Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9835 del 19/04/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 19/04/2017, (ud. 30/01/2017, dep.19/04/2017),  n. 9835

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9917/2013 R.G. proposto da:

D.C.F., D.C.A.M., D.C.S.,

rappresentati e difesi dall’avv. Giuseppe Mansi, con domicilio

eletto in Trani, via Padova 1, presso lo studio dell’avv. Antonio

Dastoli;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Puglia, depositata il 14 febbraio 2012;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 30 gennaio 2017

dal Consigliere Dott. Giuseppe Tedesco;

uditi gli avv. Giuseppe Mansi e Pasquale Pucciariello;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Commissione tributarie regionale della Puglia (Ctr), decidendo quale giudice di rinvio, ha accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate in difesa di quattro distinti avvisi di rettifica emessi nei confronti degli eredi D.C., ch’erano stati annullati dalla Commissione tributarie provinciale di Bari.

Contro la sentenza i ricorrenti indicati in epigrafe propongono ricorso per cassazione sulla base di nove motivi, cui l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Il collegio ha autorizzato la redazione della motivazione della sentenza in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 45 e 15 e dell’art. 331 c.p.c..

Ai fini della comprensione della ragione di censura è opportuno ricordare che la presente vicenda riguarda una pluralità di vendite di terreni edificabili con Iva agevolata, sul presupposto che si trattava di suoli per la edificazione della prima casa di abitazione da parte degli acquirenti. Secondo il Fisco tale agevolazione non spettava, trattandosi di compravendite di suoli edificatori e non di cessione di fabbricati.

Da qui il recupero nei confronti dei ricorrenti.

La Ctr ha definito il giudizio quale giudice di rinvio, a seguito della cassazione della sentenza d’appello da parte di questa Suprema corte, che accolse il motivo di ricorso con il quale fu dedotto che in primo grado fu ordinata l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli acquirenti in base alle fatture oggetto di rettifica, ma che l’Agenzia dell’Entrate aveva notificato l’appello ai soli ricorrenti.

Eseguita la riassunzione da parte dei contribuenti si costituì nel giudizio l’Agenzia delle entrate, cui la Ctr ordinò di integrare il contraddittorio “nei confronti degli acquirenti già parti del giudizio di primo grado” e ciò nel termine di 90 giorni.

L’ordine giudiziale fu eseguito in modo incompleto; l’Agenzia chiese perciò un ulteriore termine, che fu concesso dal collegio con provvedimento del seguente tenore: “Il collegio accoglie l’istanza dell’Ufficio e concede allo stesso termine di giorni per procedere alla rinnovazione delle notifiche non andate a buon fine, ovvero ad effettuare quelle omesse”.

Si inserisce qui la censura proposta dai ricorrenti con il motivo in esame, con il quale si rimprovera alla Ctr di avere concesso un ulteriore termine, laddove il termine per integrare il contraddittorio, pacificamente di natura perentoria, non poteva essere prorogato.

Il motivo è fondato. E’ stato già chiarito che la causa fu rimessa dalla Suprema Corte proprio ai fine di disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli acquirenti, avendo la Corte ravvisato nella specie una ipotesi di litisconsorzio processuale, tale determinare “un’inscindibilità delle cause anche in ipotesi in cui non sussisterebbe il litisconsorzio necessario di natura sostanziale”.

Coerentemente con tale statuizione la Ctr, avendo rilevato che la riassunzione non fu eseguita nei confronti di tutti i litisconsorti necessari, ordinò l’integrazione del contraddittorio nel termine all’uopo assegnato con il citato provvedimento, facendo corretta applicazione dell’art. 331 c.p.c.; tuttavia da tale norma ne discendeva che non era nei poteri del giudice di concedere un ulteriore termine, pure avendo constatato che l’integrazione non fu eseguita nei confronti di tutti i destinatari dell’ordine originariamente impartito.

Insomma nella presente fattispecie, pacificamente caratterizzata dal fatto che si discuteva non solo della ritualità della integrazione, ma anche della completezza dell’attività posta in essere dalla parte che avrebbe dovuto provvedervi, essendo del tutto mancata la citazione di due dei soggetti originariamente non chiamati, la Ctr avrebbe dovuto fare applicazione del seguente principio di diritto: “Quando il giudice abbia pronunziato l’ordine di integrazione del contraddittorio in causa inscindibile e la parte onerata non vi abbia provveduto, ovvero vi abbia ottemperato solo parzialmente, evocando in giudizio soltanto alcuni dei litisconsorti pretermessi, non può essere assegnato un nuovo termine per il completamento dell’integrazione, che equivarrebbe alla concessione di una proroga del termine perentorio precedentemente fissato, vietata espressamente dall’art. 153 c.p.c., salvo che l’istanza di assegnazione di un nuovo termine, tempestivamente presentata prima della scadenza di quello già concesso, si fondi sull’esistenza, idoneamente comprovata, di un fatto non imputabile alla parte onerata o, comunque, risulti che la stessa ignori incolpevolmente la residenza dei soggetti nei cui confronti il contraddittorio avrebbe dovuto essere integrato (Cass. n. 6982/2016)”.

Al contrario, nella specie non vi è traccia della ricorrenza di una delle ragioni idonee a giustificare la concessione di un nuovo termine, che comunque avrebbe dovuto essere richiesto prima della scadenza.

Non può che concludersi che l’ulteriore termine è stato accordato dalla Ctr in violazione della norma processuale, che imponeva al giudice di rinvio di dichiarare l’estinzione del giudizio.

Il motivo è quindi fondato, con assorbimento di tutti gli altri motivi.

Non essendo necessari ulteriori accertamento il fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, mediante declaratoria di estinzione del giudizio, statuizione quest’ultima – che comporta l’assorbimento della eccezione di improcedibilità formulata dalla controricorrente sul rilievo che il ricorso per cassazione non è stato proposto nei confronti dei terzi chiamati. Da tale omissione, infatti, non ne potrebbe discendere l’improcedibilità del ricorso, ma al limite un ordine di integrazione ex art. 331 c.p.c., che ovviamente, inerendo il difetto a un giudizio di cui la Corte ha accertato l’intervenuta estinzione, sarebbe inutile e defatigante, non essendo configurabile alcuna utilità e alcun pregiudizio nei riguardi di coloro a beneficio dei quali un siffatto ordine verrebbe emesso.

Spese della fase di merito compensate.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza e, decidendo nel merito, dichiara l’estinzione del giudizio; compensa le spese del giudizio di merito; condanna la controricorrente al pagamento, in favore dei ricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nell’importo di Euro 6.000,00 per compensi, oltre rimborso forfetario al 15% e accessori di legge.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2017

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