Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9828 del 19/04/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 19/04/2017, (ud. 28/03/2017, dep.19/04/2017),  n. 9828

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21336-2012 proposto da:

FONDAZIONE ROCCO SPANI ONLUS (OMISSIS), V.M.;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso. AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 12/2012 della COMM.TRIB.REG. di BARI,

depositata il 09/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/03/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA;

udito l’Avvocato.

Fatto

RILEVATO

che la Commissione Tributaria Regionale della Puglia ha respinto l’appello della Fondazione Rocco Spani Onlus, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, avverso la decisione di primo grado, sfavorevole alla contribuente, la quale aveva impugnato il provvedimento di cancellazione dal registro dell’Anagrafe Unica ONLUS con conseguente revoca delle agevolazioni fiscali;

che il Giudice di appello, per quanto qui interessa, ha confermato la decisione della CTP, non rispondendo le clausole dello Statuto della Fondazione ai requisiti formali richiesti dal D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 10, comma 1, lett. e) ed f);

che la Fondazione ricorre per la cassazione della sentenza, affidandosi ad un motivo, illustrato con memoria, cui l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 10, comma 1, per avere il Giudice di appello erroneamente dato rilievo ad aspetti puramente formali senza considerare che la Fondazione aveva sempre posto in essere attività a beneficio di persone svantaggiate, in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economico-sociali, mai effettuato la distribuzione di utili o erogazioni in violazione di tale principio, e che non è richiesta una espressa previsione, nello statuto o nell’atto costitutivo, dell’obbligo di devolvere il patrimonio dell’organizzazione in caso di suo scioglimento mediante clausola formulata in modo tale da riprodurre pedissequamente il testo normativo di riferimento;

che, invero, l’eccessivo formalismo addebitato alla CTR investe l’interpretazione data da quest’ultima allo Statuto della Fondazione, cioè ad un atto privato, e non già alla legge regolatrice del rapporto, e si tratta di una censura all’evidenza infondata;

che, infatti, la impugnata decisione pone a confronto con il D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 10, comma 1, lett. e) ed f), l’art. 3 del predetto Statuto, il cui testo risulta puntualmente riprodotto, proprio al fine di evidenziare che si tratta di “disposizioni del tutto diverse” da quelle normativamente prescritte, per un verso, essendo consentito al consiglio di amministrazione l’investimento del denaro pervenuto alla Fondazione “nel modo che riterrà più sicuro e redditizio” e, per altro verso, essendo previsto un divieto di distribuzione “di utili avanzi di gestione nonchè fondi, riserve o capitale durante la vita della fondazione”, il quale non soddisfa nè l’obbligo di impiegare tutte le risorse finanziarie “per la realizzazione delle attività istituzionali e di quelle ad esse direttamente connesse”, nè l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’organizzazione, in caso di scioglimento, “ad altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale o a fini di pubblica utilità”, come previsto dalla norma;

che, pertanto, non si tratta all’evidenza di una diversa formulazione letterale la quale lascia intatti i principi espressi dalle sopra richiamate previsioni di legge (in tal senso Cass. S.U. n. 23207/2009) e le conclusioni della CTR – sul punto – sono frutto di una valutazione rimessa al giudice di merito, non censurabile in questa sede se non per i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per la verità neppure evocati nel motivo di ricorso, e rispettose del divieto di interpretazione estensiva della norma tributaria;

che, infine, si deve considerare, come già affermato da questa Corte (Cass. n. 14371/2011), “che i requisiti formali previsti dal D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 10, non possono ritenersi surrogabili con il concreto accertamento della fattuale osservanza dei precetti della norma, sia per la non equivoca lettera della legge, sia per il fatto che si tratta (cfr. Cass. n. 11986/2009, n. 7653/2009) di norma di stretta interpretazione”;

che le spese del giudizio di legittimità sono compensate tra le parti per il progressivo consolidarsi della giurisprudenza dopo la proposizione del ricorso.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 28 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2017

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