Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9822 del 04/05/2011

Cassazione civile sez. I, 04/05/2011, (ud. 09/02/2011, dep. 04/05/2011), n.9822

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.A., con domicilio eletto in Roma, via Giulia di

Colloredo Ud. 9 feb. 2011 n. 46/48, presso l’Avv. De Paola Gabriele

che lo rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura generale

dello Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via

dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Venezia n.

86/2008 VG depositato il 7 maggio 2009;

nonchè sul ricorso n. 16789/10 proposto da:

T.G., con domicilio eletto in Roma, via Giulia di

Colloredo n. 46/48, presso l’Avv. De Paola Gabriele che lo

rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro

pro-

tempore, rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura generale

dello Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via

dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Venezia n.

13/2008 VG depositato il 7 maggio 2009;

nonchè sul ricorso n. 16791/10 proposto da:

S.M., con domicilio eletto in Roma, via Giulia di

Colloredo n. 46/48, presso l’Avv. De Paola Gabriele che lo

rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura generale

dello Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via

dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Venezia n.

93/2008 VG depositato il 7 maggio 2009;

Udite le relazioni delle cause svolte nella pubblica udienza del

giorno 9 febbraio 2010 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli;

sentito il P.G. nella persona del Dott. Patrone Ignazio che ha

concluso per il rigetto dei primo due ricorsi e l’accoglimento del

terzo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.A., T.G. e S.M. ricorrono per cassazione con separati atti nei confronti dei decreti in epigrafe della Corte d’appello che, liquidando Euro 4.470,00 per ognuno di loro per anni undici e mesi due di ritardo, ha accolto parzialmente i loro ricorsi con i quali è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata dello stesso processo (R.G. n. 17337/94) svoltosi in primo grado avanti al TAR del Lazio a far tempo dal dicembre 1994 e ancora non definito alla data di presentazione delle domande (rispettivamente 22.1.2008, 3.1.2008, 22.1.2008).

Resiste l’Amministrazione con controricorsi.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi debbono preliminarmente essere riuniti benchè siano stati proposti avverso decisioni diverse. Premesso che sono principi già affermati quelli secondo cui “La riunione dei procedimenti, in applicazione della norma generale di cui all’art. 274 c.p.c., è ammessa anche nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione, atteso che, tra i compiti di quest’ultima, oltre a quello istituzionale di garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale, rientra anche l’altro di assicurare l’economia ed il minor costo dei giudizi, risultati cui mira la menzionata norma del codice di rito civile (Cassazione civile, sez. 3^, 20/12/2005, n. 28227) e “La riunione delle impugnazioni, obbligatoria ai sensi dell’art. 335 c.p.c., ove investano la stessa sentenza, può essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro diverse sentenze pronunciate fra le medesime parti, in relazione a ragioni di unitarietà sostanziale e processuale della controversia; ed invero dalle disposizioni del codice di rito prescriventi l’obbligatorietà della riunione, in fase di impugnazione, di procedimenti formalmente distinti, in presenza di cause esplicitamente ritenute dal legislatore idonee a giustificare la trattazione congiunta (art. 335 c.p.c. e art. 151 disp. att. c.p.c.), è desumibile un principio generale secondo cui il giudice può ordinare la riunione in un solo processo di impugnazioni diverse, oltre i casi espressamente previsti, ove ravvisi In concreto elementi di connessione tali da rendere opportuno, per ragioni di economia processuale, il loro esame congiunto” (Cassazione civile, sez. 2^, 17/06/2008, n. 16405), non vi è dubbio che le ragioni che giustificano la trattazione congiunta nella fattispecie sussistano in quanto le pretese delle parti traggono origine dalla durata, ritenuta eccessiva, dello stesso giudizio al quale hanno congiuntamente partecipato e non sono stati evidenziati elementi che differenzino le diverse posizioni.

L’unico motivo, comune a tutti i ricorsi, con il quale si deduce violazione della L. n. 89 del 2001 e della Convenzione nonchè difetto di motivazione in relazione alla quantificazione del danno non patrimoniale che il giudice del merito ha determinato in Euro 4.470,00 per un giudizio amministrativo in corso da circa quattordici anni alla data (31 marzo 2009) considerata nella decisione è fondato in quanto tale valutazione non è conforme al parametro indicato dalla Corte con la sentenza n. 14753/2010 secondo cui, in fattispecie in cui non sia applicabile il disposto del D.L. n. 112 del 2008, art. 54 l’importo dell’indennizzo per giudizi avanti al giudice amministrativo protrattisi per lungo tempo l’indennizzo può essere liquidato in via forfettaria, liquidandolo in Euro 5.000,00 per una durata complessiva di circa dieci anni.

I ricorsi debbono dunque essere accolti e cassati i decreti impugnati.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito e, in applicazione della citata giurisprudenza, l’indennizzo liquidato in Euro 7.000,00 per ciascuno dei ricorrenti, oltre interessi di legge dalla data della domanda.

In considerazione del ridimensionamento della domanda le spese del giudizio di merito possono essere compensate per un mezzo mentre debbono essere poste a carico dell’Amministrazione soccombente quelle di questa fase.

Per quanto attiene alla liquidazione delle spese della fase di merito e ribadito che i ricorrenti sono stati tutti parti nel giudizio presupposto ma hanno presentati distinti ricorsi per il riconoscimento dell’equo indennizzo deve rilevarsi che la Corte ha ritenuto che una tale condotta integri una fattispecie di abuso del processo (Cass. civ., 3 maggio 2010, n. 10634). In particolare è stato rilevato quanto segue.

“La giurisprudenza della Corte ha già avuto modo di affrontare il tema dell’utilizzo dello strumento processuale con modalità tali da arrecare non solo un danno al debitore senza necessità o anche solo apprezzabile vantaggio per il creditore ma anche da interferire con il funzionamento dell’apparato giudiziario ed ha ritenuto una tale condotta lesiva sia del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza, in quanto contrastante con il dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., sia contraria ai principi del giusto processo in quanto la inutile moltiplicazione dei giudizi produce un effetto inflativo confliggente con l’obiettivo costituzionalizzato della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost. (Sent.

Sezioni Unite, 15 novembre 2007, n. 23726).

Tali principi, pur enunciati in tema di rapporti negoziali, possono trovare applicazione anche in fattispecie quali quella in esame laddove l’evento causativo dei danno e quindi giustificativo della pretesa sia identico come unico sia il soggetto che ne deve rispondere e plurimi soli i danneggiati i quali, dopo aver agito unitariamente nel processo presupposto così dimostrando la carenza di interesse alla diversificazione delle posizioni ed avere sostanzialmente tenuto la stessa condotta in fase di richiesta dell’indennizzo agendo contemporaneamente con identico patrocinio legale e proponendo domande connesse per l’oggetto e per il titolo, instaurano singolarmente procedimenti diversificati pur destinati inevitabilmente (come puntualmente avvenuto nella fattispecie) alla riunione.

Una tale condotta, che è priva di alcuna apprezzabile motivazione e incongrua rispetto alla rilevate modalità di gestione sostanzialmente unitaria delle comuni pretese, contrasta innanzitutto con l’inderogabile dovere di solidarietà sociale che osta all’esercizio di un diritto con modalità tali da arrecare un danno ad altri soggetti che non sia inevitabile conseguenza di un interesse degno di tutela dell’agente, danno che nella fattispecie graverebbe sullo Stato debitore a causa dell’aumento degli oneri processuali; ma contrasta altresì e soprattutto con il principio costituzionalizzato del giusto processo inteso come processo di ragionevole durata (SS.UU. n. 23726/07, sopra citata) posto che la proliferazione oggettivamente non necessaria dei procedimenti incide negativamente sull’organizzazione giudiziaria a causa dell’inflazione delle attività che comporta con la conseguenza di un generale allungamento dei tempi processuali.

Al riscontrato abuso delle strumento processuale non può tuttavia conseguire la sanzione dell’inammissibilità dei ricorsi, posto che non è l’accesso in sè allo strumento che è illegittimo ma le modalità con cui è avvenuto, ma comporta l’eliminazione per quanto possibile degli effetti distorsivi dell’abuso e quindi, nella fattispecie, la valutazione dell’onere delle spese come se unico fosse stato il procedimento fin dall’origine.

Le spese del giudizio di primo grado sono dunque liquidate come in dispositivo sulla base del valore corrispondente alla somma degli indennizzi riconosciuti.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi n. 16789/10 e 16791/10 al n. 16787/10 e li accoglie come in parte motiva; cassa in parte qua i decreti impugnati e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento a ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 7.000,00, oltre interessi in misura legale dalla data della domanda, nonchè al pagamento della metà delle spese del giudizio di merito che, per l’intero, liquida in complessivi Euro 1.344,00, di cui Euro 500,00 per onorari e 794,00 per diritti, compensato il residuo, e di quelle di questa fase che liquida in complessivi Euro 1.100,00; spese del giudizio di merito distratte in favore dei difensori antistatari.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2011

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