Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9823 del 13/05/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 9823 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: GARRI FABRIZIA

SENTENZA
sul ricorso 14240-2012 proposto da:

AEM TORINO DISTRIBUZIONE SPA 08475780014, in persona
dell’Amministratore delegato, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato GERARDO
VESCI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
RUGGERO PONZONE, MARCO GUASCO giusta procura speciale
a margine del ricorso;

– ricorrente A

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante, in

Data pubblicazione: 13/05/2015

proprio e quale procuratore speciale della Società di Cartolarizzazione
dei Crediti Inps (S.C.C.I.) Spa, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA CESARE BECCARIA 29, presso

rAvv(DCATURA

CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati
CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, ANTONINO SGROI

contronCorrente
nonchè contro

EQUITALIA NOMOS SPA;
– intimata avverso la sentenza n. 1032/2011 della CORTE D’APPELLO di
TORINO del 4/10/2011, depositata l’01/12/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
26/02/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI;
udito l’Avvocato Sciplino Ester (delega verbale avvocato Sgroi)
difensore del controricorrente che si riporta agli scritti.
FATTO E DIRITTO
La AEM Torino Distribuzione s.p.a. (AEM Distribuzione) e la IRIDE
s.p.a. ora IREN s.p.a. proponevano opposizione avverso cartella
esattoriale con la quale alla prima società era chiesto il pagamento in
favore dell’ INPS della somma di C 121.881,12 a titolo di contributi
per CIGO, CIGS, mobilità, disoccupazione involontaria, sanzioni ed
interessi. Il Tribunale accoglieva la opposizione annullando la cartella
opposta. La Corte di appello di Torino, in riforma della sentenza di
primo grado, respingeva l’opposizione proposta.
Per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso la IRIDE
s.p.a ora IREN s.p.a e la AE.M s.p.a. sulla base di cinque o motivi.
L’ INPS, anche quale procuratore speciale di S.C.CI. s.p.a., ha
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giusta mandato speciale in calce al controricorso;

depositato tempestivo controricorso. Equitalia Nomos s.p.a è rimasta
intimata.
Con il primo motivo le società ricorrenti, deducendo plurime
violazioni di norme di diritto nonché -vizio di motivazione, hanno
censurato la decisione per avere ritenuto dovuti i contributi per CIGS

gestione dei servizi pubblici da parte degli enti locali, rilevato che in
base al disposto della L. n. 448 del 2001, art. 35 detti enti, per la
gestione di servizi, reti, impianti e beni sono tenuti ad avvalersi di
soggetti allo scopo costituiti nella forma di società di capitali con la
partecipazione maggioritaria degli enti locali, anche associati, hanno
sostenuto che la partecipazione di soggetti pubblici al capitale sociale
comportava che esse ricorrenti dovessero essere annoverate
nell’ambito delle ” imprese industriali degli enti pubblici, anche se
municipalizzate”, esonerate, in base al disposto del D.C.P.S. n. 869 del
1947, art. 3 all’applicazione delle norme sull’integrazione dei guadagni
degli operai dell’industria. Hanno quindi dedotto il vizio di
motivazione della decisione impugnata con riferimento alle allegate
caratteristiche di esse società, che in ragione del peculiare oggetto, della
presenza di capitale pubblico, della assoluta dominanza” dell’ente
pubblico, dell’assoggettamento al regime di concessione pubblica ed al
controllo della Corte dei Conti non si prestavano ad essere inquadrate,
come invece avvenuto nella decisione impugnata, nell’ambito della
normale società per azioni di diritto comune.
Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione L. n.
223 del 1991, art. 16, commi 1 e 2, hanno censurato la decisione per
avere affermato la sussistenza dell’obbligo al contributo di mobilità.
Hanno richiamato le argomentazioni svolte a sostegno del primo
motivo in merito alla presenza di capitale pubblico, alla “dominanza”
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e CIGO. Ricostruita la evoluzione normativa in tema di modalità di

dell’ente pubblico, alla natura del servizio espletato, per sostenere che
esse ricorrenti non rientravano nel campo di applicazione della
disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale di cui
alla L. n. 223 del 1991, art. 16 ed erano pertanto sottratte alla
contribuzione per mobilità.

nonché vizio di motivazione, hanno censurato la decisione per avere
ritenuto dovuta la contribuzione per disoccupazione involontaria.
Richiamate le argomentazioni spese ad illustrazione dei motivi
precedenti in ordine alla presenza maggioritaria di capitale pubblico,
alla peculiarità dell’oggetto sociale rappresentato dalla gestione di un
pubblico servizio, all’assoggettamento al controllo pubblico – anche
della Corte dei Conti – hanno sostenuto che esse società erano
riconducibili alla categoria dell’azienda pubblica o esercente pubblici
servizi, esonerate, in base al disposto del R.D.L. n. 1827 del 1945, art.
40, n. 2 all’obbligo della contribuzione per disoccupazione
involontaria. L’insussistenza dell’obbligo contributivo per la
disoccupazione involontaria risultava, altresì confermata anche dalla L.
n. 133 del 2008, art. 20, comma 2, che ricomprende, in una nozione
unitaria “le imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali
privatizzate ed a capitale misto”, sancendo il venire meno della pretesa
contributiva per il periodo anteriore al 1 gennaio 2009.
Con il quarto motivo, ad integrazione dei precedenti, hanno
denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 comma 1 del
DLCPS 12.8.1947 n. 869, dell’art. 16 commi 1 e 2 della 1. n. 223 del
1991, dell’art. 40 n. 2 RDL n. 1827 del 1935, dell’art. 20 commi 2,4,5 e
6 della L. n. 133 del 2008 e dell’art. 2112 c.c. in relazione all’art. 360
comma 1 n. 3 c.p.c..

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Con il terzo motivo, deducendo plurime violazioni di norme di diritto

Con l’ultimo motivo, infine, deducendo violazione e falsa applicazione
della L. n. 388 del 2000, art. 116, commi 8 e art. 15 hanno censurato la
decisione perché “atteso il contrasto interpretativo” le sanzioni
aggiuntive avrebbero dovuto essere applicate nella misura ridotta
prevista per tale ipotesi dall’art. 116 cit., art. 5.

orientamento di questa Corte (v., tra le altre, Cass. n. 14847/2009, n.
5816/2010, n. 19087, n. 20818, n. 20819, n. 22318, n. 27513/ 2013, n.
14089 e n. 13721/2014) in tema di contribuzione previdenziale, le
società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a
prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l’esercizio di attività
industriali sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali
previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo
trovare applicazione l’esenzione stabilita per le imprese industriali degli
enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata,
finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di
concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo
esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando
irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella
propria dello schema societario, la mera partecipazione – pur
maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico. È stato
in particolare precisato che la forma societaria di diritto privato è per
l’ente locale la modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge
e prescelta dall’ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in
cui il perseguimento dell’obiettivo pubblico è caratterizzato
dall’accettazione delle regole del diritto privato e che la finalità
perseguita dal legislatore nazionale e comunitario nella promozione di
strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali è
specificamente quella di non ledere le dinamiche della concorrenza,
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Il primo motivo è manifestamente infondato. Secondo il consolidato

assumendo rilevanza determinante, in ordine all’obbligo contributivo, il
passaggio del personale addetto alla gestione del servizio dal regime
pubblicistico a quello privatistico. (Cass. n. 20818/2013, Cass.
27513/2013). Le argomentazioni delle odierni ricorrenti ripropongono
questioni già esaminate e disattese dai precedenti giurisprudenziali

Anche gli altri motivi di ricorso, sono manifestamente infondati.
In numerose pronunzie, questa Corte, richiamata la normativa di
riferimento, all’epoca costituita dal R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 40 e
dal D.P.R. n. 818 del 1957, art. 36 bis ha affermato che dalla
coordinata lettura di tali norme si evince che: anche in relazione al
personale dipendente delle aziende esercenti pubblici servizi
l’esenzione dall’assicurazione obbligatoria per la disoccupazione
volontaria opera soltanto ove ai medesimi sia garantita la stabilità
d’impiego; anche in relazione ai personale dipendente delle aziende
esercenti pubblici servizi detta stabilità d’impiego, ove non risultante da
norme regolanti lo stato giuridico e il trattamento economico, deve
essere accertata dal Ministero competente su domanda del datore di
lavoro, con decorrenza dalla data di tale domanda.
In difetto di disposizioni di legge o regolamentari specificamente
riguardanti la tipologia d’impresa cui appartengono le ricorrenti diviene
quindi sostanzialmente irrilevante, ai fini de quibus, accertare se alla
stessa debba o meno essere riconosciuta la qualifica di azienda
esercente un pubblico servizio, posto che, anche in ipotesi affermativa,
da ciò non potrebbe farsene derivare, de plano, l’invocata esenzione
contributiva.
Del pari, non essendo ricomprese le clausole pattizie di cui alla
contrattazione collettiva di diritto comune fra le “norme regolanti lo
stato giuridico e il trattamento economico”, l’eventuale stabilità
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richiamati ai quali, pertanto, va data continuità.

d’impiego garantita da detta contrattazione collettiva non potrebbe di
per sé condurre all’esenzione contributiva in difetto di domanda di
accertamento al riguardo da parte del datore di lavoro e di conseguente
riconoscimento di detta stabilità da parte dell’Autorità amministrativa
competente., (cfr, altresì, sul punto, ex plutimis, Cass. n. 18455/ 2014,

In merito poi al riconoscimento amministrativo della “stabilità di
impiego” si rileva che nel caso di specie le ricorrenti non deducono di
avere inoltrato la domanda, ne’ tanto meno, che sia stata riconosciuta
nei loro confronti la stabilità d’impiego dei dipendenti. Sostengono
invece, di essere “subentrate”, in quanto società derivate, nell’esonero
contributivo a suo tempo accordato all’azienda municipalizzata AEM.
L’assunto non può essere condiviso, sia perché l’azienda
municipalizzata AEM, oggi non più esistente, era un soggetto giuridico
diverso dalla società per azioni in cui venne trasformata e, a fortiori,,
dalle altre società che da quest’ultima sono state scorporate; sia perché,
essendo stata la valutazione della sussistenza della stabilità d’impiego
per i dipendenti dell’azienda municipali7zata AEM necessariamente
resa in relazione alle disposizioni vigenti all’epoca il riconoscimento
invocato non è parametrablle alla diversa disciplina vigente all’epoca
dei fatti per cui è causa, atteso che i contratti collettivi di lavoro che,
secondo l’assunto della parte ricorrente, regolano il rapporto d’impiego
dei dipendenti, sono stati conclusi a distanza di molti anni (cfr. altresì,
sul punto, ex plurimis, Cass. n. 13721/2014, n. 28022/2013, n.
24524/2013).
Non avendo, anche in questo caso, parte ricorrente offerto argomenti
diversi ed ulteriori rispetto a quelli esaminati e disattesi dal giudice di
legittimità nelle pronunce sopra richiamate la decisione di appello deve
essere confermata.
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n. 28022/2014, n. 20139/2014; n. 24524/2013).

Anche l’ultimo motivo deve essere respinto.
Si premette che parte ricorrente nel censurare la decisione di appello in
ordine alla mancata applicazione delle sanzioni in misura ridotta si è
limitata a dedurre che il contrasto di orientamenti giustificava tale
riduzione, ai sensi dell’art.116 comma 15 1. n. 388 del 2000, senza

premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali. Formulato in
questi termini il motivo si rivela inidoneo a validamente censurare la
statuizione del giudice di appello atteso che, secondo quanto già
affermato da questa Corte (Cass. n. 27513/ 2013) il citato comma 15,
pone come premessa per la riduzione delle sanzioni civili, in caso di
ritardato o omesso pagamento dei contributi “derivanti da oggettive
incertezze connesse a contrastanti ovvero sopravvenuti diversi
orientamenti giurisprudenziali o determinazioni amministrative sulla
ricorrenza dell’obbligo contributivo successivamente riconosciuto in
sede giurisdizionale o amministrativa in relazione alla particolare
rilevanza delle incertezze interpretative che hanno dato luogo alla
inadempienza”, l’integrale pagamento dei contributi e dei premi dovuti
alle gestioni previdenziali e assistenziali”.
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna le società ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità in favore della parte controricorrente che liquida in
complessivi € 7.000,00 per compensi professionali, € 100,00 per
esborsi, oltre spese forfettizzate al 15% ed accessoti di legge.
Ric. 2012 n. 14240 sez. ML – ud. 26-02-2015
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allegare di avere provveduto all’integrale pagamento dei contributi e dei

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2015

Il Consigliere estensore

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