Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9805 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 26/05/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 26/05/2020), n.9805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27277-2014 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL FANTE

n. 2, presso lo studio dell’avvocato FABIO CIOFFI, rappresentato e

difeso dall’avvocato DOMENICO BISCIONE;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI RUOTI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA n. 2, presso ALFREDO PLACIDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GERARDO DONNOLI;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 334/2014 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 29/05/2014 R.G.N. 56/2012.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Potenza, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dal Comune di Ruoti, ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa sede e ha respinto tutte le domande formulate nei confronti dell’ente municipale da S.G. il quale, con distinti ricorsi, aveva domandato la condanna del Comune al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della condotta vessatoria tenuta dal datore di lavoro, nonchè l’accertamento della giusta causa delle dimissioni rassegnate il (OMISSIS) e dell’inefficacia del licenziamento intimato il (OMISSIS) in relazione ad un rapporto ormai risolto;

2. la Corte territoriale ha rilevato che, quanto al danno morale, professionale ed esistenziale, il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era privo delle necessarie allegazioni e non consentiva neppure di avvalersi della prova per presunzioni perchè nulla il ricorrente aveva dedotto in merito alle abitudini di vita, alle esperienze maturate, alla considerazione acquisita tra i colleghi ed i superiori, all’anzianità di servizio;

3. il giudice d’appello ha aggiunto che anche in relazione al danno biologico lo S. non aveva assolto all’onere della prova sullo stesso gravante, perchè non era stato dimostrato il nesso causale fra l’unico episodio lesivo, ossia il ritiro delle chiavi dell’ufficio risalente all'(OMISSIS), e l’insorgenza della sindrome ansioso depressiva reattiva, certificata il (OMISSIS);

4. ha precisato al riguardo che il consulente tecnico d’ufficio aveva espresso solo una valutazione di astratta compatibilità con l’ambiente di lavoro stressante, valutazione non sufficiente a fondare l’accoglimento della domanda in quanto plurime ragioni inducevano ad escludere che la malattia fosse sorta o fosse stata aggravata da atteggiamenti vessatori del datore;

5. ha rilevato, infine, che dall’istruttoria era emerso che il Comune aveva mostrato di voler venire.incontro alle esigenze del dipendente, rientrato dal congedo per malattia protrattosi sino a tutto il mese di luglio 2008, e ciò risultava logicamente incompatibile con l’intento persecutorio che deve caratterizzare il mobbing;

6. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso S.G. sulla base di un unico motivo;

7. il Comune di Ruoti, che si era solo costituito in giudizio, concludendo per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso e riservandosi di illustrare le difese nel corso della discussione orale, a seguito della fissazione dell’adunanza camerale, ha depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorrente denuncia, con un unico motivo di ricorso formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 112 e 116 c.p.c. e dei principi generali in materia di ripartizione tra le parti dell’onere probatorio; contraddittoria insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia; violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato” e censura la sentenza gravata perchè il nesso causale, escluso dalla Corte territoriale, era stato provato attraverso il deposito di certificazioni mediche rilasciate da strutture sanitarie pubbliche ed era stato affermato anche dal consulente tecnico d’ufficio, il quale aveva ritenuto che la sindrome ansiosa depressiva fosse conseguenza dello stress vissuto nell’ambiente di lavoro;

1.1. precisa al riguardo che la consulenza tecnica rappresenta una fonte oggettiva di prova allorquando si risolve nell’accertamento di fatti rilevabili unicamente con l’ausilio di specifiche cognizioni e strumentazioni tecniche;

1.2. aggiunge che la Corte territoriale per escludere la sussistenza del nesso causale non poteva fare leva su circostanze che il Comune, costituitosi tardivamente, inammissibilmente aveva introdotto, sebbene fosse decaduto dalle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio;

1.3. evidenzia, infine, che il giudice d’appello aveva omesso ogni pronuncia sulla domanda introdotta con il ricorso iscritto al n. 1850/2009 R.G. Tribunale di Potenza, riguardante le dimissioni rassegnate per giusta causa il (OMISSIS), ossia in epoca antecedente al licenziamento;

2. il ricorso è inammissibile in tutte le sue articolazioni, per plurime ragioni concorrenti che rendono non scrutinabili le censure;

2.1. quanto alla denunciata violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato occorre richiamare l’orientamento, ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, sebbene non siano richieste formule sacramentali nè sia indispensabile che il ricorrente faccia espressa menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 tuttavia è necessario che il motivo rechi “univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge” (Cass. S.U. n. 17931/2013 e negli stessi termini, fra le più recenti, Cass. n. 10862/2018);

2.2. quest’ultima evenienza ricorre nella fattispecie, perchè in nessuna parte del motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, è eccepita la nullità della sentenza gravata;

3. si è evidenziato nello storico di lite che la Corte territoriale ha respinto la domanda di risarcimento del danno sulla base di una pluralità di argomenti perchè, oltre a rilevare l’assenza di nesso causale fra la condotta tenuta dal datore di lavoro e l’insorgenza della patologia, ha anche evidenziato: che era emerso un unico inadempimento datoriale, ossia la mancata consegna delle chiavi dell’ufficio risalente all’anno 2005; che doveva essere escluso l’intento lesivo, che caratterizza, sul piano soggettivo, il mobbing; che quest’ultimo è configurabile solo in presenza di una condotta sistematica e protratta nel tempo (pag. 7 della decisione);

3.1. il ricorrente, nell’insistere sull’asserita sussistenza del nesso causale, escluso dal giudice d’appello, assume che la patologia sarebbe stata conseguenza della “condizione mobbizzante” e delle vessazioni subite, ma non si confronta con tutti gli argomenti sui quali la pronuncia di rigetto è fondata nè censura la decisione nella parte in cui ha escluso gli elementi costitutivi del mobbing in entrambe le sue componenti;

3.2. è ius receptum che nel giudizio di cassazione la proposizione di censure prive della necessaria specifica attinenza al decisum della sentenza gravata è assimilabile alla mancata enunciazione, richiesta dall’art. 366 c.p.c., n. 4, e determina l’inammissibilità, in tutto o in parte, del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (cfr.fra le tante Cass. n. 20910/2017, Cass. n. 20652/2009, Cass. n. 17125/2007, Cass. S.U. n. 14385/2007);

4. alle considerazioni che precedono, già assorbenti, si deve aggiungere che il giudice di merito, peritus peritorum, così come non ha l’obbligo di nominare un consulente tecnico d’ufficio, può, esaminando direttamente la documentazione su cui si basa la relazione peritale, disattenderne le argomentazioni, sostituendole con proprie diverse (Cass. n. 30733/2017);

4.1. nel caso di specie la Corte territoriale ha escluso la sussistenza del nesso causale, sulla base di una valutazione complessiva delle risultanze di causa, ed ha affermato di non porsi in contrasto con le conclusioni espresse dall’ausiliare, perchè quest’ultimo aveva espresso solo un giudizio di “astratta compatibilità con un ambiente di lavoro stressante”;

4.2. il ricorrente, pur denunciando nella rubrica anche la violazione di norme di legge, si limita a contrapporre una propria diversa lettura, rispetto al convincimento espresso dal giudice d’appello, del contenuto della consulenza tecnica e dei documenti prodotti e ciò fa, inammissibilmente, senza assolvere agli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, perchè il contenuto dei documenti non è riportato nel ricorso nè si forniscono indicazioni sulla loro precisa allocazione nel fascicolo processuale, e sviluppando argomentazioni che sollecitano un giudizio di merito non consentito alla Corte di legittimità ed esulano dai limiti del riformulato art. 360 c.p.c., n. 5, come interpretato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8053/2014;

5. in via conclusiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate tenendo conto dell’attività difensiva svolta dal Comune che, dopo la costituzione in giudizio, ha depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c.;

6. va ribadito che, relativamente ai ricorsi già depositati alla data del 30 ottobre 2016 e per i quali venga fissata adunanza camerale, la parte intimata che non abbia provveduto a notificare e a depositare il controricorso nei termini di cui all’art. 370 c.p.c. ma che, in base alla pregressa normativa, avrebbe ancora la possibilità di partecipare alla discussione orale, per sopperire al venir meno di siffatta facoltà può presentare memoria, al fine di evitare disparità di trattamento rispetto ai processi trattati in pubblica udienza ed in attuazione del principio costituzionale del giusto processo, di cui all’art. 111 Cost. oltre che dell’art. 6 CEDU (Cass. n. 4906/2017 e Cass. n. 12803/2019 che richiama anche l’art. 1 del Protocollo di intesa del 15.12.2016 nella parte in cui prevede che “per i ricorsi già depositati alla data del 30 ottobre 2016 per i quali venga successivamente fissata adunanza camerale, l’intimato che non abbia provveduto a notificare e a depositare il controricorso nei termini di cui all’art. 370 c.p.c., ma che, in base alla pregressa normativa, avrebbe ancora la possibilità di partecipare alla discussione orale, possa, per sopperire al venir meno di siffatta facoltà, presentare memorie, munita di procura speciale, nei medesimi termini entro i quali può farlo il controricorrente”);

7. sussistono le condizioni processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater perchè ai sensi della norma citata, nel caso in cui il ricorso per cassazione venga rigettato ovvero dichiarato inammissibile o improcedibile, la Corte di cassazione deve limitarsi ad attestare solo l’elemento oggettivo costituito dal tenore della pronuncia che ne determina il presupposto, mentre le condizioni soggettive della parte, fra le quali rientra anche l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, devono essere verificate dalla Cancelleria, nella loro specifica esistenza e permanenza, al momento dell’eventuale successiva attività di recupero del contributo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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