Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9819 del 20/04/2018


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Cassazione civile, sez. III, 20/04/2018, (ud. 25/01/2018, dep.20/04/2018),  n. 9819

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

Avendo Cooperativa (OMISSIS) a r.l. ottenuto dal Tribunale di Roma il decreto ingiuntivo n. 528/1995 nei confronti di Ente Nazionale Cellulosa e Carta (d’ora in avanti ENCC) e della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il pagamento di Lire 8.833.698.000, ed essendosi entrambi gli ingiunti opposti dando luogo a due distinti giudizi, all’udienza del 12 dicembre 1995, in cui entrambi erano chiamati, ne fu dichiarata interruzione per intervenuto fallimento dell’opposta. Entrambi gli opponenti proposero ricorso per riassunzione e, a seguito del relativo decreto del giudice istruttore, la Presidenza del Consiglio dei Ministri riassunse la sua causa, mentre ENCC effettuò allo scopo notifica del ricorso-decreto non perfezionatasi, chiedendo quindi alla susseguente udienza del 10 dicembre 1996 termine per rinnovarla; ricevuta l’autorizzazione effettuò la notifica, questa volta perfezionatasi, e alla successiva udienza del 25 marzo 1997 il Fallimento si costituì, chiedendo che fosse dichiarata l’estinzione del giudizio per tardività della riassunzione. Il Tribunale, riunite le cause, con sentenza del 9 marzo 2007 dichiarò estinto il giudizio proposto da ENCC e accolse invece l’opposizione proposta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. ENCC avverso tale sentenza propose appello, con un unico motivo relativo alla dichiarata estinzione; e la Corte d’appello di Roma, con sentenza pronunciata ex art. 281 sexies c.p.c., in data 7 novembre 2014, lo rigettò.

Di qui il ricorso proposto da ENCC ed affidato ad un unico motivo relativo all’estinzione del giudizio; si difende con controricorso il Fallimento.

Considerato che:

1. L’unico motivo viene rubricato come denunciante, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 153,154,291,299,305 e 307 c.p.c., per avere il giudice d’appello confermato l’estinzione del processo dichiarata dal giudice di prime cure. Sostiene la ricorrente che la riassunzione sarebbe stata effettuata tempestivamente, mediante il deposito del relativo ricorso ex art. 305 c.p.c., entro il termine di sei mesi – misura ratione temporis applicabile -, e che il giudice d’appello avrebbe valutato in modo non corretto l’insegnamento nomofilattico di questa Suprema Corte, per cui, se il ricorso per riassunzione viene depositato tempestivamente, nel caso in cui la notifica del ricorso-decreto non sia andata a buon fine il giudice deve ordinarne la rinnovazione entro nuovo termine, non ostando il decorso del termine di cui appunto all’art. 305 c.p.c..

Premesso che il motivo non denuncia, a ben guardare, una nullità della sentenza d’appello, bensì un errore giuridico in cui la corte territoriale sarebbe incorsa rigettando l’impugnazione, non può non riconoscersi comunque che la sentenza fraintende la giurisprudenza di questa Suprema Corte.

Invero, il giudice d’appello richiama Cass. 11260/2011, osservando che è conforme ai principi di S.U. 14854/2006 e pertanto rilevando che “in tema di interruzione del processo, il termine perentorio semestrale previsto per la riassunzione dall’art. 305 c.p.c., è riferito al momento del deposito del relativo ricorso”, avendo invece “carattere ordinatorio” il termine poi assegnato dal giudice “per la notifica del ricorso e del connesso decreto”. Sin qui, la sua conformità alla giurisprudenza nomofilattica sussiste. Ma, immediatamente dopo, la corte territoriale afferma che, per quello che pur aveva appena qualificato termine ordinatorio, “come non è preclusa la proroga anteriormente alla scadenza, a maggior ragione non è preclusa, in caso di sua scadenza, la concessione di un nuovo termine, ma ciò soltanto a condizione che il predetto termine semestrale non sia ancora completamente decorso”, come invece sarebbe avvenuto nel caso in esame essendo stata effettuata la richiesta di rinnovazione il 10 dicembre 1996, ovvero quasi un anno dopo l’interruzione del processo.

2. Non solo un siffatto ragionamento è incompatibile con la natura ordinatoria del termine – cui conferisce in sostanza una sorta di condivisione della perentorietà del termine riassuntivo inibendogli di oltrepassare la durata di quest’ultimo -, ma altresì confligge ictu oculi con l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità pur richiamata, la quale, d’altronde, si è plasmata sulla diversa funzione dei due termini: il primo, non a caso di determinazione assolutamente normativa, identifica il confine temporale posto all’impulso della parte necessario ad impedire l’estinzione del processo, mentre il secondo viene assegnato dal giudice a chi già tale impulso ha ritualmente manifestato, per cui l’estinzione è ormai impedita e il termine è diretto esclusivamente a tutelare in congrua misura, anche qui sul piano temporale, il diritto di difesa della parte chiamata dalla controparte riassumente. La perentorietà riemergerà nella sequenza processuale soltanto nell’ipotesi in cui il riassumente incorra in un’altra e diversa fattispecie di inerzia processuale, ovvero nel caso in cui, effettuata notifica nulla e ricevuto pertanto dal giudice il termine per la rinnovazione, non notifichi entro quest’ulteriore termine.

Inequivoca, pertanto, è la posizione assunta da S.U. 28 giugno 2006 n. 14854: “Verificatasi una causa d’interruzione del processo, in presenza di un meccanismo di riattivazione del processo interrotto, destinato a realizzarsi distinguendo il momento della rinnovata edictio actionis da quello della vocatio in ius, il termine perentorio di sei mesi, previsto dall’art. 305 c.p.c., è riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, sicchè, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento, quel termine non gioca più alcun ruolo, atteso che la fissazione successiva, ad opera del medesimo giudice, di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti della controparte, pur presupponendo che il precedente termine sia stato rispettato, ormai ne prescinde, rispondendo unicamente alla necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della vocatio in ius. Ne consegue che il vizio da cui sia colpita la notifica dell’atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell’udienza non si comunica alla riassunzione (oramai perfezionatasi), ma impone al giudice, che rilevi la nullità, di ordinare la rinnovazione della notifica medesima, in applicazione analogica dell’art. 291 c.p.c., entro un termine necessariamente perentorio, solo il mancato rispetto del quale determinerà l’eventuale estinzione del giudizio, per il combinato disposto dello stesso art. 291, u.c., e del successivo art. 307, comma 3”; linea, questa, più volte ribadita dalle sezioni semplici (v. p. es. Cass. sez. 1, 8 marzo 2007 n. 5348, Cass. sez. 1, 15 marzo 2007 n. 6023, Cass. sez. 3, 7 luglio 2010 n. 16016, Cass. sez. 3, 31 luglio 2010 n. 13683 e Cass. sez. 3, 4 febbraio 2016 n. 2174).

3. Il “disorientamento” del giudice d’appello, peraltro, sembra trovare supporto nella massima dell’unico arresto che richiama oltre all’intervento delle Sezioni Unite, cioè Cass. sez. 2, 20 maggio 2011 n. 11260: “In tema di interruzione del processo, il termine perentorio semestrale previsto per la riassunzione dall’art. 305 c.p.c…. è riferito al momento del deposito del relativo ricorso in cancelleria, mentre riveste carattere ordinatorio quello in concreto assegnato dal giudice per la notifica del ricorso e del connesso decreto; con riferimento a quest’ultimo, pertanto, come non ne è preclusa la proroga anteriormente alla scadenza, a maggior ragione non è preclusa, in caso di sua scadenza, la concessione di un nuovo termine, a condizione che il suddetto termine semestrale non sia ancora completamente decorso. In tal caso, quindi, non può essere dichiarata l’estinzione del giudizio qualora la parte onerata abbia provveduto a notificare validamente e tempestivamente il successivo atto di riassunzione nei confronti dei soggetti aventi titolo a partecipare alla prosecuzione del processo”.

Nella motivazione, peraltro, tale pronuncia così si esprime: “… il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata… per aver la Corte di appello… ritenuto non prorogabile, una volta scaduto, il termine ordinatorio concesso dal giudice alla parte per la notifica del ricorso in riassunzione e pedissequo decreto con fissazione dell’udienza di prosecuzione della causa, pur nel rispetto del termine perentorio di sei mesi “Il motivo è fondato…E’, ormai, pacifico che, al fine di evitare l’estinzione, è sufficiente il tempestivo deposito del ricorso per prosecuzione o per riassunzione. Sul punto, questa Corte, con la sentenza a Sezioni unite n. 14854 del 28 giugno 2006, dirimendo il contrasto prima manifestatosi sulla relativa questione, ha, infatti, stabilito, in via principale, che l’osservanza del termine di riassunzione, ove ne sia prescritto il compimento in forma di ricorso, debba essere valutata con riguardo esclusivo al momento del deposito in cancelleria del ricorso medesimo… pur non specificando espressamente se entro quel termine debbano essere espletate entrambe le fasi del procedimento di riassunzione sopra menzionate, ovvero soltanto la prima di esse, è agevole ritenere che solo il deposito in cancelleria del ricorso per riassunzione dipende immediatamente dall’iniziativa della parte stessa, essendo poi rimesso al giudice di stabilire i tempi entro cui dovrà essere espletata la seconda fase, consistente nella notificazione alla controparte del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza. A tal proposito si osserva che può ben accadere che il termine fissato dal giudice per eseguire la notificazione prescritta dall’art. 303 c.p.c., oltrepassi la scadenza semestrale prevista dal citato art. 305 c.p.c., onde è inevitabile che l’intero procedimento di riassunzione si completi oltre detta scadenza, specificandosi come non sia dubitabile che siffatto termine di notificazione, in sè solo considerato, abbia natura meramente ordinatoria…E’, peraltro, importante sottolineare che, al di là dell’eventualità della rinnovazione di una notificazione nulla dell’atto di riassunzione da attivare secondo il riferito meccanismo individuato dalle Sezioni unite, alla parte riassumente si impone, malgrado la natura ordinatoria del termine per la notifica stessa, un onere di diligenza nel garantire il sollecito ristabilimento del contraddittorio per la prosecuzione del giudizio, attraverso la corretta individuazione delle parti passivamente legittimate a continuarlo (o a superare gli ostacoli oggettivi o soggettivi – che possono frapporsi per garantire l’effettività dell’instaurazione del nuovo contraddittorio), non potendosi demandare la riattivazione del sub-procedimento notificatorio alla completa discrezionalità dello stesso riassumente, in modo tale da determinare uno stato di quiescenza del processo non temporalmente definibile che prescinda da un’attività di controllo del giudice, il cui intervento, perciò, deve essere idoneamente sollecitato mediante la richiesta di rifissazione di un nuovo termine anteriormente alla scadenza di quello preventivamente assegnato”.

4. L’arresto in esame, dunque, aderisce all’insegnamento delle Sezioni Unite che hanno affermato la natura esclusivamente di vocatio judicis dell’atto di riassunzione; l’affermazione del preteso obbligo del riassumente di chiedere al giudice, a seguito del fallimento della notifica del ricorso-decreto, un nuovo termine ex art. 291 c.p.c., entro il termine di vocatio judicis costituisce un mero obiter dictum, giacchè poi la pronuncia ha accolto il ricorso senza constatare nulla di simile nella fattispecie concreta che aveva in esame. Obiter dictum, d’altronde, non del tutto conforme all’insegnamento delle Sezioni Unite, il quale ha completamente svincolato il termine per la in jus vocatio della controparte dalla durata del termine di vocatio judicis; nè, d’altronde, potrebbe configurarsi una inerzia della parte che il giudice non possa controllare se non coincide il termine di riassunzione con quello per richiedere rinnovazione ex art. 291 c.p.c., dal momento che il decreto emesso a seguito del ricorso riassuntivo fissa una udienza: è in tale udienza, dunque, che il riassumente che non è riuscito nella reinstaurazione del contraddittorio con la controparte ad andare a buon fine per vizio di notifica del ricorso-decreto chiederà, ovviamente, il termine di rinnovazione, così come si evince anche dall’applicazione analogica, indicata dalle Sezioni Unite, dell’art. 291 c.p.c..

In conclusione, il ricorso deve essere accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della stessa corte territoriale, la quale, non essendo risultato estinto il giudizio, dovrà procedere a decidere nel merito.

PQM

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2018

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