Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9811 del 14/04/2021

Cassazione civile sez. I, 14/04/2021, (ud. 12/01/2021, dep. 14/04/2021), n.9811

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 2259/2017 proposto da:

G.A., G.E., elettivamente domiciliati in Roma, Viale

Università n. 27, presso lo studio dell’avvocato Tedeschi Massimo,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Gyulai Alberto,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Veneto Banca S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Sistina n. 42,

presso lo studio dell’avvocato Galoppi Giovanni, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Lillo Antonella, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1373/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

pubblicata il 15/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/01/2021 dal Cons. Dott. VALITUTTI ANTONIO;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha chiesto: rigettare

il ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 29 aprile 2005, G.A. ed G.E., quali eredi del padre G.S., convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Treviso, F.M.T. e la Veneto Banca s.p.a., chiedendone la condanna – previa dichiarazione di non conoscere le sottoscrizioni apposte dal loro dante causa sulla documentazione bancaria in atti – al risarcimento dei danni conseguenti alle operazioni distrattive poste in essere dalla F., nella sua qualità di direttrice dell’istituto di credito, in danno di G.S., quantificati nella somma di Euro 6.989.727,67, oltre interessi e rivalutazione monetaria, a titolo di danno patrimoniale, e di Euro 250.000,00, a titolo di danno non patrimoniale.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 291/2011 disposta consulenza tecnica grafologica, conseguente alla richiesta di verificazione ex art. 216 c.p.c., proposta dalla convenuta, delle sottoscrizioni dei G., nelle more deceduto, apposte sulle contabili della banca disconosciute dagli eredi, istanza poi rinunciata dall’istituto di credito, e c.t.u. contabile – condanna la banca al pagamento della somma di Euro 3.050.410,25, per danno patrimoniale, e di Euro 250.000,00, per danno non patrimoniale, a favore dei G..

2. La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 1373/2016, depositata il 15 giugno 2016, valutato il concorso di colpa del correntista, in misura del 40%, ed accolti parzialmente il quinto e sesto motivo dell’appello principale proposto dalla Veneto Banca s.p.a. – riduceva la somma dovuta dall’istituto di credito, a titolo di risarcimento del danno, ad Euro 1.494.465,60, per danno patrimoniale e ad Euro 30.000,00, per danno non patrimoniale. La Corte respingeva, invece, l’appello incidentale proposto dai G., avverso il capo della pronuncia di primo grado che aveva riconosciuto un loro concorso colposo nella causazione del danno.

3. Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione G.A. ed G.E., affidato a cinque motivi. La resistente Veneto Banca s.p.a. ha resistito con controricorso. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va rilevato che, con il quinto motivo di ricorso, G.A. ed E. denunciano la nullità della consulenza tecnica grafologica d’ufficio e della sentenza di appello che ne ha recepito le risultanze.

1.1. Assumono, invero, gli istanti che l’accertamento peritale e la decisione di secondo grado, che su di esso si è fondata, sarebbero affetti da nullità radicale per extrapetizione, avendo il consulente grafologico allargato il suo campo di indagine anche alle sottoscrizioni non disconosciute dagli eredi del defunto G.S., laddove questi ultimi avevano dichiarato di non conoscere la sottoscrizione del loro dante causa, ai sensi dell’art. 214 c.p.c., comma 2, solo in relazione ad alcune delle sottoscrizioni, in relazione alle quali soltanto il consulente era stato chiamato alla verifica di autenticità. L’allargamento illegittimamente operato dall’ausiliario, e recepito dalla Corte territoriale, avrebbe, pertanto, determinato la nullità della consulenza tecnica e, di conseguenza, della sentenza di appello che ne ha recepito le risultanze.

1.2. Tale nullità non sarebbe stata eccepita dagli eredi G. nè nel primo nè nel secondo grado del giudizio, in quanto i medesimi “mai avrebbero potuto sospettare” che la Corte d’appello di Venezia, e prima ancora il Tribunale, avrebbero deciso la controversia “sulla scorta di un elaborato peritale nullo o, comunque, processualmente inesistente”. Tanto più che la banca aveva rinunciato all’istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c.. E tuttavia, la Corte d’appello avrebbe dovuto rilevare d’ufficio tale nullità della consulenza, piuttosto che recepirne le risultanze, emettendo, in tal modo, una sentenza affetta da nullità per extrapetizione, ai sensi dell’art. 112 c.p.c..

2. Orbene, da quanto suesposto risulta evidente che il Tribunale prima, la Corte d’appello poi, hanno implicitamente rilevato la prestata acquiescenza della parte interessata al rilievo della nullità, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 3, sul presupposto che si tratti di una nullità relativa che, in quanto tale, deve essere eccepita dalla parte interessata “nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso”, ai sensi del comma 2 della medesima disposizione, non potendo la nullità in questione essere rilevata dal giudice d’ufficio. E, d’altro canto, i ricorrenti hanno inequivocabilmente ammesso di non avere sollevato l’eccezione di nullità della consulenza nei due gradi di merito del giudizio.

3. E tuttavia, deve rilevarsi che sulla questione oggetto della censura, ed in particolare sulla natura giuridica della nullità della consulenza tecnica di ufficio, e sul conseguente rilievo officioso, o su istanza di parte della stessa, si è verificato un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte.

3.1. Secondo l’orientamento tradizionale, invero, tutte le ipotesi di nullità della consulenza tecnica, ivi ricompresa quella – ricorrente nella specie – dovuta all’eventuale allargamento dell’indagine tecnica oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente, nonchè quella dell’avere tenuto indebitamente conto di documenti non ritualmente prodotti in causa, hanno sempre carattere relativo, e devono essere fatte valere dalla parte interessata nella prima udienza successiva al deposito della relazione, restando altrimenti sanate (Cass., Sez. 2, 11/09/1965, n. 1985; Cass., Sez. 3, 14/02/1968, n. 517; Cass., Sez. 1, 27/02/1971, n. 497; Cass., Sez. 1, 11/02/1975, n. 538; Cass., Sez. 1, 14/02/1980, n. 1058; Cass., Sez. Lav. 26/06/1984, n. 3743; Cass. Sez, Lav., 14/08/1999, n. 8659; Cass., Sez. 2, 15/04/2002, n. 5422; Cass., Sez. 2, 19/08/2002, n. 12231; Cass., Sez. 3, 31/01/2013, n. 2251; Cass., Sez. 3, 15/06/2018, n. 15747). Il carattere relativo della nullità esclude, per vero, in radice l’ammissibilità di un rilievo officioso da parte del giudicante.

3.2. A tale consolidato indirizzo si contrappone, tuttavia, una recente decisione, secondo cui, in tema di consulenza tecnica di ufficio, lo svolgimento di indagini peritali su fatti estranei al “thema decidendum” della controversia o l’acquisizione ad opera dell’ausiliare di elementi di prova, in violazione del principio dispositivo, cagiona la nullità della consulenza tecnica, da qualificare come “nullità a carattere assoluto”, rilevabile d’ufficio e non sanabile per acquiescenza delle parti, in quanto le norme che stabiliscono preclusioni, assertive ed istruttorie, nel processo civile sono preordinate alla tutela di interessi generali, non derogabili dalle parti. Ed invero, secondo la pronuncia in esame, in virtù del principio dispositivo e dell’operare nel processo civile di preclusioni, assertive ed istruttorie, l’ausiliare del giudice, nello svolgimento delle proprie attività, non può – nemmeno in presenza di ordine del giudice o di acquiescenza delle parti – indagare di ufficio su fatti mai ritualmente allegati da queste ultime, nè acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi delle domande o delle eccezioni proposte e nemmeno procurarsi, dalle parti o dai terzi, documenti che forniscano tale prova.

Alla regola sopra enunciata può, invero, derogarsi soltanto quando la prova del fatto costitutivo della domanda o dell’eccezione non possa essere oggettivamente fornita dalle parti con i mezzi di prova tradizionali, postulando il ricorso a cognizioni tecnico-scientifiche, oppure laddove la consulenza si renda necessaria per la prova di fatti tecnici accessori o secondari e di elementi di riscontro della veridicità delle prove già prodotte dalle parti. (Cass., 06/12/2019, n. 31886).

3.3. La pronuncia muove dal rilievo che “il principio secondo cui le nullità della consulenza restano sanate, se non eccepite nella prima difesa utile, venne in origine affermato con riferimento sempre e soltanto ad un tipo di nullità ben precisa: quella derivante dall’omissione dell’avviso ad una delle parti della data di inizio delle operazioni peritali”. Per tale tipo di nullità era parso del tutto corretto – e sul punto la decisione succitata concorda – riservare alla parte, il cui diritto di difesa era stato vulnerato dall’omissione della comunicazione di avvio delle operazioni peritali, di eccepire la nullità della consulenza d’ufficio, secondo la disciplina delle nullità relative.

Senonchè, successivamente, quel principio venne esteso anche ad altre ipotesi di nullità della consulenza, “ed in particolare al caso di svolgimento di indagini peritali su fatti estranei al thema decidendum o, più spesso, di acquisizione da parte del c.t.u. di documenti non ritualmente prodotti dalle parti”.

3.4. Tuttavia – osserva la sentenza succitata – tale impostazione costituiva il logico corollario della strutturazione “senza barriere” del giudizio di cognizione delineato dall’originario impianto del codice processuale, “perchè in quel tipo di processo tutte le nullità istruttorie non potevano che essere relative, non prevedendo la legge alcun termine perentorio per compierle”, ma non è più coerente con il sistema delle preclusioni, assertive ed asseverative, che attualmente informa il processo civile ed è preordinato alla tutela di interessi generali. Le norme che prevedono preclusioni assertive od istruttorie nel processo civile sono, per vero, preordinate a tutelare interessi generali, e la loro violazione è sempre rilevabile d’ufficio, anche in presenza di acquiescenza della parte legittimata a dolersene. Ed al riguardo la sentenza in esame richiama le pronunce di questa Corte in tal senso (ex multis, Cass., Sez. 3, 26/06/2018, n. 16800; Cass., Sez. 3, 18/03/2008, n. 7270).

3.5. Ad avviso della menzionata sentenza n. 31886/2019, pertanto, se “la violazione delle preclusioni assertive ed istruttorie non è sanata dall’acquiescenza delle parti, ed è rilevabile d’ufficio, non è possibile continuare a sostenere che tali violazioni nuocciano all’interesse generale, e siano causa di nullità assoluta, se commesse dalle parti; ledano invece un interesse particolare, e siano causa d’una mera “nullità relativa”, se commesse dal c.t.u.”.

Tra le nullità relative non potrebbero, dunque, più farsi rientrare – in disparte altre forme di nullità, come quelle derivanti dalla mancata comunicazione della data di inizio delle operazioni peritali, o dalla mancata comunicazione della bozza della relazione ai difensori delle parti, o dall’ammissione alle operazioni peritali di un difensore privo di mandato, che resterebbero tali – quelle nullità “consistite nella violazione, da parte del c.t.u., del principio dispositivo, commessa vuoi indagando su fatti mai prospettati dalle parti, vuoi acquisendo da queste ultime o da terzi documenti che erano nella disponibilità della parti, e che non furono tempestivamente prodotti. Quest’ultimo tipo di nullità, infatti, consiste nella violazione di norme (gli artt. 112,115 e 183 c.p.c.) dettate a tutela di interessi generali, come sopra ricordato: si tratta dunque di nullità assolute e non relative; non sanabili dall’acquiescenza delle parti; sempre rilevabili d’ufficio (salvo il giudicato), a nulla rilevando che non siano eccepite nella prima difesa successiva ai compimento dell’atto nullo”.

4. Tanto premesso, ad avviso del Collegio, il contrasto di giurisprudenza, venutosi a creare sulla questione oggetto di rimessione, e che ha un’incidenza decisiva nel presente giudizio, richiede un intervento delle Sezioni Unite, atteso che la divergenza di indirizzi ermeneutici in tal modo evidenziata si palesa, per un verso, di notevole rilevanza sistematica, involgendo i principi fondamentali del processo civile, e, d’altro canto, è gravida di considerevoli conseguenze pratico-operative, giacche afferisce al regime dei vizi inficianti uno strumento – lato sensu istruttorio – di diffusissima applicazione, quale la consulenza tecnica di ufficio.

5. Per tali ragioni, la causa va, pertanto, rimessa all’esame del Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione perchè valuti la sua eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili, in quanto essa presuppone la necessaria soluzione di una questione decisa in senso difforme dalle sezioni semplici, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, u.p..

P.Q.M.

Rimette la causa al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021

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