Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9806 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 26/05/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 26/05/2020), n.9806

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4418-2014 proposto da:

CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – C.N.R., in persona del

Presidente pro tempore, e l’ISTITUTO NAZIONALE DI RICERCA

METROLOGICA, in persona del legale rapp. p.t., entrambi

rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domiciliano ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n.

12;

– ricorrente –

contro

S.P.P.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

GRACCHI 128, presso lo studio dell’avvocato ISABELLA MARIA CESARINA

DE ANGELIS, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1107/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 10/12/2013 R.G.N. 69/2013.

Fatto

RILEVATO

1. Che la Corte di Appello di Torino, con la sentenza n. 1107 del 2013, ha respinto l’appello proposto dal CNR e dall’INRIM – Istituto Nazionale di Ricerca Metodologica – avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva accolto la domanda di S.P.P.M., e dichiarato il diritto dello stesso al riconoscimento, ai fini della progressione stipendiale, dei periodi di servizio prestati in virtù di contratti a termine, e in parziale accoglimento del ricorso, condannava l’INRIM a pagare al ricorrente le conseguenti differenze retributive maturate dal 14 ottobre 2001 (data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001) sino all’ammissione alla classe stipendiale corrispondente all’anzianità maturata e l’INRIM e il CNR in solido al pagamento delle differenze retributive per il periodo compreso fra il (OMISSIS) (essendo stata interrotta la prescrizione con lettera del 27 luglio 2010) ed il (OMISSIS).

2. La Corte territoriale ha premesso in punto di fatto che l’appellato, dopo aver prestato attività lavorativa alle dipendenze dell’INRIM e del CNR in forza di contratti a tempo determinato, dal 2 novembre 2001, era stato stabilmente assunto a seguito della procedura concorsuale, e al momento della definitiva immissione in ruolo si era visto azzerare l’anzianità pregressa, riconosciuta, invece, in pendenza del rapporto a termine.

3. Il giudice d’appello ha fondato la decisione sul principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla direttiva 1999/70/CE, ed ha evidenziato che detto principio impedisce di applicare ai lavoratori assunti a tempo determinato condizioni di impiego, fra le quali rientra anche il riconoscimento a fini retributivi dell’anzianità di servizio, meno favorevoli rispetto a quelle riservate ai dipendenti stabilmente inseriti nei ruoli dell’amministrazione, salva la sussistenza di ragioni oggettive che giustifichino la disparità di trattamento.

4. Ha richiamato la sentenza 18.10.2012 della Corte di Giustizia nelle cause riunite da C- 302/11 a C- 305/11, pronunciata in fattispecie nella quale veniva in rilievo la procedura di stabilizzazione disciplinata dalla L. n. 296 del 2006, ed ha precisato che l’appellante non aveva mai contestato che nel passaggio dal precariato alla stabilizzazione il ricorrente avesse continuato a svolgere le medesime mansioni e che l’unico elemento di differenziazione fosse costituito dalla natura, a termine e non a tempo indeterminato, del rapporto.

6. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorrono il CNR e l’INRIM, sulla base di un unico motivo, articolato in più punti, al quale ha resistito con controricorso il lavoratore.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che il ricorso denuncia con un unico motivo, articolato in più punti, “violazione e falsa applicazione della direttiva n. 1999/70/CE e del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 368, art. 36”.

1.1. Il ricorrente premette che la controversia doveva essere decisa unicamente sulla base del diritto nazionale, perchè non poteva la Corte territoriale riconoscere efficacia diretta alla normativa comunitaria, recepita tempestivamente e correttamente dallo Stato con il D.Lgs. n. 368 del 2001.

Aggiunge che per il pubblico impiego contrattualizzato la normativa di riferimento è dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 nonchè dai contratti collettivi nazionali di lavoro e, nel caso di specie, dal CCNL per gli enti del Comparto Ricerca, quadriennio normativo 2002/2005, che prevede, tra l’altro, la parità di trattamento tra assunti a tempo determinato e dipendenti a tempo indeterminato.

Rileva, inoltre, che non poteva la Corte d’Appello limitarsi a richiamare la giurisprudenza della Corte di Giustizia senza procedere ad una comparazione fra le fattispecie. in realtà non assimilabili, perchè il caso esaminato dalla sentenza D.C.A. si riferiva all’ordinamento spagnolo che, nell’ambito del personale di ruolo, distingue lavoratori a tempo determinato e indeterminato.

Aggiunge l’Istituto che a seguito della stabilizzazione si instaura un nuovo rapporto del tutto autonomo rispetto al precedente contratto a tempo determinato, il che esclude la possibilità del riconoscimento dell’anzianità pregressa, attesa la ontologica diversità tra il lavoro precario e quello a tempo indeterminato.

Infine. rileva il ricorrente che, sulla base della stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia, anche in caso di abuso nella reiterazione del contratto a termine, lo Stato, al momento della trasformazione del rapporto, non è tenuto a mantenere immutate le clausole principali del contratto precedente, potendo stabilire un trattamento economico e un inquadramento meno favorevoli.

2. Il motivo di ricorso è infondato per le ragioni già evidenziate da questa Corte con le ordinanze n. 27950/2017, n. 7112/2018 e n. 3473 del 2019, alle quali il Collegio intende dare continuità, che hanno respinto analoghi ricorsi proposti in fattispecie nelle quali veniva in rilievo il mancato riconoscimento dell’anzianità maturata con rapporti a termine da dipendenti pubblici assunti all’esito delle procedure di stabilizzazione, e le cui argomentazioni di seguito si riportano.

2.1. Con le richiamate pronunce si è premesso che la clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva 1999/70/CE, nella parte in cui stabilisce che “per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano condizioni oggettive”, è stata più volte interpretata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha evidenziato che:

a) la clausola 4 dell’Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicchè la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte Giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06, Impact; 13.9.2007, causa C-307/05, D.C.A.; 8.9.2011, causa C-177/10 Rosado Santana);

b) il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137 n. 5 del Trattato (oggi 153 n. 5), “non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorchè proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” ( D.C.A., cit.. punto 42);

c) le maggiorazioni retributive che derivano dall’anzianità di servizio del lavoratore, costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (Corte di Giustizia 9.7.2015. in causa C177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata);

d) a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, nè rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perchè la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi).

2.2. La stessa Corte di Giustizia, chiamata a pronunciare in fattispecie nelle quali veniva in rilievo il mancato riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata in epoca antecedente alla procedura di stabilizzazione prevista dalla L. n. 296 del 2006, fattispecie analoga a quella in esame in cui il lavoratore veniva assunto a tempo indeterminato risultando vincitore di concorso, ha evidenziato che la clausola 4 “osta ad una ormativa nazionale, quale quella controversa nei procedimenti principali, la quale escluda otalmente che i periodi di servizio compiuti da un lavoratore a tempo determinato alle dipendenze di un’autorità pubblica siano presi in considerazione per determinare l’anzianità del lavoratore stesso al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa medesima autorità, come dipendente di ruolo nell’ambito di una specifica procedura di stabilizzazione del suo rapporto di lavoro, a meno che la citata esclusione sia giustificata da ragioni oggettive ai sensi dei punti 1 e/o 4 della clausola di cui sopra. Il semplice fatto che il lavoratore a tempo determinato abbia compiuto i suddetti periodi di servizio sulla base di un contratto o di un rapporto o di lavoro a tempo determinato non configura una ragione oggettiva di tal genere” (Corte di Giustizia 18.10.2012 in cause riunite da C- 302/11 a C-305/11, Valenza e negli stessi termini Corte di Giustizia 4.9.2014 in causa C – 152/14 Bertazzi).

2.3 I richiamati principi sono stati ribaditi dalla Corte di Giustizia nella recente sentenza 20 settembre 2018 in causa C-466/17, Motter, con la quale si è, in sintesi, osservato che al fine di “raggiungere un equilibrio tra i legittimi interessi dei lavoratori a tempo determinato e quelli dei lavoratori a tempo indeterminato” e di evitare “discriminazioni alla rovescia” è consentito, nel rispetto del principio del pro rata temporis, tener conto dei periodi di servizio prestati in misura non integrale, fermo però restando che al momento dell’assunzione come dipendente pubblico di ruolo deve essere valorizzata ai fini dell’anzianità anche la carriera pregressa del lavoratore a tempo determinato.

Si è precisato, al riguardo, che il riconoscimento non integrale deve comunque trovare fondamento nella necessità di “….rispecchiare le differenze tra l’esperienza acquisita dai docenti assunti mediante concorso e quella acquisita dai docenti assunti in base ai titoli, a motivo della diversità delle materie, delle condizioni e degli orari in cui questi ultimi devono intervenire, in particolare nell’ambito di incarichi di sostituzione di altri docenti” (così, Corte di Giustizia, 20/09/2018, causa C-466/17, Motter).

2.4. Ai principi sopra richiamati si è correttamente attenuta la Corte territoriale la quale, come evidenziato nello storico di lite, ha accertato che nel passaggio dal precariato alla stabilizzazione il lavoratore aveva continuato a svolgere le medesime mansioni (pag. 21 della sentenza di appello), sicchè l’unico elemento di differenziazione era costituito dalla natura, a termine e non a tempo indeterminato, del rapporto.

2.5. Anche in questa sede i ricorrenti si sono limitati a fare leva sull’autonomia dei singoli contratti a termine e sulla necessità di evitare discriminazioni in danno degli assunti a tempo indeterminato, ossia su circostanze che, alla luce della richiamata giurisprudenza della Corte di Giustizia, non sono idonee a giustificare la totale esclusione dei periodi di lavoro a tempo determinato ai fini del calcolo dell’anzianità.

3. Il ricorso va, pertanto, rigettato con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso nei sensi di cui in motivazione. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 200,00, per esborsi, Euro 4.000,00, per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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