Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9827 del 14/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 14/04/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 14/04/2021), n.9827

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1578/2019 proposto da:

E.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CALABRIA

56, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI D’AMATO, rappresentato e

difeso dall’avvocato SERENA CHIANESE;

– ricorrente –

contro

ISVEIMER S.P.A., IN LIQUIDAZIONE – ISTITUTO PER LO SVILUPPO ECONOMICO

DELL’ITALIA MERIDIONALE SOCIETA’ PER AZIONI IN LIQUIDAZIONE, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA BENETTO CAIROLI 2, presso lo studio

dell’avvocato ANGELO ABIGNENTE, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4233/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/07/2018 R.G.N. 5453/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/12/2020 dal Consigliere Dott. VALERIA PICCONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità e in subordine

rigetto;

udito l’Avvocato SERENA CHIANESE.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 30 luglio 2018, la Corte d’appello di Napoli, in accoglimento dell’impugnazione proposta dall’ISVEIMER – Istituto per lo sviluppo economico dell’Italia meridionale – S.p.A., ha riformato la decisione di primo grado che, in accoglimento della domanda avanzata da E.G., aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato al lavoratore in data 16/12/1998 e condannato la società al risarcimento del danno, pari alle retribuzioni globali di fatto maturate dalla medesima data sino all’1/12/2000, epoca di cessazione dell’attività aziendale, oltre accessori.

1.1. In particolare, il giudice di secondo grado ha ritenuto non condivisibili le considerazioni svolte dal Tribunale con riguardo alla natura ed agli effetti della impugnativa del licenziamento collettivo, reputando il lavoratore decaduto dall’impugnativa del recesso nonchè prescritta l’azione volta ad aggredirlo alla luce dell’intervenuta impugnativa giudiziale nel 2009, a distanza, quindi, di undici anni dalla data del licenziamento.

2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso, assistito da memoria, E.G., affidandolo ad un unico, articolato motivo.

2.1. Resiste, con controricorso, la ISVEIMER S.p.A. in liquidazione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo di ricorso, si deduce la violazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, commi 3, 9 e 12 e art. 5, comma 3, nonchè della L. n. 300 del 1970, art. 18 e art. 1442 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, per aver la sentenza di secondo grado ritenuto che il recesso intimato al ricorrente fosse annullabile e non affetto da inefficacia, giusta il disposto di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 12.

In particolare, parte ricorrente allega che nell’accordo sottoscritto con le O.O.S.S. in data 25/11/1998 non risultavano indicati i criteri di scelta richiesti dal mentovato art. 4, lasciandosi i Liquidatori liberi di procedere secondo la massima discrezionalità e senza possibilità, quindi, di controllo sui licenziamenti attuati nel tempo.

1.1. Il motivo è infondato e, pertanto, non può essere accolto.

Nel caso di specie, parte ricorrente lamenta, sin dalla prospettazione della vicenda dinanzi al giudice di primo grado, la omissione nelle comunicazioni dei criteri di scelta.

Giova premettere, al riguardo, che, ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3, il recesso di cui all’art. 4, comma 9, è inefficace qualora sia intimato senza l’osservanza della forma scritta o in violazione delle procedure richiamate dall’art. 4, comma 12, ed è annullabile per violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1, della medesima disposizione.

Il comma 12, statuisce che le comunicazioni di cui al comma 9, siano prive di efficacia ove effettuate senza l’osservanza della forma scritta e delle procedure previste dalla norma e che gli eventuali vizi della comunicazione di cui al comma 2, possono essere sanati, ad ogni effetto di legge, nell’ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo.

1.2. Orbene, appare evidente già dalla piana lettura della disposizione normativa che, al di là delle ipotesi di licenziamento privo della forma scritta inefficace de jure già in base ai principi generali – possa ipotizzarsi il difetto di efficacia della comunicazione inerente il recesso soltanto qualora non risultino rispettate le procedure previste dalla legge e posto che eventuali vizi relativi alla comunicazione alle rappresentanze sindacali di cui dell’art. 4 medesimo, comma 2, possono in ogni caso essere sanate nell’ambito dell’accordo sindacale che venga concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo.

In particolare, della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3, nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 46, stabilisce che qualora il licenziamento sia intimato senza l’osservanza della forma scritta, si applica il regime sanzionatorio di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 1 e successive modificazioni. In caso di violazione delle procedure richiamate all’art. 4, comma 12, si applica il regime di cui del predetto art. 18, comma 7, terzo periodo. In caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1, si applica il regime di cui del medesimo art. 18, comma 4.

Conseguenza della lamentata violazione sarà, comunque, come ovviamente nel caso di specie, la possibilità di esercitare l’azione di annullamento del licenziamento intimato.

2.Deve, quindi, osservarsi come già con riguardo alla decadenza dall’impugnativa, questa Corte (Cass. n. 10343 del 19.05.1996, n. 18216 del 21.8.2006, n. 5545 del 9.3.2007, n. 5107 del 3.3.2010) abbia precisato, come correttamente evidenziato dal giudice di secondo grado, che l’ordinamento prevede per la risoluzione del rapporto di lavoro una disciplina speciale, diversa da quella ordinaria, all’interno della quale è stato inserito un termine breve di decadenza (sessanta giorni) per l’impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore (L. n. 604 del 1966, art. 6, nonchè, per quanto qui interessa, L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3) all’evidente fine di dare certezza ai rapporti giuridici e garanzia della certezza della situazione di fatto determinata dal recesso datoriale, ritenendo tale certezza valore preminente.

Al lavoratore che non abbia impugnato nel termine di decadenza suddetto il licenziamento è precluso, conseguentemente, il diritto di far accertare in sede giudiziale la illegittimità del recesso e di conseguire il risarcimento del danno, nella misura prevista dalle leggi speciali (L. n. 604 del 1966, art. 8 e L. n. 300 del 1970, art. 18).

Qualora peraltro, tale onere non venga assolto, il giudice non può conoscere della illegittimità del licenziamento neppure per ricollegare, di per sè, al recesso conseguenze risarcitorie di diritto comune: la decadenza, infatti, impedisce al lavoratore di richiedere il risarcimento del danno secondo le norme codicistiche ordinarie, nella misura in cui non consente di far accertare in sede giudiziale la illegittimità del licenziamento.

Il sistema delle preclusioni non muta là dove, come nella specie, si versi in una ipotesi di impugnativa riguardante vizi del procedimento del licenziamento collettivo, essendo stato precisato (fra le altre, Cass. n. 10235 del 4.5.2009) che la decadenza dall’impugnativa del licenziamento, individuale o collettivo, preclude l’accertamento giudiziale dell’illegittimità del recesso e la tutela risarcitoria di diritto comune, venendo a mancare il necessario presupposto, sia sul piano contrattuale, sia sul piano extracontrattuale, ove il comportamento illecito dello stesso datore consista, in sostanza, proprio e soltanto nell’illegittimità del recesso.

Anzi, proprio con riferimento ai licenziamenti collettivi, è stato affermato più di recente (Cass. n. 31992/2018) che dalla stessa lettura della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3 (ante riforma) e L. n. 604 del 1966, art. 6, si evince che ancor prima della modifica, ad opera della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 46, del menzionato art. 5 (che previde esplicitamente l’applicazione ai licenziamenti collettivi del regime di impugnazione di cui novellato della L. n. 64 del 1966, art. 6), tale ultima norma (L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3, ante riforma), pur non menzionando esplicitamente della L. n. 604 del 1966, art. 6, in tema di impugnazione del licenziamento, ne riproduceva esattamente il contenuto (“il recesso può essere impugnato entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento delle organizzazioni sindacali”); talchè deve ritenersi che della L. n. 92 del 2012, detto art. 1, comma 46 (“Ai fini dell’impugnazione del licenziamento (collettivo) si applicano le disposizioni di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6 e successive modificazioni”) non abbia affatto natura innovativa (con conseguente effetto ex nunc), bensì ricognitiva del regime normativo applicabile all’impugnazione del licenziamento collettivo, con la conseguenza, derivante dalla soggezione ab origine al regime impugnatorio di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6, dell’applicabilità, ai licenziamenti collettivi, anche della successiva disciplina in tema di decadenza dall’impugnazione.

2.1. Quanto alla questione del regime prescrizionale applicabile, si è affermato (Cass. n. 10343/2016 cit., Cass. 11/09.2018, n. 22072, Cass. n. 24366 dell’1/12/2010) che una volta che, a mezzo di atto stragiudiziale, sia stata evitata la decadenza prevista dalla L. n. 604 del 1966, art. 6, la successiva azione giudiziale di annullamento del licenziamento illegittimo deve essere in ogni caso proposta nel termine quinquennale di prescrizione di cui all’art. 1442 c.c., che decorre dal giorno di ricezione dell’atto di intimazione, (in senso conf. v. anche Cass. Sez. Lav. n. 18732 del 6.8.2013 secondo cui la prescrizione quinquennale dell’azione volta ad impugnare il licenziamento illegittimo determina – al pari della decadenza dall’impugnativa del licenziamento l’estinzione del diritto di far accertare l’illegittimità del recesso datoriale e, quindi, di azionare le conseguenti pretese risarcitorie, residuando, in favore del lavoratore licenziato, la sola tutela di diritto comune per far valere un danno diverso da quello previsto dalla normativa speciale sui licenziamenti, quale ad esempio quello derivante da licenziamento ingiurioso).

E’ evidente che a tale principio non si sottrae il caso di specie, nel quale, intimato il licenziamento nel 1998, al momento dell’impugnativa, nel 2009, il termine di prescrizione quinquennale era ampiamente trascorso; immaginare una imprescrittibilità dell’azione di annullamento sarebbe, d’altro canto, contrario al principio fondamentale della certezza dei rapporti giuridici nell’ambito delle preclusioni dipendenti da cause di decadenza e di estinzione dei diritti all’interno dello stesso sistema dell’impugnativa dei licenziamenti.

4. Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto.

4.1. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

4.1.1. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per ciascun ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e comma 1 quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte, respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.250,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021

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