Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9837 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/05/2020, (ud. 09/10/2019, dep. 26/05/2020), n.9837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18967-2017 proposto da:

I.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GAETANO

IROLLO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati NICOLA

VALENTE, EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI, MANUELA MASSA;

– resistente –

avverso la sentenza n. 945/2017 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 07/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DORONZO

ADRIANA.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza pubblicata in data 7 febbraio 2017 il Tribunale di Napoli ha rigettato l’opposizione proposta ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., comma 6, da I.R., nel procedimento per accertamento tecnico preventivo volto ad accertare la sussistenza dei requisiti sanitari per il riconoscimento della pensione di inabilità;

a fondamento della decisione il Tribunale ha ritenuto di non poter sindacare le valutazioni mediche del consulente tecnico d’ufficio – che aveva concluso per una invalidità dell’88% – in quanto corrette dal punto di vista logico e giuridico e, peraltro, non contestate dalla ricorrente nel termine stabilito dal giudice ai sensi dell’art. 195 c.p.c.; propone ricorso per cassazione la I. sulla base di un unico motivo, cui resiste l’Inps mediante deposito di procura in calce al ricorso notificato;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il motivo di ricorso la ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione delle norme di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 12 e al D.M. 5 febbraio 1992, nonchè per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti;

premette, in linea di fatto, che il diritto alla pensione di inabilità le era stato riconosciuto con sentenza passata in giudicato emessa dal Tribunale di Napoli in data 15/5/2008, n. 15775, sicchè la revoca per poter essere legittima imponeva un accertato miglioramento delle malattie invalidanti;

nel caso di specie la c.t.u. disposta nella prima fase del procedimento per accertamento tecnico preventivo e condivisa dal Tribunale in sede di opposizione non aveva operato alcun raffronto tra le malattie accertate con la sentenza passata in giudicato e quelle attuali;

il motivo, nella sua duplice articolazione, è inammissibile;

sotto il profilo della violazione di legge, deve rilevarsi che il vizio in esame consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 13/10/2017, n. 24155; Cass. 11/1/2016, n. 195);

si aggiunge che, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotta non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 26/06/2013, n. 16038; Cass. 12/01/2016, n. 287; Cass., 8/3/2007, n. 5353; Cass., 15/2/2003, n. 2312);

nel ricorso in esame la ricorrente, pur denunciando la violazione di norme di legge, non indica quale delle affermazioni del tribunale sarebbe in contrasto con le norme indicate: al centro della censura vi è invero l’assunto di una mancata comparazione, da parte del giudice del merito, tra il quadro morboso accertato nella sentenza passata in giudicato – e posto a base del riconoscimento della prestazione di cui si chiede il ripristino – e le sue attuali condizioni psicofisiche al fine di valutare la sussistenza o meno di un miglioramento, secondo quello che è il principio ripetutamente affermato da questa Corte (Cass. 6908/2016);

tuttavia, nella sentenza impugnata non si riscontra alcuna affermazione in contrasto con tale principio, nè il ricorso evidenzia in quale parte della sentenza il giudice del merito avrebbe negato la necessità della comparazione;

sotto questo aspetto, il ricorso difetta di autosufficienza, non essendo stato assolto da parte della ricorrente l’onere di evidenziare l’error in indicando commesso dal Tribunale attraverso la trascrizione, sia pure nelle sue parti salienti, della sentenza passata in giudicato, ed eventualmente della consulenza sulla cui base era stata riconosciuta in quella sede la percentuale di invalidità del 100%, nonchè della consulenza tecnica d’ufficio disposta in sede di accertamento tecnico preventivo, al fine di evidenziare la mancanza di qualsiasi raffronto, da parte del secondo tecnico incaricato, tra la situazione esistente all’epoca del precedente accertamento giudiziale e quella ricorrente al momento della revoca (rectius: al momento dell’indagine peritale), per verificare se fosse riscontrabile un effettivo miglioramento nello stato di salute della ricorrente, o comunque un recupero della sua capacità lavorativa, sì da giustificare la diniego della prestazione (Cass. ord. 29/08/2003, n. 12674; Cass. 11/07/2016, n. 14140; Cass. 18/08/2004, n. 16164);

del tutto insufficienti appaiono al riguardo i brevi stralci riportati nel ricorso (peraltro per relationem attraverso la trascrizione di parte del ricorso in opposizione ex art. 445 c.p.c., comma 6) della consulenza tecnica d’ufficio disposta nel primo giudizio e di quella disposta dal Tribunale nella sentenza qui impugnata, non potendosi desumere dalla sovrapponibilità delle malattie diagnosticate un identico giudizio valutativo circa l’incidenza delle stesse sulla capacità lavorativa, nè, tanto meno, la mancanza di un raffronto tra la condizione psico-fisica della ricorrente al momento della precedente decisione e quella al tempo dell’attuale accertamento giudiziale;

deve infatti considerarsi che in materia di accertamento del diritto a prestazioni d’invalidità, l’autorità della cosa giudicata ha come suo presupposto il principio rebus sic stantibus, atteso che il requisito sanitario non è caratterizzato da invariabilità, dal che discende che alla detta sentenza debba essere attribuito un valore meramente temporale, connesso all’accertamento delle condizioni dell’assistito compiuto al momento della decisione;

pertanto, la pronunzia passata in giudicato, se non consente una nuova valutazione, mediante diverso parere medicolegale, delle circostanze di fatto da essa già considerate, e, come tali, divenute inoppugnabili verità processuali, non impedisce, però, di tener conto dei mutamenti intervenuti successivamente, che comportino eventualmente la perdita del suddetto requisito sanitario da parte del ricorrente, con la conseguente legittimità, in questo secondo caso, di una decisione difforme dalla prima sentenza, che confermi, come è avvenuto nella specie, il giudizio posto a base della intervenuta revoca del beneficio;

infine, non risulta neppure adempiuto da parte della ricorrente l’onere, previsto a pena di improcedibilità del ricorso dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, del deposito della sentenza n. 15775 del 2008, su cui pure fonda il motivo di ricorso, nè la parte ha adempiuto l’onere di localizzazione esterna dell’atto, offrendo sicuri elementi per un suo facile reperimento nel presente giudizio (su fattispecie analoga, cfr. Cass. 11/7/2016, n. 14140);

in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile;

nessun provvedimento sulle spese deve essere adottato, stante l’autodichiarazione resa ex art. 152 disp. att. c.p.c. dalla ricorrente;

poichè il ricorso per cassazione è stato notificato in data successiva al 30 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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