Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9831 del 14/04/2021

Cassazione civile sez. III, 14/04/2021, (ud. 11/11/2020, dep. 14/04/2021), n.9831

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 34437/19 proposto da:

A.S., elettivamente domiciliato a Pescara, via Venezia n. 8,

difeso dall’avvocato Antonio Ciafardini, in virtù di procura

speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila 18.1.2018 n.

96, per come corretta dalla successiva ordinanza 9.4.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11 novembre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. O.K., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4;

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese dopo essere stato minacciato ed aggredito dai familiari della propria fidanzata, i quali ostacolavano tale rapporto, e finirono con l’imputargli anche la scelta della ragazza di togliersi volontariamente la vita.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento O.K. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di L’Aquila, che la rigettò con ordinanza 24.8.2018.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla

Corte d’appello di L’Aquila con sentenza 26.7.2019.

Quest’ultima ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) non potessero essere concessi sia perchè i fatti narrati dal richiedente evidenziavano una vicenda privata, e non una persecuzione ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007 (p. 13); sia perchè il richiedente avrebbe potuto ricevere adeguata tutela dalle autorità pakistane (p. 13); sia perchè il richiedente non era attendibile (p. 20);

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, perchè nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non potesse essere concessa sia a causa della non credibilità del richiedente, sia perchè non ricorrevano nel caso di specie “situazione di particolare vulnerabilità riconducibili alle ipotesi delineate nella premessa generale” (e cioè le premesse svolte dalla Corte d’appello alle pp. 9-10 della sentenza).

4. Con ordinanza 9.4.2019 la Corte d’appello, su istanza dell’odierno ricorrente, corresse la sentenza appena ricordata, la quale aveva indicato nell’epigrafe (unico punto della sentenza in cui compariva il nome dell’appellante) le generalità di persona diversa dalla giusta parte processuale (” H.Z.”, invece che ” A.S.”).

5. Il provvedimento della Corte d’appello, del 2018, per come corretto nel 2019, è stato impugnato per cassazione da O.K. con ricorso fondato su quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va rilevato che il ricorso deve ritenersi tempestivo. La sentenza pronunciata dalla Corte d’appello de L’Aquila 18 gennaio 2018, infatti, indicava nell’epigrafe le generalità di persona diversa dall’effettivo appellante.

In nessun altro punto della motivazione, nè del dispositivo, compariva il nome del vero appellante.

La sentenza, pertanto, era tale da ingenerare dubbi sulla corretta identificazione della parte processuale.

Di conseguenza il termine per impugnare la suddetta sentenza non potè decorrere, fino a quando non venne depositato il provvedimento correttivo, e cioè dal 9 aprile 2019.

2. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione di sei diverse norme del D.Lgs. n. 251 del 2007, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 27, artt. 2 e 3 CEDU. Lamenta altresì il “difetto di motivazione, motivazione apparente, travisamento dei fatti e omesso esame di fatti decisivi”.

Al di là di tali riferimenti normativi, non tutti pertinenti, nella illustrazione del motivo si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non credibile il suo racconto, e di conseguenza insussistente il rischio di una minaccia grave alla vita o alla persona in caso di rimpatrio.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Esso, infatti, è puramente assertivo.

Va premesso che lo stabilire se una persona sia attendibile o non attendibile; così come lo stabilire se un fatto dedotto in giudizio sia vero, veridico o verosimile, costituiscono altrettanti accertamenti di fatto, in quanto tale incensurabile in sede di legittimità.

Censurabile in sede di legittimità potrebbe essere, nella sola materia della protezione internazionale, la violazione, da parte del giudice, dei criteri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ovvero dei criteri in base ai quali condurre il giudizio di attendibilità del richiedente protezione.

L’odierno ricorrente, tuttavia, dopo avere denunciato in modo assolutamente generico la violazione della suddetta norma, non indica per quale ragione ed in che modo quei criteri sarebbero stati violati dalla Corte d’appello, limitandosi a sottoporre a questa Corte affermazioni puramente assertive (“non si comprende da cosa la Corte d’appello tragga la convinzione della non credibilità”).

3. Il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, perchè pongono questioni tra loro strettamente connesse.

Col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

La censura investe la sentenza d’appello nella parte in cui ha escluso che in Pakistan, ed in particolare nella regione di provenienza del richiedente, sussista una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato. Deduce il ricorrente che la Corte d’appello è pervenuta la suddetta conclusione utilizzando fonti di informazione non aggiornate.

Col terzo motivo il ricorrente torna a censurare la sentenza d’appello sia nella parte in cui ha ritenuto inattendibile il suo racconto, sia nella parte in cui avrebbe trascurato di utilizzare i propri poteri istruttori officiosi per accertare l’effettiva sussistenza di un grave rischio per la vita o l’incolumità personale del richiedente, in caso di rimpatrio.

3.1. Nella parte in cui investono il giudizio di inattendibilità soggettiva del richiedente, le censure sono inammissibili per le ragioni già indicate con riferimento al primo motivo di ricorso.

Nella parte in cui lamentano la violazione del dovere di accertare le condizioni del paese di provenienza del richiedente in base a fonti attendibili ed aggiornate, invece, le censure sono infondate.

La Corte d’appello, infatti, ha escluso la sussistenza in Pakistan di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato in base ad un rapporto EASO del 2015 e ad un rapporto dell’organizzazione delle Nazioni Unite per i rifugiati del 2012.

La Corte d’appello, tuttavia, ha deliberato la propria decisione a gennaio del 2018: ha, dunque, utilizzato per accertare la situazione sociopolitica del Pakistan due fonti di informazione risalenti, rispettivamente, di sei anni e di due anni rispetto al momento della decisione.

Così giudicando, la Corte d’appello ha effettivamente violato il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nella parte in cui stabilisce che le domande di protezione vanno valutate in base a fonti di informazioni non solo attendibili, ma anche aggiornate.

4. Col quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, nonchè il vizio del “decreto” (sic) impugnato per carenza di motivazione.

Il motivo è fondato.

La Corte d’appello ha rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari essenzialmente in base a due considerazioni, così riassumibili:

-) perchè il richiedente era inattendibile (così la sentenza d’appello, p. 20, ultimo capoverso);

-) perchè “non ricorrevano le ipotesi delineate in premessa”, e dunque – in virtù di tale rinvio – quelle indicate a p. 9, ultimo capoverso, della sentenza, cioè “situazioni di particolare vulnerabilità psicofisica”.

4.1. Ambedue queste affermazioni non sono conformi a diritto.

Come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (secondo la disciplina applicabile ratione temporis), può fondarsi tanto su circostanze soggettive (condizioni di salute, età, insuperati traumi psichici), quanto su circostanze oggettive dipendenti dal luogo di provenienza del richiedente.

Le circostanze oggettive che giustificano il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in particolare, consistono nel concreto rischio che, in caso di rimpatrio, il richiedente possa subire gravi violazioni dei propri diritti fondamentali della persona (ad esempio vita, salute, libertà personale). Ed il rischio di violazione dei diritti umani impedisce il rimpatrio di qualunque persona: sincera o mendace, attendibile od inattendibile.

Da ciò consegue che la ritenuta inattendibilità del richiedente non esonerava il giudicante dall’onere di accertare comunque – e farlo d’ufficio – se nel Paese e nella regione di sua provenienza sussistano sistematiche violazioni dei diritti fondamentali della persona, tali da esporre quella particolare persona al rischio di una grave violazione dei suddetti diritti.

4.2. Nemmeno può condividersi la seconda affermazione, e cioè che solo “condizioni psicofisiche di particolare vulnerabilità”, consentano il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Ed infatti, una volta stabilito che il suddetto permesso accordato a tutti coloro i quali, in caso di rimpatrio, resterebbero esposti a gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona, è la sussistenza di tale rischio che deve essere accertato dal giudice di merito; ed al rischio in esame possono ovviamente essere esposte anche persone perfettamente sane di corpo e di mente.

La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, affinchè proceda al suddetto accertamento officioso.

5. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

PQM

la Corte di Cassazione:

(-) dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso; accoglie i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021

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