Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9817 del 13/05/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 9817 Anno 2015
Presidente: BIANCHINI BRUNO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 15577-2012 proposto da:
ANGELICO PAOLO, ANGELICO EMANUELE, PETROLITO
MICHELA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TACITO 23,
presso lo studio dell’avvocato SANTINO FORESTA, che li
rappresenta e difende unitamente all’avvocato NICOLA ZIRONE
giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti contro
FICARA ANTONIO;
– intimato –

ses
:g.

Data pubblicazione: 13/05/2015

avverso la sentenza n. 1330/2011 della CORTE D’APPELLO di
CATANIA del 12/10/2011 depositata il 27/10/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/02/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA.

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Ric. 2012 n. 15577 sez. M2 – ud. 12-02-2015
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Antonio Ficara conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Siracusa
Paolo ed Emanuele Angelico e Michela Petrolito, eredi tutti di Salvatore
Angelico, per il. rilascio di una porzione di un caseggiato posto in Noto,

Nel resistere in giudizio i convenuti chiedevano il rigetto della domanda e,
in via riconvenzionale, l’accertamento in loro favore dell’intervenuta
usucapione della proprietà del bene.
Il Tribunale accoglieva la domanda principale e rigettava quella
riconvenzionale.
Adita da Paolo ed Emanuele Angelico e Michela Petrolito, la Corte
d’appello di Catania rigettava l’impugnazione con sentenza pubblicata il
27.10.2011.
Premesso che non si rinvenivano né il fascicolo di primo grado, pur
debitamente trasmesso e pervenuto alla Corte, né i fascicoli di parte del primo
grado, la Corte territoriale osservava che l’appello poteva essere ad ogni
modo deciso e respinto sulla base della prospettazione degli stessi appellanti.
Questi ultimi, infatti, avevano dedotto che il proprio dante causa, Salvatore
Angelico, aveva ricevuto il 31.8.1971 la porzione immobiliare contesa
(consistente in una stanza) in forza di un contratto preliminare stipulato con
Pasquale Carpinteri; e che, a differenza degli altri beni oggetto del medesimo
preliminare, per i quali era stato poi stipulato il definitivo di vendita, tale
porzione era stata trasferita “sulla parola”. Pertanto, osservava la Corte etnea,
era sufficiente richiamare la giurisprudenza delle S.U. di questa Corte (n.
7930/08), secondo cui il promissario acquirente che consegua il godimento
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assumendosene proprietario esclusivo, oltre al risarcimento dei danni.

del bene da parte del prominente venditore non possiede il bene stesso, ma lo
detiene in virtù di un contratto di comodato collegato. Con la conseguenza che
tale detenzione non si trasforma in possesso in base ad un atto di mera
volizione interna, ma solo attraverso il compimento di atti chiaramente

che il detentore ha iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa nomine
proprio.
Per la cassazione di tale sentenza Paolo ed Emanuele Angelico e Michela
Petrolito propongono ricorso, in base ad un unico motivo.
Antonio Ficara è rimasto intimato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I. – Con l’unico motivo di ricorso è dedotta la “violazione dell’art. 360,
comma l, nn. 4 e 5, c.p.c.”.
In esso si legge: a) che l’aver la Corte territoriale deciso la causa in assenza
dei fascicoli di parte e d’ufficio, comporta una gravissima violazione di
legge, “atteso che le questioni sottoposte all’attenzione dei giudici d’appello
non sono state da questi ultimi esaminate, né attenzionate”; b) che la sentenza
impugnata non si è attenuta alla giurisprudenza di questa Corte ,Suprema, la
quale in casi analoghi afferma che il giudice non può rigettare la domanda per
difetto di una prova documentale regolarmente prodotta, ma deve disporre le
opportune ricerche in cancelleria e, in caso di esito negativo, procedere alla
ricostruzione del fascicolo; c) che la sentenza impugnata si basa sulla “erronea
percezione giuridica” che la questione da analizzare vertesse soltanto in punto
di diritto, per effetto di un preliminare intercorso fra le parti; d) che tale
circostanza non sarebbe veritiera, perché tra le odierne parti in causa non è
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manifestabili all’esterno, che consentano anche al possessore di comprendere

intercorso alcun preliminare, e che tale contratto è stato richiamato dai
convenuti unicamente al fine di indicare l’anno a partire dal quale doveva
essere conteggiato il termine utile per l’usucapione; e) che tale contratto,
impropriamente definito come preliminare, “altro non è che una semplice

Pasquale Carpinteri, il quale si impegnava a vendere ad Angelico Salvatore
alcuni beni immobili dei quali, per buona parte, non era proprietario, essendo
gli stessi ancora in ditta a tale Messina Antonio”; j) che pertanto il possesso
degli attuali ricorrenti non è derivato da alcun titolo, ma dalla semplice
situazione di fatto; g) che il mancato esame dei fascicoli di parte e d’ufficio ha
impedito alla Corte d’appello di valutare opportunamente l’ordinanza
17.4.2004 dell’allora istnittore di primo grado, che aveva ritenuto rilevante la
prova testimoniale diretta a dimostrare il possesso ininterrotto del bene in
questione dal 1971; h) che conseguentemente è errato il convincimento
espresso dal magistrato, che ebbe a sostituire detto istruttore e a decidere sulla
domanda riconvenzionale, rigettandola, che la prova testimoniale non fosse
valsa a identificare l’immobile oggetto del giudizio; i) che, invece, il teste
Paolo Bascetta, confermando il capitolo di prova relativo al possesso
ininterrotto ed ultraventennale degli odierni ricorrenti, confermò sia il
possesso che r identificazione del fondo; 1) che, inoltre, il mancato
reperimento del fascicolo di primo grado ha impedito alla Corte distrettuale di
comparare e di supportare detta deposizione con la relazione del c.t.u., atta a
sua volta a suffragare la prospettazione degli Angelico, i quali sin dal 1971
hanno denunciato l’immobile in questione nella propria dichiarazione dei
redditi.
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scrittura privata auto dichiarativa, sottoscritta soltanto da una parte, tale

2. – Il motivo è manifestamente inammissibile.
Come la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare, in
tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la
sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle

essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili
incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone
accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della
violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che
quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale
l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto
decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione,
che richiede la p-untuale e analitica indicazione della sede processuale nella
quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la
contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione
delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in
contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle
questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e
il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di
isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei
mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o
quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo,
inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e
contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente,

successivamente su di esse (Cass. n. 19443/11).

al fine di decidere

diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., non

-

Nella specie, il motivo cumula in sé molteplici aspetti, dalla nullità
processuale al vizio di motivazione, unificati sotto la generica espressione di
“violazione dell’art. 360, comma 1, nn. 4 e 5, c.p.e.”; espressione, questa, per
di più erronea, visto che l’art. 360 c.p.c., contenendo l’elencazione tassativa

idonea a violare.- Di qui una prima e grave confusione tra i pretesi errori della
sentenza impugnata, che costituiscono il demonstrandum, e i limiti entro i
quali gli stessi possono essere dedotti con il ricorso per cassazione.
Tale affastellamento di profili impedisce di distinguere tra l’una e l’altra
censura e di coglierne i rispettivi significati incasellandoli nei vizi di
legittimità previsti dall’art. 360 c.p.c. Salvo comprendere che, secondo il
ricorrente, il vizio di motivazione costituirebbe la conseguenza della mancata
considerazione di elementi di fatto, sostanziali e processuali, che se
considerati avrebbero prodotto una sentenza di segno opposto.
Idea sottostante, questa, tanto ricorrente quanto errata, ove si consideri che
le nullità processuali e i vizi di motivazione sono tra loro reciprocamente
insensibili. Le prime attengono alla difesa, al contraddittorio e alla formazione
del materiale istruttorio; i secondi esprimono il difetto o l’insufficienza del
processo logico che presiede alla formulazione del giudizio di merito:
prodottasi una nullità processuale, il vizio di motivazione non ne consegue,
ma semplicemente ne resta assorbito.
Da ultimo, ma non per ultimo, deve rilevarsi quanto segue:
le censure sub a) e b) non colgono la ratio decidendi, che ha considerato
sufficiente ai fmi del decidere la prospettazione dei fatti operata dagli stessi
appellanti;
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dei motivi di ricorso per cassazione, è norma che la sentenza di merito non è

le censure sub c), d), e),

A,

ed I) svolte per confutare l’esattezza

dell’interpretazione dei fatti operata dalla Corte territoriale, mirano a
provocare un diverso apprezzamento di merito conforme alle aspettative dalla
parte odierna ricorrente; il che disattende il fermo e ben noto indirizzo di

legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda
processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza
giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal
giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le
fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la
concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle
ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi
sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di
prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (così e per
tutte, Cass. n. 27197/11);
le doglianze di cui alle lettere g) e h) sono agevolmente confutate dall’art.
177, l° comma c.p.c., in base al quale le ordinanze, comunque motivate, non
possono mai pregiudicare la decisione della causa, sicché è vano invocare il
contenuto di un’ordinanza istruttoria per dimostrare l’errore di giudizio in cui
sarebbe incorsa la sentenza.
3. – In conclusione il ricorso va respinto.
4. – Nulla per le spese, non avendo la parte intimata svolto attività
difensiva in questa sede.

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
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questa Corte secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile —

2 della Corte Suprema di Cassazione, il 12.2.2015.

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