Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9832 del 14/04/2021

Cassazione civile sez. III, 14/04/2021, (ud. 11/11/2020, dep. 14/04/2021), n.9832

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 34444/19 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliato a Pescara, Via Venezia n.

8, difeso dall’avvocato Antonio Ciafardini, in virtù di procura

speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila 11.6.2018 n.

1006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11 novembre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.L., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4 (secondo quanto riferito dalla sentenza impugnata):

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c);

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse (secondo quanto riferito nel ricorso) di avere lasciato il proprio Paese perchè:

-) la sua abitazione era stata distrutta da un ciclone, costringendo l’intera famiglia a trasferirsi altrove;

-) subiva da parte del padre e della sua seconda moglie “vessazioni e soprusi”;

-) la seconda moglie del padre lo aveva minacciato di morte e picchiato, al fine di privarlo di ogni diritto sulle proprietà del padre;

-) aveva bisogno di guadagnare per sostenere le costose cure di cui aveva bisogno la madre, anziana ed ammalata.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento M.L. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di L’Aquila, che la rigettò con ordinanza 11.8.2016.

L’appello proposto avverso tale ordinanza venne dichiarato inammissibile per tardività dalla Corte d’appello di L’Aquila con sentenza 6 maggio 2017 n. 780.

Tale sentenza venne cassata con rinvio dalla Corte di cassazione, con ordinanza 14 febbraio 2018 n. 3503 (e non 3603, come indicato a p. 2 della sentenza d’appello).

4. Il giudizio venne tempestivamente riassunto dall’odierno ricorrente. La Corte d’appello de L’Aquila, tornata ad esaminare l’appello, lo rigettò con sentenza 11.6.2019, ritenendo che:

-) nell’atto d’appello l’appellante, restringendo la domanda originariamente formulata dinanzi al Tribunale, aveva fondato la richiesta di protezione su due circostanze soltanto:

(a) la necessità di sottrarsi alle avverse condizioni climatiche nel paese di origine ed alla condizione di povertà da esse generata;

(b) l’esistenza in Bangladesh di una situazione di violenza indiscriminata derivante da un armato;

-) la prima circostanza non poteva però nel caso di specie giustificare la concessione di alcuna forma di protezione, poichè il richiedente aveva potuto sottrarsi alle avverse condizioni climatiche trasferendosi con l’intera famiglia in un’altra città, come da lui stesso riferito; da ciò la Corte d’appello ha tratto la conclusione che i motivi dell’espatrio dovevano ritenersi puramente economici, con la conseguenza che il richiedente non poteva ascriversi nella categoria dei “rifugiati” ai sensi della convenzione di Ginevra;

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potessero essere concessi perchè non richiesti;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, perchè nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non potesse essere concessa in quanto il richiedente non aveva allegato nè dimostrato specifici “elementi individuali circostanziati” idonei a qualificarlo come “persona vulnerabile”.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da M.L. con ricorso fondato su due motivi (il secondo è contraddistinto dal numero “3”).

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente invoca, richiamando l’art. 360 c.p.c., n. 5, la “nullità della sentenza” per “motivazione carente, contraddittoria e/o apparente”.

L’illustrazione del motivo contiene varie affermazioni eterogenee e giustapposte.

Esso a ben vedere contiene tre censure.

Con una prima censura il ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe adottato una motivazione incomprensibile, e non ha spiegato le ragioni del rigetto della domanda.

Con una seconda censura il ricorrente lamenta che la corte avrebbe omesso di esaminare la richiesta di concessione della protezione sussidiaria per le ragioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Con una terza censura, infine, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe violato il dovere “di esperire attività istruttoria per l’accertamento delle condizioni giustificanti la concessione dei richiesti benefici”.

1.1. La prima censura è infondata.

La motivazione della sentenza impugnata non è certamente un modello

letterario, ma è ben chiara sulle ragioni del rigetto, così riassumibili:

a) la condizione di rifugiato non spetta perchè il ricorrente è emigrato solo per motivi economici;

b) la protezione sussidiaria per le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non era stata chiesta;

c) la protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui alla lett. c) non spettava perchè in Bangladesh non c’è la guerra;

d) la protezione umanitaria non spettava perchè il richiedente non aveva allegato alcuna circostanza “individuale circostanziata”.

Giuste o sbagliate che fossero tali valutazioni, esse sono comunque chiaramente espresse: la sentenza dunque non può dirsi nulla (potrebbe eventualmente dirsi erronea in iure).

1.2. La seconda censura è del pari infondata: la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c)è stata infatti esaminata a p. 11 della sentenza d’appello.

1.3. La terza censura è inammissibile per più ragioni.

Innanzitutto, non è chiaro rispetto a quale domanda venga proposta tale censura (rifugio, sussidiaria o umanitaria).

In secondo luogo, la questione è nuova, perchè nè dalla sentenza, nè dal ricorso, risulta prospettata in appello.

In terzo luogo, la Corte d’appello non aveva alcun obbligo di cooperazione istruttoria ulteriore rispetto a quelli già compiuti.

La Corte d’appello, infatti, con una statuizione non impugnata ha affermato che due soltanto erano i fatti dedotti dall’appellante a fondamento della propria domanda: (a) la povertà del suo paese determinata da cataclismi naturali e (b) la situazione di conflitto armato.

Così delimitato il thema decidendum, la Corte d’appello ha:

a) affermato che la mera condizione di povertà non legittima la domanda di protezione internazionale;

b) escluso, citando un rapporto aggiornato ECOI del 2018, la sussistenza in Bangladesh di una situazione di conflitto armato.

La prima statuizione non richiedeva alcuna cooperazione istruttoria, in quanto la Corte d’appello non ha negato il fatto materiale dedotto dal ricorrente, e cioè la sua condizione di povertà.

La seconda statuizione, come accennato, è stata adottata previo assolvimento corretto del dovere di cooperazione istruttoria.

2. Col secondo motivo il ricorrente investe la sentenza d’appello nella parte in cui ha rigettato la domanda di protezione umanitaria.

Nella illustrazione del motivo il ricorrente, dopo avere premesso che le condizioni del suo paese erano di tale povertà, da non potergli consentire, in caso di rimpatrio, alcuna esistenza libera e dignitosa, deduce in sostanza che la Corte d’appello avrebbe trascurato di esaminare ex officio, in base a fonti attendibili ed aggiornate, tali condizioni. Conclude osservando che, rientrando in Patria, verrebbe a trovarsi in una condizione di vulnerabilità “per avere causato la morte di un bambino” (affermazione, quest’ultima, oggettivamente inspiegabile).

2.1. Il motivo è, nel suo nucleo essenziale, fondato.

La Corte d’appello ha rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari essenzialmente in base a due considerazioni, così riassumibili:

-) la giovane età del richiedente non è di per sè elemento sufficiente al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

-) le generali condizioni di povertà o privazione della libertà personale del paese di origine non sono di per sè sufficienti allo stesso fine, “in difetto di elementi individuali circostanziati” (così la sentenza impugnata, pagina 12, p. 17).

Ambedue queste affermazioni non sono conformi a diritto.

2.2. Come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (secondo la disciplina applicabile ratione temporis), può fondarsi tanto su circostanze soggettive (condizioni di salute, età, insuperati traumi psichici), quanto su circostanze oggettive dipendenti dal luogo di provenienza del richiedente.

Le circostanze oggettive che giustificano il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in particolare, consistono nel concreto rischio che, in caso di rimpatrio, il richiedente possa subire gravi violazioni dei propri diritti fondamentali della persona (ad esempio vita, salute, libertà personale).

Da ciò consegue che a fronte della domanda di protezione internazionale il giudicante ha sempre l’onere di accertare – e farlo d’ufficio – se nel Paese e nella regione di provenienza del richiedente sussistano sistematiche violazioni dei diritti fondamentali della persona, tali da esporre quella particolare persona al rischio di una grave violazione dei suddetti diritti.

Ha errato, pertanto, la Corte d’appello, nel ritenere che il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari non potesse essere concesso “in difetto di elementi individuali circostanziati”.

Infatti, per quanto detto, i suddetti elementi non necessariamente sarebbero dovuti emergere dal vissuto personale del richiedente, ma sarebbero potuti discendere altresì dal contesto sociale, politico ed economico del Paese di sua provenienza.

Pertanto la Corte d’appello, una volta esclusa la sussistenza di ragioni soggettive giustificatrici del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non avrebbe potuto arrestare la propria indagine, ma avrebbe dovuto accertare d’ufficio, avvalendosi di fonti attendibili ed aggiornate, se il contesto di provenienza del richiedente fosse o meno tale da esporlo ad una grave violazione dei diritti fondamentali della persona in caso di rimpatrio.

5. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

PQM

la Corte di Cassazione:

(-) dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo (contraddistinto dal n. 3); cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021

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