Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 983 del 17/01/2017

Cassazione civile, sez. lav., 17/01/2017, (ud. 05/10/2016, dep.17/01/2017),  n. 983

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10338-2014 proposto da:

F.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DELLE FORNACI 43, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO SCORSONE,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SINIBALDO TINO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

EFIBANCA S.P.A. C.F. (OMISSIS), (già BANCO POPOLARE SOCIETA’

COOPERATIVA), in persona del legale rappresentante pro tempore,

PALLADIO FINANZIARIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

E. GIANTURCO 1, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO APICE, che

li rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 934/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 01/03/2013 R.G.N. 4373/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Dott. PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI;

udito l’Avvocato APICE DOMENICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO GIANFRANCO che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso o in subordine rigetto.

Fatto

Con sentenza 1 marzo 2013, la Corte d’appello di Milano rigettava l’appello proposto, nel contraddittorio con Efibanca s.p.a. e Palladio Finanziaria s.p.a. quali azionisti di SGR, da F.G. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto l’accertamento del proprio diritto, nel caso di licenziamento per motivo diverso dal venir meno del rapporto fiduciario (separatamente impugnato davanti al competente giudice del lavoro), della valorizzazione delle stock options, oggetto del complesso accordo contenuto nella scrittura privata (OMISSIS) di sua assunzione quale dirigente di SGR e di nomina nel C.d.A. della stessa, in misura del 100% (e non del 50%) degli utili o delle perdite realizzati dal fondo gestito dalla SGR nel disinvestimento delle partecipazioni.

In esito a critica e argomentata interpretazione del complesso regolamento negoziale tra le parti ed acquisita la formazione del giudicato sull’accertamento del Tribunale del lavoro di non giustificatezza (in assenza di preventiva contestazione degli addebiti) del licenziamento intimato dalla società datrice il (OMISSIS), la Corte territoriale riteneva, ancorchè con ragionamento motivo parzialmente difforme da quello del primo giudice, la corretta attribuzione a F.G. dei ricavi netti delle operazioni disinvestite successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro in misura del 50%.

Ed infatti, benchè in linea generale applicabile (nella parte non già relativa alla promessa del fatto della terza SGR, che aveva ad esso dato esecuzione, ma a quella di diretta assunzione di obbligazioni proprie degli azionisti promittenti nei confronti del manager) la scrittura privata tra questi e F. del (OMISSIS), in quanto contenente (ai sensi dell’art. 8.2) clausole destinate ad avere effetto anche dopo gli accordi definitivi, essa limitava il riconoscimento dell’integralità dei ricavi netti delle suddette operazioni in particolare al caso di licenziamento ingiustificato del manager prima del 30 aprile 2005 (art. 7.2 della scrittura).

Sicchè, la Corte territoriale ne escludeva l’applicazione al caso di specie, per l’intimazione del licenziamento, sia pure ingiustificato, in data successiva: con la conseguente vigenza tra le parti della previsione dell’art. 2.3.1. dei contratti di opzione di vendita e di acquisto del 23 settembre 2003, appunto di liquidazione in misura del 50% dei ricavi netti delle operazioni disinvestite successivamente alla mera cessazione del rapporto di lavoro con SGR.

Con atto notificato il 15 aprile 2014, F.G. ricorre per cassazione con unico motivo, cui resistono Banco popolare soc. coop. (incorporante Efibanca s.p.a.) e Palladio Finanziaria s.p.a. con un controricorso comune.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con unico motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., artt. 1362 e 1366 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea assunzione, a fondamento dell’interpretazione del regolamento negoziale tra le parti, della decisiva rilevanza del discrimine temporale del 30 aprile 2005 per la data di cessazione del rapporto di lavoro, ai fini del regime di valorizzazione della liquidazione delle stock options, nonostante l’inesistenza di alcuna contestazione tra le parti in ordine all’irrilevanza della suddetta data e pure in violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale di buona fede e di valutazione del comportamento successivo delle parti in funzione di determinazione della loro comune intenzione.

Premessa l’ammissibilità del ricorso sotto i profili infondatamente dedotti dell’omessa indicazione delle parti (chiaramente risultando le parti destinatarie del ricorso dal suo contesto, senza incertezza alcuna: Cass. 2 febbraio 2016, n. 1989; Cass. 7 settembre 2009, n. 19286; Cass. 3 gennaio 2005, n. 57), della mancata esposizione sommaria dei fatti (invece sufficiente, pur senza essere analitica nè particolareggiata, a un’adeguata comprensione della controversia in funzione delle censure mosse: Cass. 3 febbraio 2015, n. 1926) e del difetto di interesse per mancata confutazione delle plurime rationes decidendi (unica essendo la ragione decisoria, sia pure articolata e complessa ed avendo il ricorrente incentrato la propria censura sul suo punto decisivo), il motivo è inammissibile.

Innanzi tutto, è inconfigurabile la denunciata violazione del principio di non contestazione, poichè esso riguarda esclusivamente le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti, nè la loro valenza probatoria la cui valutazione, in relazione ai fatti contestati, è riservata al giudice (Cass. 21 giugno 2016, n. 12748).

Il principio mira, infatti, unicamente alla selezione dei fatti pacifici da quelli controversi, i quali soli esigono il ricorso all’istruzione probatoria (Cass. 20 ottobre 2015, n. 21176), senza interferire sul controllo giudiziale della corretta applicazione delle norme legali e contrattuali invocate, anche in difetto di tempestiva contestazione del convenuto sul punto (Cass. s.u. 23 gennaio 2002, n. 761; Cass. 23 gennaio 2003, n. 1014; Cass. 21 febbraio 2014, n. 4127).

D’altro canto, la doglianza consiste in una diversa interpretazione del contenuto dell’accordo previsto dalla scrittura del (OMISSIS) e quindi del risultato interpretativo in sè. Ma essa, risolvendosi in un accertamento in fatto riservato esclusivamente al giudice di merito, è sindacabile in sede di legittimità solo limitatamente alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. 14 luglio 2016, n. 14355; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465).

Nel caso di specie, non sussiste vizio di motivazione (per le condivisibili ragioni illustrate in particolare dal primo capoverso di pg. 30 al primo periodo di pg. 31 della sentenza), nè violazione dei canoni legali di ermeneutica.

Escluso in via di premessa che, in presenza di un’interpretazione ben plausibile del giudice di merito neppure essendo necessario che essa sia l’unica possibile o la migliore in astratto (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178), possa darsi ingresso ad una sostanziale sollecitazione a revisione del merito, discendente dalla contrapposizione di una interpretazione dei fatti propria della parte a quella della Corte territoriale (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), l’interpretazione contestata è ben giustificata sulla base del “chiaro tenore letterale” della previsione dell’art. 7.2 della scrittura privata citata: e pertanto del criterio ermeneutico, che deve prevalere, quando riveli con chiarezza ed univocità la volontà comune delle parti, sicchè non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti (Cass. 21 agosto 2013, n. 19357; Cass. 28 agosto 2007, n. 18180). La clausola citata (neppure debitamente trascritta, quanto meno per la parte d’interesse, con evidente violazione del principio di autosufficienza del ricorso, prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6: Cass. 3 gennaio 2014, n. 48; Cass. 31 luglio 2012, n. 13677; Cass. 30 luglio 2010, n. 17915) fissa, infatti, in modo inequivocabile una limitazione temporale del regime di integrale liquidazione al manager delle stock options in caso di licenziamento fino al 30 aprile 2005, anteriore al licenziamento intimato a F.G.. Ciò che comporta la vigenza tra le parti della previsione dell’art. 2.3.1. dei contratti di opzione di vendita e di acquisto del 23 settembre 2003, con la coerente applicazione della liquidazione al predetto, in misura del 50%, dei ricavi netti delle operazioni disinvestite successivamente alla mera cessazione del rapporto di lavoro con SGR.

Dalle superiori argomentazioni discende l’inammissibilità del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna F.G. alla rifusione, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2017

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