Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9823 del 14/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 14/04/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 14/04/2021), n.9823

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13419/2018 proposto da:

LA PLAYA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI

SANNA;

– ricorrente –

contro

C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA

109, presso lo studio dell’avvocato BIAGIO BERTOLONE, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati STEFANIA GARBARINO,

GIANEMILIO GENOVESI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 58/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 26/02/2018 R.G.N. 434/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/11/2320 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. la Corte di Appello di Genova, con sentenza n. 434 del 26 febbraio 2018, ha confermato la pronuncia di primo grado nella parte in cui ha ritenuto la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra C.C. e La Playa Srl dal 6 maggio 2014 al 1 giugno 2014, condannando quest’ultima al pagamento della somma di Euro 5.181,94, oltre accessori, a titolo di differenze retributive, mentre, in accoglimento parziale dell’appello proposto dalla società, ha riformato la sentenza impugnata nella parte in cui aveva affermato il diritto della C. a riprendere il posto di lavoro e condannato La Playa Srl a versare l’indennità risarcitoria prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32;

2. sul gravame della società che lamentava l’inammissibilità della prova testimoniale assunta in primo grado, la Corte territoriale ha ritenuto rispettato il disposto degli artt. 230 e 244 c.p.c., a nulla rilevando che all’interno dei vari capitoli vi fossero espressioni valutative, posto che, trattandosi di elementi di contorno, essi non trasformavano la deduzione in fatto in una deduzione valutativa e – secondo la Corte – le stesse ben potevano essere espunte “come è infatti avvenuto nell’espletamento della prova testimoniale, non avendo i testi formulato alcuna valutazione”; “in ogni caso” si è richiamata la giurisprudenza di legittimità secondo cui, in materia di prova testimoniale, poichè nel rito del lavoro i fatti da allegare devono essere indicati in maniera specifica negli atti introduttivi, affinchè le richieste probatorie rispondano al requisito di specificità è sufficiente indicare, quale oggetto dei mezzi di prova, i fatti inizialmente allegati, senza necessità di riformulazione in capitoli separati;

quanto alle spese del giudizio, la Corte genovese, tenuto conto della necessità di valutare unitariamente l’esito del giudizio ai fini della pronuncia sulle spese di lite e considerato che non era stata accolta la domanda di condanna al pagamento dell’indennizzo della L. n. 183 del 2010, ex art. 32, ha reputato equo compensare per un quarto le spese di entrambi i gradi di giudizio, ponendo i residui tre quarti a carico della società appellante;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso La Playa s.r.l. con 2 motivi, cui ha resistito la C. con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 230,244,253, c.p.c., in relazione al combinato disposto di cui all’art. 414 c.p.c., comma 1, n. 5, art. 416 c.p.c., comma 3 e art. 421 c.p.c.; si deduce che la Corte di Appello di Genova non avrebbe minimamente considerato che il mero richiamo al contenuto del ricorso introduttivo aveva comportato non solo l’inammissibilità della prova orale dedotta, ma tale inammissibilità si era riverberata anche sul modo attraverso il quale la prova era stata assunta;

la censura è priva di fondamento;

per quanto riguarda il primo aspetto la Corte territoriale ha fatto applicazione del saldo principio giurisprudenziale, pure richiamato in motivazione, secondo cui, poichè nel rito del lavoro i fatti da allegare devono essere indicati in maniera specifica negli atti introduttivi, affinchè le richieste probatorie rispondano al requisito di specificità è sufficiente indicare come mezzi di prova i fatti allegati a fondamento delle pretese iniziali, senza necessità di riformularli separatamente come capi di prova (Cass. n. 19915 del 2016; Cass. n. 6214 del 2003); peraltro questa Corte ha altresì ripetutamente affermato (Cass. n. 17649 del 2010; Cass. n. 1130 del 2005; Cass. n. 16529 del 2004) che il giudice di merito nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 421 c.p.c., può assegnare alle parti un termine per porre rimedio alla irregolarità riscontrata nella indicazione dei capitoli di prova, con l’invito ad una nuova formulazione degli stessi e che ciò comporta, in applicazione della particolare disciplina del quinto e dell’art. 420 c.p.c., comma 6, la decadenza della parte dal diritto di assumere la prova soltanto nell’ipotesi di mancata ottemperanza a tale invito nel termine fissato;

per quanto attiene, invece, il secondo aspetto, opportuno premettere che la disposizione dell’art. 244 c.p.c., sulla necessità di un’indicazione specifica dei fatti da provare per testimoni non va intesa in modo rigorosamente formalistico, ma in relazione all’oggetto della prova, cosicchè, qualora questa riguardi un comportamento o un’attività che si frazioni in circostanze molteplici, è sufficiente la precisazione della natura di detto comportamento o di detta attività (fermo restando che nell’interpretazione del significato e della portata delle deduzioni probatorie occorre tenere presente la loro finalità, in relazione alla concreta materia del contendere), in modo da permettere alla controparte di contrastarne la prova, attraverso la deduzione e l’accertamento di attività o comportamenti di carattere diverso, spettando peraltro al difensore e al giudice, durante l’esperimento del mezzo istruttorio, una volta che i fatti siano stati indicati nei loro estremi essenziali, l’eventuale individuazione dei dettagli (Cass. n. 5842 del 2002; Cass. n. 11844 del 2006);

si è pure giudicato corretto, nel rito del lavoro, l’operato del giudice che, nell’ambito di una controversia promossa per accertare la natura subordinata di un rapporto di lavoro, chieda al testimone di precisare, al di fuori delle circostanze capitolate, se veniva rispettato un orario di lavoro, quali fossero le mansioni svolte dal prestatore nonchè in quale posizione materiale la prestazione fosse effettuata, dovendosi ritenere che la possibilità di porre tali domande sia consentita, se non anche imposta, dall’art. 421 c.p.c. e ciò tanto più ove al ricorso siano stati allegati conteggi elaborati sul presupposto dello svolgimento di determinate mansioni e orari e la controparte abbia contestato, oltre alla natura subordinata del rapporto, anche lo svolgimento di un orario a tempo pieno (Cass. n. 1863 del 2010);

in definitiva la censura si rivolge, quindi, alle modalità di ammissione e di assunzione della prova testimoniale, ma è noto che la violazione delle formalità stabilite per l’ammissione della prova testimoniale, giacchè ritenuta lesiva soltanto di interessi individuali delle parti, rimane affidata al meccanismo dell’art. 157 c.p.c., comma 2; pertanto deve essere eccepita dalla parte interessata prima dell’ammissione del mezzo istruttorio e qualora, nonostante l’eccezione di inammissibilità, la prova sia stata ugualmente assunta, è onere della parte interessata opporne la nullità secondo le modalità dettate dall’art. 157 c.p.c., comma 2, rimanendo altrimenti la stessa ritualmente acquisita, senza che detta nullità possa più essere fatta valere in sede di impugnazione, men che meno in Cassazione laddove non si deduca e provi che l’eccezione sia stata tempestivamente sollevata e successivamente coltivata (cfr., da ultimo, Cass. SS.UU. n. 16723 del 2020);

2. il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91,112,346 c.p.c., ritenendo errata la liquidazione operata dalla Corte di Appello per quanto riguarda il primo grado di giudizio; si rammenta che il Tribunale di Savona aveva liquidato le spese di lite a carico della società nella misura di Euro 1952,30, oltre accessori, e che tale capo di sentenza non era stato gravato da appello incidentale dalla C., per cui, secondo parte ricorrente detta somma di denaro per le spese del primo grado avrebbe dovuto tenere conto della compensazione così come disposta in secondo grado;

la doglianza non merita accoglimento;

anche in questo caso la Corte territoriale ha fatto applicazione di un principio consolidato secondo cui, in materia di procedimento civile, il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, mentre, solo in caso di conferma integrale della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (v. Cass. n. 9064 del 2018; Cass. n. 11423 del 2016; Cass. n. 15483 del 2008; Cass. n. 974 del 2007; Cass. n. 15557 del 2005);

peraltro, quanto alla pretesa reformatio in peius di cui avrebbe beneficiato la C. che non aveva appellato, è appena il caso di rilevare che parte ricorrente non può lamentarsi che sia stata disposta una rinnovata quantificazione delle spese già liquidate in primo grado, pur in assenza di impugnazione della lavoratrice, e, nel contempo, pretendere di avvantaggiarsi della compensazione parziale appunto disposta in grado d’appello;

3. conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per i ricorsi proposti, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società al pagamento delle spese liquidate in complessivi Euro 3.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i ricorsi presentati a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021

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