Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9821 del 13/05/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 9821 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: GARRI FABRIZIA

SENTENZA
sul ricorso 10886-2012 proposto da:
AEM TORINO DISTRIBUZIONE SPA 08475780014, in persona
dell’Amministratore delegato, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato GERARDO
VESCI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARCO
GUASCO, RUGGERO PONZONE giusta procura speciale a
margine del ricorso;

– ricorrente contro
IRIDE SPA, ora IREN SPA, in persona del Presidente e legale
rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RIPETTA

…14623

7v-3

Data pubblicazione: 13/05/2015

2
,

22, presso lo studio dell’Avvocato GERARDO VESCI, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati ATTILIO BONINI,
FABIOLA ZAMBON, giusta delega a margine della seconda pagina
del ricorso;

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante, in
proprio e quale procuratore speciale della Società di Cartolifizzazione
dei Crediti Inps (S.C.C.I.) Spa, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA CESARE BECCAR1A 29, presso l’AVVOCATURA
CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati
CARLA IYALOISIO, ANTONINO SGROI, LET IO MARITATO
giusta mandato speciale in calce al controricorso;
– controricorrente nonchè contro
EQUITALIA NORD SPA;
– intimata avverso la sentenza n. 1042/2011 della CORTE D’APPELLO di
TORINO del 5/10/2011, depositata il 27/10/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
26/02/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI;
udito l’Avvocato Sciplino Ester (delega verbale avvocato Antonino
Sgroi) difensore del controricorrente che ha chiesto il rigetto del
ricorso.
FATTO E DIRITTO

La AE.M Torino Distribuzione s.p.a. (AEM Distribuzione) e la IRIDE
Ric. 2012 n. 10886 sez. ML – ud. 26-02-2015
-2-

– ricorrente –

s.p.a. ora IREN s.p.a. proponevano opposizione avverso cartella
esattoriale con la quale alla prima società era chiesto il pagamento in
favore dell’ INPS della somma di € 285.255,50 a titolo di contributi
per CIGO, CIGS, mobilità, disoccupazione involontaria,
malattia/maternità, sanzioni ed interessi. Il Tribunale accoglieva la

Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riduceva la
condanna ad € 238.477,35 confermando l’obbligo contributivo in capo
alle società appellate quanto alla cassa integrazione guadagni ordinaria
e straordinaria, la disoccupazione involontaria e la mobilità, detraendo
per contro le somme chieste per malattia e maternità.
Per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso la IRIDE
s.p.a ora IREN s.p.a e la AEM s.p.a. sulla base di sei motivi.
L’ INPS, anche quale procuratore speciale di S.C.CI. s.p.a., ha
depositato tempestivo controricorso. Equitalia Nomos s.p.a (ora
Equitalia Nord s.p.a.) è rimasta intimata.
Con il primo motivo le società ricorrenti hanno denunciato la
violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art.
360 comma 1 n. 3 c.p.c. nonché il vizio di motivazione della sentenza
insufficiente ed illogica in relazione ad un punto decisivo della
controversia. Con il secondo motivo, poi, hanno dedotto plurime
violazioni di norme di diritto nonché vizio di motivazione, e censurato
la decisione per avere ritenuto dovuti i contributi per CIGS e CIGO.
Ricostruita la evoluzione normativa in tema di modalità di gestione dei
servizi pubblici da parte degli enti locali, rilevato che in base al
disposto della L. n. 448 del 2001, art 35 detti enti, per la gestione di
servizi, reti, impianti e beni sono tenuti ad avvalersi di soggetti allo
scopo costituiti nella forma di società di capitali con la partecipazione
maggioritaria degli enti locali, anche associati, hanno sostenuto che la
Ric. 2012 n. 10886 sez. ML – ud. 26-02-2015
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opposizione annullando la cartella opposta. La Corte di appello di

partecipazione di soggetti pubblici al capitale sociale comportava che
esse ricorrenti dovessero essere annoverate nell’ambito delle “imprese
industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate”, esonerate, in
base al disposto del D.C.P.S. n. 869 del 1947, art 3 all’applicazione
delle norme sull’integrazione dei guadagni degli operai dell’industria.

impugnata con riferimento alle allegate caratteristiche di esse società,
che in ragione del peculiare oggetto, della presenza di capitale
pubblico, della “assoluta dominanza” dell’ente pubblico,
dell’assoggettamento al regime di concessione pubblica ed al controllo
della Corte dei Conti non si prestavano ad essere inquadrate, come
invece avvenuto nella decisione impugnata, nell’ambito della normale
società per azioni di diritto comune.
Con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione L. n.
223 del 1991, art. 16, commi 1 e 2 nonché vizio si motivazione, hanno
censurato la decisione per avere affermato la sussistenza dell’obbligo al
contributo di mobilità. Hanno richiamato le argomentazioni svolte a
sostegno del primo motivo in merito alla presenza di capitale pubblico,
alla “dominanza” dell’ente pubblico, alla natura del servizio espletato,
per sostenere che esse ricorrenti non rientravano nel campo di
• applicazione

della disciplina dell’intervento straordinario di

integrazione salariale di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 16 ed erano
pertanto sottratte alla contribuzione per mobilità.
Con il quarto motivo, deducendo plurime violazioni di norme di diritto
nonché vizio di motivazione, hanno censurato la decisione per avere
ritenuto dovuta la contribuzione per disoccupazione involontaria.
Richiamate le argomentazioni spese ad illustrazione dei motivi
precedenti in ordine alla presenza maggioritaria di capitale pubblico,
alla peculiarità dell’oggetto sociale rappresentato dalla gestione di un
Ric. 2012 n. 10886 sez. ML ud. 26-02-2015
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Hanno quindi dedotto il vizio di motivazione della decisione

pubblico servizio, all’assoggettamento al controllo pubblico – anche
della Corte dei Conti – hanno sostenuto che esse società erano
riconducibili alla categoria dell’azienda pubblica o esercente pubblici
servizi, esonerate, in base al disposto del R.D.L. n. 1827 del 1945, art.
40, n. 2 all’obbligo della contribuzione per disoccupazione

disoccupazione involontaria risultava, altresì confermata anche dalla L.
n. 133 del 2008, art. 20, comma 2, che ricomprende, in una nozione
unitaria “le imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali
privatizzate ed a capitale misto”, sancendo il venire meno della pretesa
contributiva per il periodo anteriore al 1 gennaio 2009.
Con il quinto motivo, ad integrazione dei precedenti, hanno
denunciato la -violazione e falsa applicazione dell’art. 3 comma 1 del
DLCPS 12.8.1947 n. 869, dell’art. 16 commi 1 e 2 della 1. n. 223 del
1991, dell’art. 40 n. 2 RDL n. 1827 del 1935, dell’art. 20 commi 2,4,5 e
6 della L. n. 133 del 2008 e dell’art. 2112 c.c. in relazione all’art. 360
comma 1 n. 3 c.p.c..
Con l’ultimo motivo, infine, deducendo violazione e falsa applicazione
della L. n. 388 del 2000, art 116, commi 8 e art. 15 hanno censurato la
decisione perché “atteso il contrasto interpretativo” le sanzioni
aggiuntive avrebbero dovuto essere applicate nella misura ridotta
prevista per tale ipotesi dall’art. 116 cit., art. 5.
Il secondo ed il terzo motivo, esaminati congiuntamente in quanto
connessi sono manifestamente infondati. Secondo il consolidato
orientamento di questa Corte (v., tra le altre, Cass. n. 14847/2009, n.
5816/2010, n. 19087, n. 20818, n. 20819, n. 22318, n. 27513/ 2013, n.
14089 e n. 13721/2014) in tema di contribuzione previdenziale, le
società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a
prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l’esercizio di attività
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involontaria. L’insussistenza dell’obbligo contributivo per la

industriali sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali
previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo
trovare applicazione l’esenzione stabilita per le imprese industriali degli
enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata,
finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di

esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando
irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella
propria dello schema societario, la mera partecipazione – pur
maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico. È stato
in particolare precisato che la forma societaria di diritto privato è per
l’ente locale la modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge
e prescelta dall’ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in
cui il perseguimento dell’obiettivo pubblico è caratterizzato
dall’accettazione delle regole del diritto privato e che la finalità
perseguita dal legislatore nazionale e comunitario nella promozione di
strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali è
specificamente quella di non ledere le dinamiche della concorrenza,
assumendo rilevanza determinante, in ordine all’obbligo contributivo, il
passaggio del personale addetto alla gestione del servizio dal regime
pubblicistico a quello privatistico. (Cass. n. 20818/2013, Cass.
27513/2013). Le argomentazioni delle odierni ricorrenti ripropongono
questioni già esaminate e disattese dai precedenti giurisprudenziali
richiamati ai quali, pertanto, va data continuità.
Anche il quarto ed il quinto motivo di ricorso sono manifestamente
infondati.
In numerose pronunzie, questa Corte, richiamata la normativa di
riferimento, all’epoca costituita dal R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 40 e
dal D.P.R. n. 818 del 1957, art. 36 bis ha affermato che dalla
Ric. 2012 n. 10886 sez. ML – ud. 26-02-2015
-6-

concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo

•■,■■••■••■

coordinata

lettura

di

tali

norme

•.1-.•

si

-•–•••

evince

• ■•71•1•11■^

che:

anche in relazione al personale dipendente delle aziende esercenti
pubblici servizi l’esenzione dall’assicurazione obbligatoria per la •
disoccupazione volont2ria opera soltanto ove ai medesimi sia garantita
la stabilità d’impiego; anche in relazione ai personale dipendente delle

risultante da norme regolanti lo stato giuridico e il trattamento
economico, deve essere accertata dal Ministero competente su
domanda del datore di lavoro, con decorrenza dalla data di tale
domanda.
In difetto di disposizioni di legge o regolamentari specificamente
riguardanti la tipologia d’impresa cui appartengono le ricorrenti diviene
quindi sostanzialmente irrilevante, ai fini de quibus, accertare se alla
stessa debba o meno essere riconosciuta la qualifica di azienda
esercente un pubblico servizio, posto che, anche in ipotesi affermativa,
da ciò non potrebbe farsene derivare, de plano, l’invocata esenzione
contributiva.
Del pari, non essendo ricomprese le clausole pattizie di cui alla
contrattazione collettiva di diritto comune fra le “norme regolanti lo
stato giuridico e il trattamento economico”, l’eventuale stabilità
d’impiego garantita da detta contrattazione collettiva non potrebbe di
per sé condurre all’esenzione contributiva in difetto di domanda di
accertamento al riguardo da parte del datore di lavoro e di conseguente
riconoscimento di detta stabilità da parte dell’Autorità amministrativa
competente., (cfr, altresì, sul punto, ex plurimis, Cass. n. 18455/ 2014,
n. 28022/2014, n. 20139/2014; n. 24524/2013).
In merito poi al riconoscimento amministrativo della “stabilità di
impiego” si rileva che nel caso di specie le ricorrenti non deducono di
avere inoltrato la domanda, ne’ tanto meno, che sia stata riconosciuta
Ric. 2012 n. 10886 sez. ML – ud. 26-02-2015
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aziende esercenti pubblici servizi detta stabilità d’impiego, ove non

nei loro confronti la stabilità d’impiego dei dipendenti. Sostengono
invece, di essere “subentrate”, in quanto società derivate, nell’esonero
contributivo a suo tempo accordato all’azienda municipalizzata AEM.
L’assunto non può essere condiviso, sia perché l’azienda
municipali7zata AEM, oggi non più esistente, era un soggetto giuridico

dalle altre società che da quest’ultima sono state scorporate; sia perché,
essendo stata la valutazione della sussistenza della stabilità d’impiego
per i dipendenti dell’azienda municipalizzata AEM necessariamente
resa in relazione alle disposizioni vigenti all’epoca il riconoscimento
invocato non è parametrabile alla diversa disciplina vigente all’epoca
dei fatti per cui è causa, atteso che i contratti collettivi di lavoro che,
secondo l’assunto della parte ricorrente, regolano il rapporto d’impiego
dei dipendenti, sono stati conclusi a distanza di molti anni (cfr. altresì,
sul punto, ex plwimis, Cass. n. 13721/2014, n. 28022/2013, n.
24524/2013).
Non avendo, anche in questo caso, parte ricorrente offerto argomenti
diversi ed ulteriori rispetto a quelli esaminati e disattesi dal giudice di
legittimità nelle pronunce sopra richiamate la decisione di appello deve
essere sul punto confermata.
Il sesto motivo è anch’esso da respingere.
Si premette che parte ricorrente nel censurare la decisione di appello in
ordine alla mancata applicazione delle sanzioni in misura ridotta si è
limitata a dedurre che il contrasto di orientamenti giustificava tale
riduzione, ai sensi dell’art.116 comma 15 1. n. 388 del 2000, senza
allegare di avere provveduto all’integrale pagamento dei contributi e dei
premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali. Formulato in
questi termini il motivo si rivela inidoneo a validamente censurare la
statuizione del giudice di appello atteso che, secondo quanto già
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diverso dalla società per azioni in cui venne trasformata e, a fortiori,

affermato da questa Corte (Cass. n. 27513/ 2013) il citato comma 15,
pone come premessa per la riduzione delle sanzioni civili, in caso di
ritardato o omesso pagamento dei contributi “derivanti da oggettive
incertezze connesse a, contrastanti ovvero sopravvenuti diversi
orientamenti giurisprudenziali o determinazioni amministrative sulla

sede giurisdizionale o amministrativa in relazione alla particolare
rilevanza delle incertezze interpretative che hanno dato luogo alla
inadempienza”, 1′ l’integrale pagamento dei contributi e dei premi
dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali”.
Anche il primo motivo, il cui esame diviene necessario per effetto della
reiezione delle altre censure, è infondato.
La Corte- d’Appello, dà atto che la situazione prospettata nel ricorso è
del tutto sovrapponibile a quella di quello esaminato nella sentenza la
cui motivazione è riportata nella decisione di tal che si è in presenza,
semmai, di imprecisioni nominalistiche in quanto la sostanza
dell’analisi non cambia (cfr. per un caso analogo Cass. n. 26074 del
2014).
Consegue il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna le società ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità in favore della parte contsoricorrente che liquida in
complessivi € 10.000,00 per compensi professionali, € 100,00 per
esborsi, oltre spese forfettizzate al 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2015
11

liete este sore

ricorrenza dell’obbligo contributivo successivamente riconosciuto in

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