Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9803 del 13/05/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 9803 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 19154-2014 proposto da:
TELECOM ITALIA S.P.A. C.F. 00471850016, in persona del
legale rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA,\LL.G. FARAVELLI 22, presso lo
studio degli avvocati ARTURO MARESCA, ROBERTO ROMEI,
FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano e
2015

difendono giusta delega in atti;
– ricorrente –

678

contro

PERELLI

CIPPO

GIANCARLO,

domiciliato in ROMA,

C.F.

PRLGCR60E11L677X,

PIAZZA CAVOUR, presso la

Data pubblicazione: 13/05/2015

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato MIRANDA BRUNO,
MONICA ROTA, DAVIDE BONSIGNORIO, giusta delega in
atti;
– controricorrente

di MILANO, depositata il 04/02/201kr.g.n. 3102/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/02/2015 dal Consigliere Dott. GIULIO
MAI SANO;
udito l’Avvocato BOCCIA FRANCO RAIMONDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per:
in via principale inammissibilità in subordine rigetto
del ricorso.

avverso la sentenza n. 105/2014 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 4 febbraio 2014 la Corte d’appello di Milano ha
confermato la sentenza del Tribunale di Milano n. 2797/2012 che aveva
condannato la Telecom Italia s.p.a. al pagamento in favore di Cippo Perelli
Giancarlo della somma di E 35.379,52 a titolo di retribuzione relativa al

quale la società non aveva adempiuto all’ordine di reintegrazione del
Perelli nel posto di lavoro per effetto della pronuncia del medesimo
Tribunale che aveva dichiarato l’inefficacia del trasferimento del ramo
d’azienda dalla stessa Telecom Italia a Telespot s.p.a. La Corte territoriale,
richiamando suoi precedenti in casi uguali a quello scrutinato, ha
considerato che il rapporto di lavoro con la Telespot, stante detta
dichiarazione di inefficacia della cessione del ramo d’azienda, deve
considerarsi di mero fatto, stante la prosecuzione del rapporto con la
Telecom con tutte le conseguenti obbligazioni, anche in assenza della
concreta prestazione lavorativa stante l’inadempienza della società datrice
di lavoro.
La Telecom Italia ha proposto ricorso per cassazione avverso tale
sentenza articolato su tre motivi illustrati da memoria.
Resiste Cippo Perelli Giancarlo con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt.
2112 e 2126 cod. civ. in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In
particolare si deduce che il rapporto di lavoro con la Telepost non potrebbe
considerarsi come di mero fatto stante una formale conciliazione
intervenuta fra il lavoratore e tale società, a conferma della piena
consapevolezza della regolarità di tale rapporto, mentre solo
i

periodo intercorso dal 10 gennaio 2011 al 31 dicembre 2012 durante il

successivamente è intervenuta la dichiarazione dell’inefficacia della
cessione del ramo d’azienda alla stessa Telepost.
Con il secondo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo per la
controversia in relazione all’art. 360, n. 5 cod. proc. civ. ancora con
riferimento ala validità del rapporto con la Telepost al momento della
stipula dell’accordo conciliativo, circostanza non considerata dal giudice

dell’appello.
Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicaizone degli artt.
1206, 1207 e 1223 cod. civ. in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In
particolare si deduce che non sarebbe configurabile una obbligazione
retributiva.
I tre motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi, non sono
fondati. I fatti accertati dai giudici di merito sono pcicifici. Accertata dal
giudice la nullità di una cessione di ramo d’azienda e ordinata la
reintegrazione nel posto di lavoro già occupato dal dipendente , attuale
contro ricorrente ) presso l’impresa cedente, questa non aveva ottemperato a
tale reintegrazione e, di fatto, il lavoratore aveva continuato a lavorare
presso la cessionaria. In sQuito, lavoratore e cessionaria avevano concluso
un accordo transattivo con cui il primo aveva accettato la collocazione in
mobilità, così ponendo fine al rapporto di lavoro.
Ciò posto, la pretesa pecuniaria avanzata in questo processo contro la
cedente Telecom non poteva avere ad oggetto la retribuzione, in assenza
della prestazione lavorativa, ma solo il risarcimento del danno da mancata
ottemperanza all’ordine giudiziale di reintegrazione. Tale danno è in
concreto insussistente dato che il lavoratore ha percepito la retribuzione
dalla cessionaria in misura equivalente a quella che avrebbe percepita dalla
cedente, circostanza questa non negata dallo stesso lavoratore.
2

JL

La volontaria accettazione dell’indennità di mobilità ha poi posto fine ad
ogni rapporto lavorativo.
Deve in conclusione affermarsi che, dichiarata con sentenza passata in
giudicato la nullità della cessione di un ramo d’azienda, l’effettiva mancata
prosecuzione del lavoro alle dipendenze dell’impresa cedente produce per

detratto quanto eventualmente percepito a causa del lavoro di fatto reso per
la cessionaria, fino al momento della volontaria risoluzione del rapporto di
lavoro.
La sentenza impugnata, che non ha seguito tale principio di diritto, deve
conseguentemente essere cassata. Non essendo necessari accertamenti di
fatto ) la causa può essere decisa nel merito con il rigetto della domanda
dell’originario ricorrente.
Le incertezze giurisprudenziali sulla questione affrontata indírono alla
compensazione fra le parti delle spese dell’intero processo.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso;
Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda
di Cippo Perelli Giancarlo;
Compensa fra le parti le spese dell’intero processo;
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della
non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente
principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso
articolo 13.
Così deciso in Roma il 11 febbraio 2015.

il lavoratore un danno pari alla mancata percezione della retribuzione,

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