Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9811 del 13/05/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 9811 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: GARRI FABRIZIA

ORDINANZA
sul ricorso 15438-2012 proposto da:
CEVA LOGISTICS ITALIA SRL 13017100150, in persona del
procuratore speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO,
rappresentata e difesa dagli avvocati PAOLO TOSI, ANDREA
UBERTI giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro
PAONE MARIA, elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA
CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato CARLO CUNEO giusta procura a margine del
controricorso;
C0126″011COTIVIIte

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Data pubblicazione: 13/05/2015

avverso la sentenza n. 451/2011 della CORTE D’APPELLO di
TORINO del 12/04/2011, depositata il 9/06/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI.
Fatto e diritto

denominazione, si occupa di servizi di logistica in ambito FIAT. Nel
1998 acquistò da FIAT Auto spa il ramo d’azienda relativo ai c.d.
servizi logistici comuni del comprensorio di Torino, consistenti nel
rifornimento interno dei materiali, nonché nelle attività
di imballaggio e preparazione alla spedizione di componenti per
vetture. In seguito, operò ulteriori acquisizioni di rami d’azienda,
relativi ad attività di confezionamento ed imballaggio di parti d’auto
per stabilimenti all’estero e di pezzi di ricambio per le autovetture
FIAT.
Nel 2000 tutte le attività svolte in favore della FIAT vennero accorpate
e concentrate in Mirafiori, in particolare nella c.d. officina 81, in cui
operavano lavoratori in parte addetti al confezionamento manuale, in
parte al confezionamento meccanizzato, in altra parte impiegati in
attività di carrellisti e magazzinieri.
A partire dalla metà del 2000, a causa della flessione della produzione
FIAT, si ridusse anche l’attività di logistica e la società ricorrente, dopo
aver fatto ricorso nel 2001-2002 alla CIG ed alla mobilità collegata al
raggiungimento del trattamento pensionistico, nel dicembre 2002,
richiese la CIGS a zero ore per un anno per 665 lavoratoti impiegati
negli stabilimenti piemontesi di Verrone, Mirafiori e Rivalta.
Con atto del dicembre 2002, la società comunicò alle organizzazioni
sindacali la richiesta di intervento di CIGS ai sensi della L. n. 223 del
1991, art. 1, commi 7 e 8, nonché del D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2,
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L’impresa ricorrente, che ha modificato più volte la sua

precisando che i lavoratori interessati alla sospensione “saranno
individuati sulla base di esigenze tecniche, organizzative e produttive e
per tali soggetti non potrà essere prevista la rotazione, sia per le
caratteristiche delle attività che vengono a cessare, sia per la specificità
delle risorse che dovranno essere sospese in quanto queste ultime non

polivalente”.
Seguì l’esame congiunto con le OOSS, conclusosi negativamente. Nel
relativo verbale del 20 dicembre 2002 la società ribadì che “verrà fatto
ricorso alla CIGS per crisi aziendale per mesi 12 a decorrere dal 2
gennaio 2003 per massimo 665 lavoratori sospesi a zero ore
settimanali, individuati in base alle esigenze tecnico- organizzative e
produttive aziendali”. Per quanto riguarda la rotazione l’azienda

Us

i

dichiara disponibile a realizzarla nel numero di lavoratori di cui
l’organizzazione aziendale lo consente, con modalità che verranno
concordate con le RSU, compatibilmente con le esigenze tecnico
produttive”.
11 19 giugno 2003 società e la rappresentanza sindacale unitaria (RSU)
sottoscrissero un accordo M cui le parti si diedero atto che “pur non
risolvendo totalmente il problema della rotazione fra i lavoratori
interessati alla CIGS” avevano operato “un primo approccio alla
gestione dei dipendenti in oggetto”. L’accordo individua diverse
mansioni e stabilisce che la rotazione verrà realizzata su 54 postazioni
lavorative (30 carrellisti e 24 suddivise tra altre 11 mansioni, con
numero variabile da 1 a 3) ed avverrà con cadenza massima di due
mesi. Fu costituita una commissione paritetica per verificare e
concordare le modalità concrete di rotazione.
Il 5 dicembre 2003 la società comunicò alla RSU una seconda richiesta
di CIGS, sempre conseguente alle problematiche di FIAT, in quanto la
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consentono l’utilizzo di mano d’opera con una metodologia di impiego

debolezza della domanda aveva assunto carattere strutturale rendendo
necessario un intervento di riorganizzazione produttiva. La richiesta
era di sospensione dal 3 gennaio 2004 per 24 mesi di un numero
massimo di 1148 dipendenti. Nella richiesta si dichiarava che i
lavoratori sarebbero stati individuati “sulla base di esigenze tecniche,

sulla base dei criteri già individuati nell’intesa aziendale del 19 giugno
2003”.
11 19 e 23 dicembre si tenne l’esame congiunto con le OOSS e le parti
concordarono sul ricorso alla CIGS per riorganizzazione aziendale per
24 mesi a decorrere dal 3 gennaio 2004, per un numero non superiore
a 665 dipendenti, prevedendo la possibilità di raggiungere punte sino a
1148 addetti. Per quanto attiene alla rotazione le parti confermarono il
contenuto dell’accordo del 19 giugno 2003. L’esame congiunto venne
rinnovato nel gennaio 2004, confermando gli accordi del 19 dicembre
e del 19 giugno 2003.
A seguito del ricorso di parte lavoratrice e della decisione del Tribunale
di Torino, la Corte d’appello di Torino, con la sentenza impugnata, ha
confermato l’illegittimità della sospensione per CIGS e la condanna
della società al pagamento delle differenze tra il trattamento di cassa
integrazione e la retribuzione spettante, oltre rivalutazione ed interessi.
La società chiede l’annullamento della sentenza. Parte intimata si è
difesa con controricorso.
il motivi di ricorso possono essere raggruppati in base alle diverse

questioni poste dalla società e secondo un opportuno ordine logico.
La prima censura è di violazione o falsa applicazione del combinato
disposto di cui agli articoli 20 legge 15/3/1997, n. 59, 1, legge n. 223
del 1991 e 2, d.P.R. n. 218 del 2000. Violazione o falsa applicazione

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organizzative e produttive e per tali soggetti sarà prevista la rotazione

dell’articolo 15 preleggi in relazione al rapporto tra il d.P.R. n. 218 del
2000 e l’art. 1 della legge n. 223.
Secondo la società ricorrente, la legge n. 59 del 1997, che regolò la
delegificazione di norme concernenti procedimenti amministrativi,
avrebbe inciso anche nella materia in esame in quanto il d.P.R. n. 218

procedimento per la concessione del trattamento di CIGS e di
integrazione salariale a seguito della stipula di contratti di solidarietà, ai
sensi dell’art. 20 della legge n. 59 del 1997, allegato 1 n. 90 e 91″),
avrebbe delegificato la legislazione sulla Cassa integrazione guadagni.
Per effetto di tale operazione, il d.P.R. costituirebbe ormai l’unico
regolamento della materia con la conseguente sostituzione, per
abrogazione esplicita od implicita per incompatibilità, di tutte le altre
disposizioni anche di fonte legale.
In questo diverso contesto normativo, tanto la comunicazione
datoriale di avvio della procedura quanto l’esame congiunto dovevano
intendersi disciplinati esclusivamente dal d.P.R., con esclusione di ogni
possibilità di integrazione con la legge n. 223, con conseguente venir
meno del diritto delle organizzazioni sindacali, e di riflesso dei
lavoratori, ad essere informati sin dalla comunicazione di avvio della
procedura circa i criteri di selezione dei lavoratori da sospendere e le
modalità di rotazione.
La tesi della società contrasta con l’orientamento consolidato di questa
Corte, espresso in una lunga teoria di sentenze, a cominciare da Cass.
28 novembre 2008, n. 28464, che, affrontando per prima il problema,
all’esito di una analitica ricognizione del quadro normativo, affermò il
seguente principio: la disciplina del d.P.R. n. 218 del 2000 non ha
alcuna efficacia abrogativa della legge n. 223 del 1991 e, quindi, degli
oneri di comunicazione di cui all’art. 1. Più specificamente non incide
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del 2000 (“Regolamento recante norme per la semplificazione del

i
i

in alcun modo sulle disposizioni di cui al combinato disposto degli artt.
5 della legge 164 del 1975 e 1, comma 7, della legge 223 del 1991
riguardante l’obbligo datoriale di comunicare in avvio della procedura
per l’integrazione salariale alle organizzazioni sindacali i criteri di
individuazione dei lavoratori da sospendere, nonché le modalità di

amministrativa, di rilevanza pubblica, del procedimento di concessione
della integrazione salariale, senza in alcun punto ridurre i diritti dei
lavoratori e le prerogative delle organizzazioni sindacali ad essi
funzionali.
Tale ricostruzione è stata costantemente ribadita dalla giurisprudenza
successiva (cfr., tra le tante, Cass. 18 febbraio 2011, n. 4053) e
costituisce ormai un principio consolidato ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1,
cod. proc. civ., come ha rilevato la Sesta sezione civile in una serie di
ordinanze emesse in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 cod. proc.
civ. (cfr. per tutte, Cass. VI civile-lavoro, 12 dicembre 2011, n. 26587:
“In tema di procedimento per la concessione della CIGS devono
escludersi incompatibilità tra la normativa regolamentare introdotta
con il d.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, e le disposizioni della legge 23
luglio 1991 n. 223: la disciplina regolamentare, che si limita a imporre
all’imprenditore che intenda chiedere l’intervento straordinario di
integrazione salariale l’obbligo di dare tempestiva comunicazione alle
organizzazioni sindacali, attiene unicamente alla fase amministrativa di
concessione dell’integrazione stessa, e nulla dice sul contenuto
concreto della comunicazione, né detta alcuna disciplina in ordine ai
criteri di scelta e, pertanto, non ha in alcun modo inciso sugli obblighi
di rilevanza collettiva di cui all’art. 1, commi 7 e 8, della legge n. 223
citata.

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rotazione. Il d.P.R. tende a semplificare la fase propriamente

Né la normativa regolamentare ha spostato l’informazione circa i
criteri di scelta e le modalità della rotazione dal momento iniziale della
comunicazione datoriale di avvio della procedura di integrazione
salariale a quello, immediatamente successivo, dell’esame congiunto,
atteso che, così opinando, il contenuto della norma di cui all’art. 2 del

semplificazione del procedimento amministrativo, e avrebbe come
conseguenza solo l’alleggerimento degli oneri della parte datoriale con
la compressione dei diritti d’informazione spettanti al sindacato,
delineando un sistema di consultazione sindacale palesemente
inadeguato rispetto alla finalità perseguita. (Principio affermato ai sensi
dell’art. 360-bis, comma 1, cod. proc. civ.)”.
Il ricorso per cassazione in esame non offre elementi per mutare
orientamento.
Un secondo gruppo di censure attiene alla necessità della
specificazione dei criteri in sede di comunicazione di avvio della
procedura ai sensi dell’art. 1, comma 7,1. 223/1991, dell’art. 5, comma
4, 5, 6 1. n. 164/75, 2697 e dell’art. 2 d.P.R. 218/2000 in relazione al
contenuto della lettera di apertura della procedura.
Anche su tale necessità la giurisprudenza di legittimità si è espressa in
modo costante. La norma guida (art. 1, comma 7, della legge 223 del
1991) è molto chiara nello stabilire che “devono” formare “oggetto
della comunicazione” i “criteri di individuazione dei lavoratori da
sospendere nonché le modalità della rotazione prevista dal comma 8”.
Le Sezioni unite hanno escluso la fondatezza di interpretazioni
riduttive di tale disposizione, sottolineando, con la sentenza n. 302 del
2000, che, in caso di intervento straordinario di integrazione salariale
per l’attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione
o conversione aziendale implicante una temporanea eccedenza di
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d.P.R. n. 218, citato, risulterebbe del tutto estraneo all’esigenza di

personale, il provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa è
illegittimo qualora il datore di lavoro, sia che intenda adottare il
meccanismo della rotazione sia nel caso contrario, ometta di
comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame congiunto,
gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di

combinato disposto della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, e
della L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 5, commi 4 e 5.
L’orientamento si è consolidato del tempo, trovando conferma nella
successiva giurisprudenza di legittimità (per tutte: Cass. 23 aprile 2004,
n. 7720; Cass. 4 maggio 2009, n. 10236; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393;
Cass. 21 settembre 2011, a 19235).
Da ultimo, Cass., 22 febbraio 2012, n. 7459, ha così sintetizzato i
principi base che regolano la materia: a) il provvedimento di
sospensione dell’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di
lavoro (sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione, sia in
caso contrario) ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai
fini dell’esame congiunto, ovvero di concordare con le stesse, gli
specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di
individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, ed ai quali
criteri la scelta dei lavoratori deve poi effettivamente corrispondere
(Cass. 28 novembre 2008, a 28464); b) la specificità dei criteri di scelta
consiste nell’idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel
contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai
criteri (Cass. 23 aprile 2004, a 7720); c) la comunicazione di apertura
della procedura di trattamento di integrazione salariale la cui genericità
rende impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio
indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l’obbligo di
comunicazione previsto dalla L. 23 luglio 1991, a 223, art. 1, comma
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individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, in base al

7, (Cass. 9 giugno 2009, n. 13240); d) la mancata specificazione dei
criteri di scelta (o la mancata indicazione delle ragioni che impediscono
il ricorso alla rotazione) determina l’inefficacia dei provvedimenti
aziendali che può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in
quanto la regolamentazione della materia è finali7zata alla tutela, oltre

lavoratori (Cass. 19 agosto 2003, n. 12137; Cass. 18 maggio 2006, n.
11660).
La valutazione della rispondenza in concreto delle comunicazioni di
avvio della procedura di Cassa integrazione oggetto dell’esame
giudiziale ai requisiti su indicati, è una valutazione di merito in ordine
al contenuto dell’atto negoziale, che rimane estranea al giudizio di
legittimità, quando, come nel caso in esame, il giudice di merito abbia
motivato la sua decisione in modo sufficiente e privo di
contraddizioni.
Un’ulteriore questione posta con i motivi di ricorso attiene al preteso
effetto sanante dell’esame congiunto rispetto alla comunicazione di
avvio della procedura, vuoi perché i criteri sarebbero stati
adeguatamente specificati in tale atto (denunciandosi, al riguardo, la
violazione dei canoni ermeneutici legali e della disciplina legale di
riferimento nonché la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. in
relazione alle testimonianze acquisite al giudizio che avrebbero,
appunto, smentito la pretesa genericità dell’accordo e la sua non
esaustività ai fini richiesti dalla legge), vuoi perché i verbali di esame
congiunto avrebbero il valore di atti amministrativi che certificano la
regolarità della procedura (denunciandosi, al riguardo, anche la
violazione dell’art. 2697 cod. civ. per l’omessa attribuzione di una
intrinseca efficacia probatori ai verbali suindicati).

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che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli

La tesi per cui l’accordo sindacale (sul cui contenuto, si veda quanto
riportato nello svolgimento del processo) conterrebbe un’adeguata
specificazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da porre in
cassa integrazione e spiegherebbe compiutamente le ragioni della
impossibilità del ricorso alla rotazione si risolve nella proposizione di

prova orale, riportata peraltro per stralci), difforme rispetto a quello
della Corte d’appello. Tale valutazione, al pari di quella concernente la
comunicazione di avvio della procedura, spetta in via esclusiva al
giudice di merito e può essere censurata in cassazione solo negli stretti
limiti del giudizio di legittimità, che nel caso in esame vengono
nettamente travalicati. Analogo ragionamento deve essere svolto con
riguardo all’apprezzamento della prova testimoniale.
Quanto poi alla tesi secondo la quale i verbali di esame congiunto
avrebbero il valore di atti amministrativi che certificano la regolarità
della procedura, la società ricorrente la basa sull’art. 2 del d.P.R. 218
del 2000. Dalla lettura di tale norma, però, si evince che all’esame
congiunto partecipano funzionari delle direzioni provinciali o regionali
del lavoro, ma non si evince alcuna efficacia certificatoria della
regolarità della comunicazione aziendale al sindacato in ordine
all’adeguata indicazione dei criteri di scelta o delle ragioni per le quali
non si ricorre alla rotazione.
A queste considerazioni, di per sé esaustive, deve aggiungersi che la
possibilità di un effetto sanante di un accordo sindacale sui criteri di
scelta, laddove l’accordo li indichi in modo puntuale e specifico, è
stata ammessa solo in casi particolari e circoscritti, ma non nell’ipotesi
in cui la comunicazione è strettamente funzionale a mettere in grado le
organizzazioni sindacali di partecipare al confronto con la controparte
adeguatamente informate e ai lavoratori di avere contezza delle
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un giudizio di merito (basato anche su di una particolare rilettura della

prospettazioni aziendali. Né può essere ammessa con effetto
retroattivo rispetto a scelte in concreto già operate (per ulteriori
approfondimenti si rinvia a Cass. 26587/2011 cit.; in generale
sull’esclusione del carattere sanante dell’accordo cfr. Cass. 9 giugno
2009, n. 13240 e Cass. 1 luglio 2009, n. 15393).

Con l’ultimo motivo di ricorso è censurata la sentenza per avere
omesso l’esame del documento allegato sub 13) al ricorso in appello dal
quale risultava che la ricorrente aveva chiesto di prorogare il suo
collocamento in CIGS per ragioni di salute, così concorrendo a causare
, il danno.
In relazione a tale ultima censura si osserva che la stessa appare
inammissibile in quanto dalla lettura della sentenza non si evince che in
appello sia stata censurata la scelta del Tribunale di ritenere
inammissibile, perché tardiva, la produzione di documentazione
attestante il contenuto dei colloqui svoltisi tra una responsabile
aziendale e la lavoratrice, contenuto che non era stato confermato nel
corso della prova testimoniale.
Poiché si intende dare continuità ai principi sopra esposti (cfr. in termini
Cass.nn.11777,12096,12095,11712,11711,11710,11335,11334,11327,113
26,11325,11324,11323 tutte del 2014) il ricorso deve essere rigettato ,
restando assorbite tutte le altre eccezioni o obiezioni con ordinanza ex
art. 375 cod. proc. civ., n. 5 perché manifestamente infondato.
Le spese seguono la soccombenza e, liquidate in dispositivo, vanno
distratte in favore dell’Avv. Carlo Cuneo che se ne dichiara antistatario
PQM

g

La Corte, rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al
pagamento delle spese processuali liquidate in € 3500,00 per compensi
professionali € 100,00 per esborsi oltre al 15% per spese forfetarie.

Ric. 2012 n. 15438 sez. ML – ud. 09-04-2015
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a

Accessori come per legge. Spese da distrarsi in favore dell’Avv. Carlo
Cuneo antistatario.

~AT010 WOM~

Così deciso in Roma il 9 aprile 2015

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