Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9843 del 24/04/2010

Cassazione civile sez. II, 24/04/2010, (ud. 30/11/2009, dep. 24/04/2010), n.9843

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2099/2007 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DARDANELLI

13, presso lo studio dell’avvocato LIUZZI Antonio, che lo rappresenta

e difende unitamente agli avvocati CASTELLETTI BRUNO e GUARNATI

MARIO, giusta procura alle liti a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI VERONA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3232/2005 del TRIBUNALE di VERONA del

16/11/05, depositata il 24/11/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/11/2009 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. FEDERICO SORRENTINO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il tribunale di Verona con sentenza del 24 novembre 2005 respingeva l’opposizione proposta da S.F. avverso la Provincia di Verona per l’annullamento dell’ordinanza ingiunzione n. 218/03, con la quale era stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 877,97 per violazione della L. n. 157 del 1992, art. 31 (attività venatoria non autorizzata, esercitata in forma vagante). L’opponente ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 5 gennaio 2007.

L’amministrazione è rimasta intimata.

Avviata la trattazione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio, il procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso perchè manifestamente infondato.

Come ha rilevato il procuratore generale, i primi due motivi di ricorso involgono questioni di fatto, il cui apprezzamento è riservato al giudice merito, restando incensurabile se vi è corretta ed esauriente motivazione. Il primo motivo, lamenta violazione della L. n. 157 del 1992, art. 12, e insufficiente motivazione; il secondo errata applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23 e vizio di motivazione. Si sostiene che il tribunale abbia ritenuto sussistente l’esercizio della caccia per il solo fatto che il ricorrente era stato visto “vagare e soffermarsi” e che (secondo motivo) abbia ritenuto sufficiente la generica testimonianza delle due guardie venatorie, senza considerare il contrasto tra verbale di accertamento e verbale di sequestro, misura limitata al fucile e non estesa alle munizioni asseritamene usate per caricarlo. A fronte di una sentenza che ha scrupolosamente riferito l’esito delle deposizioni testimoniali acquisite, la censura si limita a contrapporre una verità contraria e a sollevare dubbi irritualmente formulati.

Infatti nel richiedere una nuova valutazione di merito, la doglianza sarebbe ammissibile solo nei limiti del controllo della logicità e congruità della motivazione. A tal fine il ricorrente che deduce l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di atti processuali o documentali ha l’onere di indicare – mediante l’integrale trascrizione di detti atti nel ricorso – la risultanza che egli asserisce essere decisiva e non valutata o insufficientemente considerata, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, senza necessità di indagini integrative(Cass 11886/06; 8960/06; 7610/06). Nel caso in esame il ricorso omette la trascrizione delle risultanze che dovrebbero contraddire la valutazione del tribunale, restando inidoneo a contrastare la motivazione coerente e appropriata data dalla sentenza impugnata.

Il terzo motivo lamenta violazione della L. n. 157, art. 31, lett. D e lett. I e art. 12, comma 5, assumendo che il tribunale avrebbe ritenuto sussistere tre infrazioni, che invece concorrerebbero a formare l’unica grave infrazione di cui all’art. 31. Anche questa doglianza è priva di fondamento. Le tre violazioni consistono (cfr.

pag. 2 del ricorso) in: A) esercizio della caccia in ATC senza esserne socio; B) mancata annotazione dell’uscita sul tesserino di caccia; C) esercizio della caccia in forma diversa da quella prescelta.

Come hanno rilevato la sentenza impugnata e il P.G., si tratta intuitivamente di violazioni diverse tra loro, che non si pongono in rapporto di specialità, essendo previste da norme diverse a tutela di esigenze diverse. Trattasi di regole prescritte proprio al fine di meglio disciplinare e regolamentare l’esercizio dell’attività venatoria (cfr. Cass. 218/06).

Precisamente l’art. 12, comma 5 stabilisce che “Fatto salvo l’esercizio venatorio con l’arco o con il falco, l’esercizio venatorio stesso può essere praticato in via esclusiva in una delle seguenti forme: a) vagante in zona Alpi; b) da appostamento fisso; c) nell’insieme delle altre forme di attività venatoria consentite dalla presente legge e praticate nel rimanente territorio destinato all’attività venatoria programmatà Per il ricorrente, avendo egli scelto di cacciare in zona Alpi, (opzione a) la contestazione di aver cacciato negli ATC (terza opzione), esaurirebbe la condotta criminosa. Così non è, atteso che detto comportamento è punito dall’art. 31, lett. a) che prevede una sanzione amministrativa per chi esercita la caccia in una forma diversa da quella prescelta ai sensi dell’art. 12, comma 5. Tale condotta è diversa da quella dell’esercizio della caccia (art. 31, lett. D) senza autorizzazione all’interno delle aziende faunistico-venatorie, nei centri pubblici o privati di riproduzione e negli ambiti e comprensori destinati alla caccia programmata, atteso che una norma punisce l’esercizio in forma diversa da quella prescelta e l’altra punisce la mancanza di autorizzazione. Detti comportamenti possono concorrere, ove l’autore li ponga in essere con la medesima azione, ma non concorrono necessariamente, ben potendo esservi l’uno senza ricadere nell’altro.

Evidente è poi la diversità del terzo comportamento sanzionato (art. 31, lett. i) relativo a chi non esegue le prescritte annotazioni sul tesserino regionale. Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso.

Al rigetto del ricorso non segue la pronuncia sulla refusione delle spese di lite, in mancanza di attività difensiva dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 30 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 24 aprile 2010

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