terreno e le relative opere di miglioria erano state eseguite a titolo di liberalità indiretta, nell’ambito di una convivenza more uxorio in funzione di adempimento dell’obbligazione di mantenimento della compagna e dei figli, M. e D.. Eccepiva, comunque, la prescrizione dei diritti vantati dall’attore;

con sentenza del 4 febbraio 2009 il Tribunale di Firenze rigettava la domanda, con condanna dell’attore al pagamento delle spese, rilevando che la somma era stata attribuita alla convenuta a titolo di parziale contribuzione al mantenimento della stessa e della prole, come riconosciuto dal legale dell’attore nell’atto di appello avverso la sentenza penale di condanna di primo grado per omissione della contribuzione alimentare (“l’imputato non lasciò sprovveduta la ex compagna: le aveva infatti intestato un terreno suscettibile di utilizzazione commerciale presso (OMISSIS), acquistato con i propri mezzi… ed incrementato con interventi urbanistici”);

con atto di citazione del 18 marzo 2010, M.L. evocava in giudizio, davanti alla Corte d’Appello di Firenze, F.S. impugnando la sentenza emessa dal Tribunale di Firenze. Si costituiva F.S., spiegando appello incidentale, per sentir dichiarare il difetto di legittimazione attiva della appellante, attesa la mancanza di prova della qualità di erede;

insisteva per il rigetto dell’appello e, comunque, eccepiva la prescrizione del diritto fatto valere;

all’udienza del 10 novembre 2006 la Corte d’Appello, ritenuta infondata l’eccezione di difetto di legittimazione, ordinava l’integrazione il contraddittorio nei confronti degli altri eredi del V., in particolare, i figli D. e M.;

in data 12 luglio 2017 si costituiva la Federico con nuovo difensore producendo la dichiarazione di rinunzia di M. e D. rispetto ad ogni ragione di credito verso la propria madre;

la Corte d’Appello di Firenze con sentenza del 22 dicembre 2017 in riforma della sentenza di primo grado condannava F.S. al pagamento della somma di Euro 12.046,46, oltre interessi legali e respingeva l’appello incidentale, con condanna al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione F.S. affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso M.L..

Diritto

CONSIDERATO

che:

preliminarmente va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di procura speciale sollevata dalla controricorrente, poichè, contrariamente a quanto indicato nel ricorso, non si tratterebbe di una procura in calce, ma di un atto separato, conferito in data precedente a quella di redazione del ricorso. Inoltre, la procura non conterrebbe il riferimento a tutte le parti del giudizio, omettendo di richiamare la posizione dei figli della stessa ricorrente;

l’eccezione è infondata poichè non costituisce profilo invalidante la circostanza di avere erroneamente definito da procura speciale come conferita in calce e non con atto separato e ciò in quanto la stessa risulta comunque rilasciata in data precedente (21 febbraio 2018), rispetto a quella del ricorso (26 febbraio 2018) e contiene elementi sufficienti per individuare il procedimento in esame ed il giudizio di legittimità;

con il primo motivo si deduce, ai sensi art. 360 c.p.c., n. 3, la falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. in relazione al valore probatorio dell’atto di appello penale di V.R.. In particolare, la Corte dopo avere dedotto che gli atti prodotti in altri procedimenti, sottoscritti dal solo difensore, non assumono efficacia di confessione, non avrebbe esaminato quegli stessi atti, quali elementi indiziari e presuntivi, con ciò violando le norme in tema di prova per presunzioni;

il motivo è inammissibile perchè solo apparentemente si deduce la violazione dei principi in tema di prova per presunzioni, mentre in realtà si prospetta una ricostruzione alternativa e più appagante nella quale si chiede alla Corte di legittimità di attribuire un valore indiziario e presuntivo alla prova atipica (tale dovendosi definire quella rinvenibile in un altro procedimento penale), senza neppure specificare che tale elemento, da solo, avrebbe le caratteristiche di gravità precisione e concordanza;

come rilevato in motivazione da Cass. Sez. Un n. 1785 del 24/01/2018, “la critica si risolve in realtà in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti, e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio e si pone su un terreno che non è quello dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1), ma è quello che sollecita un controllo sulla motivazione del giudice relativa alla ricostruzione della quaestio facti. Terreno che, come le Sezioni Unite, (Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno avuto modo di precisare, vigente il nuovo n. 5, art. 360 c.p.c., è percorribile solo qualora si denunci l’omesso esame da parte del giudice di merito di un fatto principale o secondario, che avrebbe avuto carattere decisivo per una diversa individuazione del modo di essere della detta quaestio ai fini della decisione, occorrendo, peraltro, che tale fatto venga indicato in modo chiaro e non potendo individuarsi solo nell’omessa valutazione di una risultanza istruttoria;

pertanto, la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, suppone allora un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza. Di contro non è deducibile quale falsa applicazione della norma invocata in ricorso la censura che si concreta o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo (sicchè il giudice di merito è partito in definitiva da un presupposto fattuale erroneo nell’applicare il ragionamento presuntivo), o (come nel caso di specie) nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perchè quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729, comma 1;

in questi casi la critica si risolve in realtà in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti;

ebbene, l’illustrazione del motivo non prospetta la falsa applicazione dell’art. 2729, comma 1 nei termini su indicati, ma si risolve nella prospettazione di pretese inferenze probabilistiche diverse sulla base della evocazione di emergenze istruttorie e talora nella prospettazione di una diversa ricostruzione delle quaestiones facti ripercorse in relazione agli oggetti dei vari documenti dell’elenco iniziale sopra ricordato. Ne segue che il motivo non presenta le caratteristiche della denuncia di un vizio di falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, e nemmeno, pur riconvertito alla stregua di Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013, quelle di un motivo ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5;

con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la contraddittorietà, la carenza e il difetto di motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione alla natura di liberalità indiretta delle opere eseguite. La decisione impugnata non chiarisce per quale motivo le opere di manutenzione eseguite sul terreno già oggetto di liberalità indiretta, avrebbero avuto un titolo diverso, cioè quello di finanziamento o prestito, rispetto all’intestazione del terreno;

in secondo luogo la Corte territoriale avrebbe dovuto porre in relazione una serie di circostanze indiziarie: il fatto che rispetto alle dichiarazioni rese dal difensore in sede penale non vi sarebbe stato alcun comportamento differente da parte di V.; ed anzi, rispetto alla linea del difensore, la richiesta di restituzione delle somme si atteggerebbe quale istanza strumentale; al tempo delle migliorie le parti erano legate da un rapporto di convivenza e tali piccole elargizioni rientravano, secondo un criterio di normalità, nei tipici atti di liberalità funzionali agli obblighi di assistenza; non vi era stato alcun accordo per la restituzione di tali somme, che comunque si riferivano ad un terreno che era già stato oggetto di donazione indiretta;

in terzo luogo la Corte avrebbe ribaltato la decisione di primo grado evidenziando che il Tribunale “avrebbe dovuto valutare altri e diversi elementi probatori da porre a base della propria decisione”; ma il giudice di appello avrebbe commesso lo stesso errore, omettendo di considerare gli elementi sopra indicati;

il motivo è inammissibile. Con riferimento al primo profilo (omessa considerazione del titolo in base al quale le migliorie sarebbero state eseguite da V.), la censura è inammissibile per una pluralità di ragioni: innanzitutto è dedotta in violazione l’art. 366 c.p.c., n. 6 poichè la parte non allega di avere sottoposto la questione del collegamento negoziale tra donazione indiretta del terreno e migliorie, ai giudici di merito;

infatti, non compete alla Corte d’Appello spiegare che l’atto in questione non costituisce donazione, ma è onere della parte alle gare la natura di atto di liberalità del pagamento;

in secondo luogo la questione non è deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, poichè non censura l’omessa considerazione di un fatto storico, ma sostiene, sostanzialmente, che la Corte avrebbe dovuto argomentare riguardo alla natura giuridica di quelle migliorie, una volta rigettata la tesi della natura di liberalità. Quindi, indipendentemente dalla fondatezza o meno della tesi della ricorrente, si tratterebbe di una questione di diritto, che non sarebbe stata affrontata e ciò esula dall’art. 360 c.p.c., n. 5 Infine non ricorre una omessa considerazione, poichè la Corte territoriale esamina espressamente la tematica, rilevando che non esiste un criterio di simmetria tra la liberalità della acquisizione del terreno e il pagamento delle somme per l’esecuzione di opere di miglioria;

anche per il secondo tema affrontato (elencazione di una serie di elementi risultanti dagli atti di causa che la Corte d’Appello avrebbe ben potuto valutare congiuntamente) ricorrono plurimi profili di inammissibilità: innanzitutto, le prime quattro questioni illustrate, sono dedotte in violazione l’art. 366 c.p.c., n. 6, poichè non è indicato, trascritto o allegato il momento processuale e l’atto dal quale emergerebbe la condotta del V., (che si assume) in linea con le dichiarazioni rese in sede penale dal difensore, l’esistenza di un contrasto successivo, l’individuazione dell’inizio e della fine del rapporto di convivenza e l’esistenza del legame familiare alla data delle migliorie. In secondo luogo, per quanto si è già detto con riferimento al primo motivo, con la censura si suggerisce al giudice di merito (senza dedurre di avere sottoposto la questione nei precedenti gradi di giudizio) di valutare tali elementi quali indizi, ai fini di una prova presuntiva ai sensi dell’art. 2729 c.c. (disposizione, peraltro, non invocata nel secondo motivo). Vanno espresse in questa sede le considerazioni già oggetto del primo motivo, dovendosi rilevare, peraltro, che la ricorrente neppure qualifica tali elementi come gravi, precisi e concordanti e neppure richiama le nozione giuridica di tali elementi. Infine, la richiesta alla Corte territoriale “anch’essa di compiere la necessaria complessiva valutazione degli elementi di fatto risultanti dal giudizio” non può essere oggetto di ricorso per cassazione, poichè si traduce in una inammissibile richiesta, ai giudici di legittimità, di rivalutare l’intero compendio probatorio;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Suprema di Cassazione, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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