Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9828 del 14/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 14/04/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 14/04/2021), n.9828

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21938/2019 proposto da:

D.N.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TARO, 25,

presso lo studio dell’avvocato ERNESTO IANNUCCI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato LEILI MAZI;

– ricorrente –

contro

AURELIA 80 S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EZIO N. 12, presso lo studio

dell’avvocato CARLO PISANI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2151/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/05/2019 R.G.N. 1277/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/12/2020 dal Consigliere Dott. VALERIA PICCONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PAOLO SALVATORI, per delega Avvocato ERNESTO

IANNUCCI ERNESTO;

udito l’Avvocato CARLO PISANI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 20 maggio 2019, la Corte d’appello di Roma ha respinto il reclamo avverso la decisione del Tribunale che, in accoglimento dell’opposizione avanzata dalla Aurelia 80 S.p.A., ha rigettato l’impugnativa del licenziamento intimato alla lavoratrice D.N.R., previa revoca dell’ordinanza n. 31691 del 2016 precedentemente emessa.

1.1. Il giudice di secondo grado, condividendo l’iter argomentativo del primo giudice in tema di licenziamento collettivo e muovendo dalla considerazione che il sindacato giudiziale non può spingersi sino al merito della decisione datoriale di attribuire il punteggio per le esigenze aziendali a taluni uffici in luogo di altri, ha valorizzato la progettata esternalizzazione del servizio CUP da parte della società datrice, ritenendo, quindi, corretto il riconoscimento di un determinato punteggio (pari a 30) soltanto ai lavoratori non impegnati nello specifico servizio in via di soppressione.

La Corte ha ritenuto, quindi, congrua l’applicazione dei criteri di scelta concordati in sede di accordo sindacale, ove si era convenuto di attribuire un punteggio pari al 34% all’anzianità aziendale, al 36% in ordine ai carichi di famiglia, e al 30% in relazione alle esigenze tecniche, organizzative e produttive aziendali.

2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso D.N.R., affidandolo a due motivi.

2.1. Resiste, con controricorso, la Aurelia 80 S.p.A..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo ed il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1 e art. 4, comma 9, rispettivamente, per aver la Corte d’appello ritenuto legittimo il criterio di scelta delle esigenze tecniche ed organizzative collegato alla mera appartenenza ad un ufficio soppresso nonchè per omessa e, comunque, incompleta puntuale indicazione delle modalità applicative dei criteri di scelta.

1.1. Entrambi i motivi, da esaminarsi congiuntamente per l’intima connessione, sono inammissibili.

Deve, al riguardo, evidenziarsi che costituisce consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità quello secondo cui va reputato inammissibile per difetto d’interesse, il motivo di impugnazione con cui si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, priva di qualsivoglia influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, essendo diretto in definitiva all’emanazione di una pronuncia senza alcun rilievo pratico (cfr., in questi termini, Cass. n. 12678 del 25/06/2020; Cass. n. 20689 del 13/10/2016).

Con specifico riguardo, poi, alla questione che qui più direttamente interessa, va rilevato che, secondo questa Corte, in tema di licenziamento collettivo, il relativo annullamento per violazione dei criteri di scelta ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 5, non può essere domandato indistintamente da ciascuno dei lavoratori licenziati ma soltanto da coloro che, tra essi, abbiano in concreto subito un pregiudizio per effetto della violazione, perchè avente rilievo determinante rispetto alla collocazione in mobilità dei lavoratori stessi (Cass. 13871 del 22/05/2019; Cass. n. 24558 dell’1.12.2016).

Tale giurisprudenza, muove dalla premessa secondo cui l’invalidità del licenziamento collettivo per violazione dei criteri di scelta rientra nel novero dell’annullabilità ex art. 1441 c.c., comma 1 e non in quello della nullità, talchè l’azione per l’annullamento può essere proposta non da chiunque vi abbia interesse (inteso in termini di interesse ad agire) ma soltanto da parte dei titolari dell’interesse di diritto sostanziale.

1.2. In base a tale insegnamento, nell’ipotesi di annullabilità del licenziamento per violazione dei criteri di scelta, l’annullamento non può essere domandato indistintamente da ciascuno dei lavoratori licenziati ma soltanto da quelli in ordine ai quali la violazione abbia influito sulla collocazione in mobilità del lavoratore.

2. Orbene, dalla fattispecie in esame si evince che parte ricorrente non fa valere una violazione stricto sensu dei criteri di scelta, bensì, piuttosto, il rilievo attribuito alle esigenze tecnico produttive (unitamente a carichi di famiglia e anzianità) quali criteri di scelta: tale opzione, a sua detta, sarebbe ridondata in danno per la ricorrente non essendole stato attribuito il punteggio aggiuntivo di 30, riconosciuto agli altri settori – per le esigenze aziendali appunto – in quanto addetta al settore CUP in via di dismissione.

Nondimeno, va ricordato come, ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3, il recesso di cui all’art. 4, comma 9, è inefficace soltanto qualora sia intimato senza l’osservanza della forma scritta o in violazione delle procedure richiamate dall’art. 4, comma 12, ed è annullabile per violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1, della medesima disposizione.

Il comma 12, statuisce che le comunicazioni di cui al comma 9, siano prive di efficacia ove effettuate senza l’osservanza della forma scritta e delle procedure previste dalla norma e che gli eventuali vizi della comunicazione di cui al comma 2, possono essere sanati, ad ogni effetto di legge, nell’ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo.

2.1. Orbene, appare evidente già dalla piana lettura dell’assetto normativo richiamato che, al di là delle ipotesi di licenziamento privo della forma scritta inefficace de jure già in base ai principi generali – possa ipotizzarsi il difetto di efficacia della comunicazione inerente il recesso soltanto qualora non risultino rispettate le procedure previste dalla legge e posto che eventuali vizi relativi alla comunicazione alle rappresentanze sindacali di cui dell’art. 4 medesimo, comma 2, possono in ogni caso essere sanate nell’ambito dell’accordo sindacale che venga concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo.

D’altro canto, della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3, nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 46, stabilisce che qualora il licenziamento sia intimato senza l’osservanza della forma scritta, si applica il regime sanzionatorio di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 1 e successive modificazioni. In caso di violazione delle procedure richiamate all’art. 4, comma 12, si applica il regime di cui del predetto art. 18, comma 7, terzo periodo. In caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1, si applica il regime di cui del medesimo art. 18, comma 4.

2.2. Nel caso di specie, la ridotta anzianità della ricorrente e l’assenza di carichi di famiglia inducono ad affermare che, anche qualora fosse stato alla stessa attribuito il punteggio di 30, eccettuato per tutti i dipendenti addetti al CUP, la lavoratrice non avrebbe avuto una collocazione utile nella graduatoria atta ad escluderne la licenziabilità, nè è stato addotto qualsivoglia elemento che, a fronte dell’accordo sindacale stipulato in data 04/01/2016, possa minimamente indurre a configurare la decisione di porre le esigenze tecnico produttive fra i motivi di scelta, in termini di motivo illecito determinante che, solo, avrebbe potuto cagionare l’applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1, nella nuova formulazione.

La circostanza che parte ricorrente abbia del tutto omesso di addurre qualsivoglia elemento a sostegno del proprio personale interesse alla diversa determinazione dei criteri di scelta e, cioè, in ordine alla sussistenza di una diretta ripercussione sulla propria sfera giuridica della decisione di attribuire rilievo alle esigenze tecnico – produttive nell’accordo sindacale intercorso fra le parti sociali in data 04/01/2016 induce a confermare la carenza di interesse della stessa che risulta, poi, avvalorata dalle conclusioni già raggiunte in secondo grado dalla Corte territoriale.

Hanno precisato, al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 34469 del 27/12/2019), non solo che sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure afferenti a domande di cui non vi sia compiuta riproduzione nel ricorso, ma anche quelle fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità;

D’altra parte, è consolidato il principio secondo cui i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso (ex plurimis, Cass. n. 29093 del 13/11/2018).

4. Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

4.1. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

4.1.1. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e comma 1 quater, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.250,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021

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