Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9838 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 26/05/2020), n.9838

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11903-2018 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI

60, presso lo studio dell’avvocato NICOLA PUTIGNANO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

EMANUELA CAPANNOLO, MANUELA MASSA, CLEMENTINA PULLI, NICOLA VALENTE,

LUIGI CALIULO;

– controricorrente

avverso la sentenza n. 2040/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 03/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. PONTERIO

CARLA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 2040 pubblicata il 3.10.17 la Corte d’appello di Bari, in accoglimento dell’appello di F.M. e in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato l’Inps al pagamento in favore del predetto dell’assegno ordinario di invalidità (L. n. 222 del 1984, art. 1), con decorrenza dall’1.7.2015;

2. la Corte territoriale, rinnovata la consulenza medico legale, ha ritenuto sussistente, a decorrere dalla data suddetta, la riduzione della capacità di lavoro e di guadagno del F. a meno di un terzo;

3. avverso tale sentenza il F. ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo, illustrato da successiva memoria, cui ha resistito l’Inps con controricorso;

4. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. con l’unico motivo di ricorso il F. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione o falsa applicazione della L. n. 222 del 1984, art. 1, in combinato disposto degli artt. 24 e 111 Cost., nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, impugnando il capo della sentenza che ha individuato il momento di insorgenza della invalidità e quindi la decorrenza della prestazione riconosciuta;

6. in particolare, ha censurato la sentenza d’appello per avere omesso di valutare la documentazione sanitaria specialistica relativa agli anni dal 2009 al 2014 (allegata al ricorso in esame), idonea a dimostrare l’esistenza di un complesso quadro patologico invalidante già in epoca anteriore al luglio 2015, dovendosi far retroagire al 2012 la condizione di “blocco funzionale a più livelli della colonna vertebrale” che il medesimo c.t.u. aveva giudicato incompatibile con la proficua attività lavorativa; ha criticato l’affermazione contenuta nella sentenza su un miglioramento delle condizioni cliniche del lavoratore in seguito all’intervento chirurgico del gennaio-febbraio 2014, in quanto frutto di un’erronea interpretazione dal parte del c.t.u. del certificato datato 12.11.2014;

7. sotto altro profilo, richiamati precedenti di questa Corte (sentenza n. 15817 del 2002) che hanno precisato come il carattere usurante dell’impegno in attività confacenti alle attitudini dell’interessato rilevi anche ai fini del giudizio sulla riduzione della capacità di lavoro richiesta per l’attribuzione dell’assegno ordinario di invalidità, e premesso come nel caso di specie il c.t.u. nominato in appello avesse confermato il carattere usurante dell’attività lavorativa di muratore-carpentiere e individuato la percentuale di invalidità negli anni dal 2009 al 2014 come pari al 50% (vicina alla soglia minima di legge), il ricorrente ha criticato la decisione impugnata per non avere correttamente valutato e motivato l’incidenza del lavoro usurante ai fini della percentuale di invalidità;

8. il motivo di ricorso, proposto promiscuamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, è inammissibile per più profili;

9. la sentenza d’appello, condividendo le conclusioni del c.t.u., ha ritenuto integrata la condizione invalidante ai fini della L. n. 222 del 1984, art. 1, a far data dall’1.7.2015 in base alla circostanza, documentata dalla visita ortopedica effettuata proprio nel luglio del 2015, che il F. “da quella data soffriva una marcata… claudicatio, la mobilizzazione delle viti sacrali dell’impianto, oltre che l’evidenziarsi di una mielopatia cervicale fino a quel momento non comprovata”; ha dato atto, sempre richiamando la relazione del c.t.u., di “un miglioramento sintomatologico e di una buona ripresa funzionale” intervenuti dopo l’intervento di stabilizzazione vertebrale del 2014 e documentato dagli accertamenti strumentali successivi alla visita di controllo ortopedica del 12.11.2014; ha precisato che il c.t.u. aveva ribadito tali conclusioni pure a fronte delle controdeduzioni di parte appellante;

10. i giudici di appello hanno quindi ritenuto, in base alla c.t.u., che la condizione di “blocco funzionale a più livelli della colonna vertebrale” fosse esistente dal luglio 2015 e che non fosse compatibile con una proficua attività lavorativa, tenuto conto del lavoro manuale medio pesante svolto dal F. come carpentiere, escludendo che prima di detta data ricorressero le condizioni invalidanti per la prestazione richiesta;

11. le censure mosse col ricorso in esame non solo non individuano le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata di cui si denuncia il contrasto con la L. n. 222 del 1984, art. 1, ma investono unicamente, mediante ampi riferimenti alla documentazione sanitaria che si assume non esaminata o male interpretata, la valutazione delle risultanze istruttorie operata dalla Corte di merito; tali censure si collocano pertanto al di fuori dell’ambito di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

12. parimenti inammissibile è il vizio di motivazione dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile ratione temporis al giudizio in esame, dal momento che la parte non specifica quale sarebbe il fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, e che il giudice non avrebbe esaminato (cfr. Cass. S.U. 7.4.2014 n. 8053 e 8054 e altre successive), risolvendosi le censure in un mero dissenso rispetto alle valutazioni diagnostiche dell’ausiliario;

13. al riguardo, deve ribadirsi che il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile solo in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice, pretendendo da questa Corte un sindacato di merito inammissibile (v. Cass., ord. 3 febbraio 2012, n. 1652);

14. quanto all’ulteriore censura sulla mancata valutazione dell’incidenza del lavoro usurante ai fini della percentuale di invalidità, deve rilevarsi come il c.t.u. nominato in appello (pag. 8 della relazione allegata al ricorso per cassazione) abbia affermato “con certezza medico-legale” che negli anni dal 2009 al 2014 il periziando “fosse in grado di continuare proficuamente la sua attività specifica di carpentiere e muratore, con una riduzione di tali capacità non superiore al 50%, seppure con usura”, in tal modo dando conto di avere valutato, in relazione al periodo suddetto, l’incidenza del lavoro usurante ai fini della percentuale invalidante;

15. per le considerazioni svolte il ricorso va dichiarato inammissibile;

16. le spese del giudizio di legittimità sono regolate secondo il criterio di soccombenza e liquidate come in dispositivo;

17. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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