Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9807 del 14/04/2021

Cassazione civile sez. I, 14/04/2021, (ud. 11/02/2021, dep. 14/04/2021), n.9807

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17731/2019 proposto da:

A.F., rappresentato e difeso, giusta procura speciale ad

litem a margine del ricorso per cassazione, dall’Avv. Donato

Cecenia, con domicilio eletto in Roma, alla via Taranto, 95, lotto

C, scala A.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di NAPOLI n. 3893/2019, pubblicato

il 2 maggio 2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11/02/2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna;

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con decreto del 2 maggio 2019, il Tribunale di Napoli, ha rigettato il ricorso proposto da A.F., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Il richiedente ha dichiarato di essere originario del villaggio (OMISSIS) e di essersi trasferito a (OMISSIS) per lavorare come autista; di avere lasciato il paese di origine per il timore di subire vessazioni da parte dei membri del gruppo degli (OMISSIS) a cui aveva rifiutato di aderire.

3. Il Tribunale ha ritenuto poco credibile e contraddittorio il narrato del richiedente in relazione al motivo dell’espatrio troppo generico, tenuto conto che il ricorrente non era stato capace di specificare l’attività svolta dal gruppo degli (OMISSIS), nè le modalità di reclutamento limitandosi a narrare che facevano cose poco buone e che, come emergeva dalle fonti internazionali, l’organizzazione si componeva di membri di elevata posizione e l’adesione era in linea di principio volontaria; che non sussistevano nemmeno i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, anche alla luce delle fonti internazionali consultate e specificamente indicate; quanto alla protezione umanitaria, dal racconto del ricorrente non erano ravvisabili ragioni di carattere umanitario, nè poteva assumere rilievo l’assunzione a tempo indeterminato nel mese di (OMISSIS), in data successiva alla proposizione del ricorso, essendo comunque necessario compiere un bilanciamento tra la situazione del ricorrente in Italia e la situazione del paese di origine e potendosi giustificare la protezione umanitaria solo in presenza di una situazione di grave deprivazione dei diritti umani nel paese di origine o di mancanza di condizioni minime per una esistenza dignitosa, situazione che non ricorreva alla luce della situazione socio-politica della Nigeria e di quanto dichiarato dal ricorrente circa le ragioni dell’espatrio.

4. A.F. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a quattro motivi.

5. L’Amministrazione intimata ha depositato controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, error in procedendo ed error in indicando ed erroneità della ratio decidendi ed espone tre diversi profili di censura.

Il ricorrente si duole il ricorrente che la declaratoria della non credibilità del racconto era fondata sullo spezzettamento delle circostanze e sulla assoluta prevalenza della interpretazione delle parole raccolte in sede di audizione innanzi alla Commissione territoriale perdendone così l’effettivo significato logico; contesta la complessiva ratio decidendi del provvedimento che, assumendo di non potere riscontrare credibilità ed organicità del racconto e delle prove, ha rigettato le tre domande con una motivazione parziale, generica ed incongrua a fronte di un racconto organico e conseguenziale; deduce che i giudici di merito non avevano acquisito tutte le informazioni ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, elaborate dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo sulla base dei dati forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti al livello nazionale e non avevano tenuto conto del rapporto di Amnesty International del 2016, oltre che delle dichiarazioni del Presidente della Lega per i diritti umani e della stampa nazionale.

Ancora il ricorrente si duole dell’errata motivazione del Tribunale che aveva escluso la sussistenza di un danno grave, dato che l’evidenza del danno emergeva dal rilevante conflitto religioso fra il ricorrente, di religione pentecostale, e la maggioranza degli abitanti del paese, fagocitati dagli estremisti islamici; il decreto, peraltro, non aveva tenuto conto della dettagliatissima indicazione delle fonti di informazioni in merito alla setta degli (OMISSIS) e alla loro intolleranza religiosa.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, error in procedendo ed error in iudicando; nullità, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e) e f); artt. 3, 7 e 8; violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d) ed e), non avendo la Corte di appello valutato che la condizione giuridica rientrava proprio nelle ipotesi afferenti ai motivi di persecuzione (religione) e agli atti di persecuzione (atti di violenza fisica e psichica, azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie; rifiuto di accesso ai mezzi di tutela giuridici e conseguente sanzione sproporzionata o discriminatoria) e particolarmente grave era la mancata valutazione da parte del Tribunale delle fonti di informazione indicate nel ricorso di primo grado.

2.1 I motivi, che in quanto connessi vanno trattati unitaria mente, sono in parte infondati e in parte inammissibili.

Nel caso in esame, il Tribunale ha rigettato la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato ritenendo le dichiarazioni del richiedente fortemente incongrue, sia intrinsecamente, sia estrinsecamente, spiegando, alle pagine 5 e 6 del provvedimento impugnato, i numerosi profili di contraddittorietà ed incoerenza e ha, poi, concluso, a pag. 6, rilevando l’insussistenza del fumus persecutionis.

2.2 Il motivo, quindi, sotto lo specifico profilo censurato della motivazione apparente, è infondato perchè la motivazione esiste ed è basata su risultanze di causa specificamente richiamate e valutate dal collegio giudicante e sorretta da un contenuto non inferiore al “minimo costituzionale”, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte, così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa e alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale” delineata, per quanto detto, come violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053).

2.3 Il Tribunale, inoltre, ha compiuto un accertamento in fatto, non più censurabile in sede di legittimità, in esito al quale ha ritenuto inattendibile la narrazione del richiedente, elemento questo di fondamentale importanza, poichè secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione “In materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

Con la conseguenza che l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e con l’ulteriore corollario che il giudice deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate.

Ciò nel rispetto dei principi affermati da questa stessa Corte sull’onere della prova in materia di protezione internazionale, materia che non si sottrae al principio dispositivo, pur nei limiti sopra esposti in relazione al principio della cooperazione istruttoria del giudice (Cass., 29 ottobre 2018, n. 27336).

2.4 In ogni caso, fermo restando l’assenza della contraddittorietà della motivazione dedotta, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività. Il ricorrente non solo, non indica quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso, ma fa riferimento, sempre generico, alla necessità di avere riguardo al contenuto delle plurime fonti individuate e trascritte dal ricorrente (e tra queste le dichiarazioni del Presidente della Lega per i diritti umani), a fronte del richiamo da parte del Tribunale di fonti internazionali del 2017 (mentre il rapporto di Amnesty International richiamato dal ricorrente è quello del 2016) che, secondo quanto motivato dal Tribunale, hanno accertato l’insussistenza di motivi persecutori e di una situazione di violenza indiscriminata.

2.5 Con riguardo specifico all’esistenza del danno grave in ragione del conflitto religioso esistente fra il ricorrente, di religione pentecostale, il Tribunale ha rilevato che dalle fonti consultate emergeva che gli appartenenti alla setta degli (OMISSIS) erano membri di elevata posizione sociale ed economica e che l’adesione, in linea di principio, era volontaria e nella maggior parte dei casi gli individui vi aderivano spontaneamente perchè ambivano al potere, a ricompense in denaro e al successo.

2.6 E’ questa, peraltro, una ratio decidendi non specificamente censurata dal ricorrente, con conseguente inammissibilità della doglianza (Cass., 10 agosto 2017, n. 19989).

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, error in procedendo, error in iudicando; nullità, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e h) e art. 14; violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. f) e g), non avendo il Tribunale, valutato, oltre alle fonti di informazioni fornite, il danno grave che avrebbe subito per le azioni di polizia – blandita e corrotta dagli (OMISSIS) – tali da procurargli torture e trattamenti inumani in carcere e che egli non avrebbe potuto contrastare il furore anticristiano delle milizie jadiste di (OMISSIS).

3.1 Il motivo è inammissibile.

3.2 E’, in primo luogo, inammissibile perchè non coglie il segno per difetto di specificità e pertinenza rispetto alla “ratio decidendi”, avendo il Tribunale rigettato la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), per la scarsa verosimiglianza del racconto, ostativa alla configurabilità di una minaccia individuale alla vita o alla persona in relazione alla vicenda prospettata dal richiedente.

3.3 Il secondo motivo è, in secondo luogo, inammissibile nella parte in cui ha ad oggetto l’accertamento dell’insussistenza della situazione di conflitto armato rilevante ai fini del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), trattandosi di accertamento in fatto non adeguatamente censurato con il ricorso.

Nella sostanza, la censura del ricorrente si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., 13 agosto 2018, n. 20721).

4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nullità, violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis e art. 32, comma 3, non avendo il Tribunale svolto alcuna valutazione comparativa, avendo errato nel non riconoscere la protezione umanitaria soltanto a cagione delle condizioni di natura sanitaria e avendo confuso gli istituti della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

4.1 Il motivo è infondato.

4.2 Il Tribunale ha escluso l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria ritenendo che non sussistevano ragioni di carattere umanitaria e stante la mancanza di deduzioni, da parte del ricorrente, di diverse e specifiche circostanze giustificative del riconoscimento della protezione, quali patologie di rilievo e l’età.

Sul punto, deve rammentarsi che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass., 22 febbraio 2019, n. 5358).

5. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna A.F. alla rifusione, in favore del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021

 

 

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