Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9809 del 19/04/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 19/04/2017, (ud. 10/01/2017, dep.19/04/2017),  n. 9809

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 22631/2012 R.G. proposto da:

M.D., in proprio e nella sua qualità di socio accomandante

della SERVICE BAR s.a.s di M.G. & C., rappresentata e

difesa dall’Avv. Giovanni Mariano, con domicilio eletto presso lo

studio legale del predetto difensore, in Milano, piazza Maria

Adelaide di Savoia, n. 5, giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA NORD s.p.a., in persona del legale rappresentate pro

tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 27/42/2012, depositata in data 15 febbraio 2012.

Udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 10 gennaio 2017

dal Cons. Lucio Luciotti;

udito l’Avv. Giancarlo Caselli, per l’Avvocatura Generale dello

Stato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale De Augustinis Umberto, che ha concluso chiedendo

dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A seguito di rideterminazione a ribasso della percentuale di ricarico da applicare sui ricavi conseguiti dalla Service Bar s.a.s. di M.G. & C. nell’anno di imposta 2003, operata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano con sentenza n. 106/46/09, di parziale accoglimento del ricorso proposto dalla predetta società contribuente e dai soci M.G. e D. avverso l’avviso di accertamento di maggiori imposte ai fini IVA ed IRAP, a seguito di iscrizione a ruolo provvisoria ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68 l’agente della riscossione notificava una cartella di pagamento alla società contribuente ed ai soci “in qualità di coobbligato/i solidale”. Questi ultimi proponevano ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano che con sentenza n. 279/23/10 annullava la predetta cartella. La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, dinanzi alla quale ricorreva l’Agenzia delle entrate, accoglieva l’appello e riformava integralmente la sentenza di primo grado, sostenendo che avevano errato i primi giudici nel ritenere che la sentenza di primo grado posta a base dell’iscrizione a ruolo provvisoria avesse annullato integralmente l’avviso di accertamento, mentre in realtà aveva soltanto ridotto l’entità della percentuale di ricarico applicata dall’Ufficio finanziario, prendendo altresì atto dello sgravio parziale delle maggiori imposte accertate per la parte eccedente i due terzi, erroneamente richieste con la cartella di pagamento.

2. Avverso la sentenza della CTR n. 27 del 15 febbraio 2010, la contribuente M.D. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, sia nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che replica con controricorso, che dell’agente per la riscossione, che non spiega difese.

3. Il Collegio ha deliberato la redazione della sentenza con motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminare rilevato che la controricorrente Agenzia delle entrate ha sollecitato la verifica di ammissibilità del ricorso per difetto della “sommaria” esposizione dei fatti di causa, come imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, avendovi la ricorrente provveduto mediante la riproduzione integrale, “senza alcuna evidenziazione o selezione specifica dei contenuti rilevanti” (Cass. n. 18363/2015), sia dell’avviso di accertamento (oggetto di altro giudizio), sia della cartella di pagamento (oggetto del presente giudizio), sia degli atti processuali dei precedenti gradi di giudizio (ad eccezione delle controdeduzioni dell’Agenzia delle entrate in primo grado e dell’atto di controdeduzioni dei contribuenti in appello), sia degli atti processuali dei giudizi di merito aventi ad oggetto l’avviso di accertamento, dedicando all’esposizione di tali fatti ben 44 pagine, riservando all’esposizione dei tre motivi dedotti soltanto sei pagine.

2. Orbene, il ricorso è manifestamente inammissibile alla stregua di quella consolidata pregressa giurisprudenza di legittimità che ritiene simili forme di preteso adempimento dell’onere di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, inidonee allo scopo per “inutile eccesso”, a principiare dall’insegnamento impartito dalle Sezioni unite di questa Corte che nella sentenza n. 5698 del 2012 ha affermato che “in tema di ricorso per cassazione, ai fini del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso”.

3. In base a tale condivisibile principio di diritto (riaffermato da Cass. n. 593 del 2013, n. 784 e n. 4324 del 2014, n. 9828 e 22185 del 2015, n. 16749 del 2016), il ricorso va dichiarato inammissibile per inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 3.

4. Se si superasse il rilievo di inammissibilità ai sensi di tale norma, si configurerebbe una inammissibilità per difetto di autosufficienza delle censure ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto le stesse si fondano sul contenuto di un atto processuale, e cioè le controdeduzioni in appello, di cui, invece, la ricorrente ha del tutto omesso di riportare il contenuto necessario per consentire a questa di Corte di valutare se le domande proposte in primo grado – in relazione alle quali ha dedotto sia l’omessa pronuncia dei giudici di appello in relazione alla contestata illegittimità della notifica della cartella di pagamento nei confronti di essa socia accomandante, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (primo motivo), sia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2313 cod. civ. e D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 1, (secondo motivo), sia l’omessa ed insufficiente motivazione sulla medesima questione – siano state devolute, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56 sotto pena di definitiva rinuncia, al giudice di secondo grado, che nella sentenza impugnata non ne fa alcuna menzione. Questa Corte non è stata, quindi, posta in grado di accertare se quelle domande fossero state ripetute nell’atto di controdeduzioni in appello. Infatti, la ricorrente non solo omette di trascriverne il contenuto e nemmeno lo riproduce indirettamente, indicando dove sarebbe rinvenibile, ma soprattutto non dice se e dove sarebbe esaminabile in questa sede, ove prodotto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. Al riguardo, infatti, la ricorrente neppure ha dedotto se l’atto sia presente nel fascicolo d’ufficio, siccome ammesso per gli atti processuali in ipotesi in esso presenti da Cass. Sez. un. n. 22726 del 2011, con esenzione da una separata produzione, ma fermo restando l’onere di indicazione in siffatto modo agli effetti dell’osservanza dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. (Cass. n. 784 del 2014; v. anche Cass. n. 25213 e n. 14864 del 2016).

5. In estrema sintesi, quindi, il ricorso va dichiarato inammissibile, non ostandovi l’omessa notifica del ricorso a M.G., socio accomandatario e legale rappresentante della società, che era stato parte del giudizio di primo grado, atteso che il rispetto del principio della ragionevole durata del processo, che impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso, di definire con immediatezza il procedimento (Cass. S.U., ord. n. 6826 del 22/03/2010, Rv. 612077; conf. Sez. 3, sent. n. 15106 del 17/06/2013, Rv. 626969; Cass. n. 5843 del 2016) prevale sulla necessità di disporre, ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ., l’integrazione del contraddittorio nei confronti della parte pretermessa e non spontaneamente costituitasi.

6. La ricorrente va condannata alle spese processuali in favore della parte costituita nella misura liquidata in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2017

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