Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 980 del 20/01/2021

Cassazione civile sez. I, 20/01/2021, (ud. 24/09/2020, dep. 20/01/2021), n.980

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14790/2018 proposto da:

(OMISSIS) s.n.c. (OMISSIS) in liquidazione, in persona del

liquidatore pro tempore, B.D. e B.R.,

elettivamente domiciliati in (OMISSIS) presso lo studio

dell’avvocato Pier Francesco Morra, rappresentati e difesi

dall’avvocato Alessandro Baracetti, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

Fallimento dell'(OMISSIS) s.n.c. (OMISSIS) in liquidazione e di

B.D. e B.R., in persona del curatore Dott.ssa

S.M., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Luca Perusi, giusta procura in calce al controricorso,

nonchè dall’avv. Andrea Seraglio Forti, ex “memoria” dell’8 maggio

2019;

– controricorrente –

contro

Procura Generale presso la Corte di Appello di Trento, nonchè s.r.l.

Z. Geom. M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 88/2018 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 11/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/09/2020 dal cons. ALDO ANGELO DOLMETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale DE RENZIS

LUISA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per i ricorrenti, l’avvocato Baracetti, che si riporta;

udito, per il controricorrente, l’avvocato Gianluca Calderara, con

delega scritta, che si riporta.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Con sentenza depositata in data 12 ottobre 2017, il Tribunale di Trento ha dichiarato il fallimento della s.n.c. (OMISSIS) in liquidazione, come anche dei suoi soci, B.R. e B.D..

2.- La società e i soci, così dichiarati falliti, hanno proposto reclamo L. Fall., ex art. 18 avanti alla Corte di Appello di Trento.

In proposito, essi hanno tra l’altro rilevato che nella specie non erano state superate le soglie di fallibilità di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2. In particolare, hanno segnalato che solo per errore nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2014 risultava esposta – nell’ambito della voce “altri ricavi” – la somma di Euro 318.194,00. In realtà, si trattava – hanno notato – di “componenti positive derivanti dalla dismissione di alcuni cespiti aziendali” (in concreto, di macchinari per i quali si era ormai esaurito il periodo di ammortamento, ma che conservavano tuttavia un “certo valore di mercato”).

3.- Con sentenza depositata l’11 aprile 2018, la Corte trentina ha respinto l’impugnazione.

4.- “Deve innanzitutto evidenziarsi” – ha osservato la pronuncia “come la norma in commento (L. Fall., art. 1, comma 2, lett. b) non distingua in alcun modo tra ricavi ordinari e ricavi straordinari, nella disposizione dell’art. 2425 c.c. ante riforma allocati, i primi, alla lettera A e, i secondi, alla lettera E; nel contempo, vale la considerazione che la modifica della norma codicistica, con l’eliminazione della lettera E, finisce per accomunare entrambe le voci, sicchè la distinzione ai fini che qui interessano confliggerebbe proprio con la previsione del codice sostanziale, pur se il bilancio in questione soggiaceva alle prescrizioni del precedente disposto”.

“Non sembra potersi ragionevolmente dubitare” – si è aggiunto – che “anche i proventi della dismissione dei beni, in fase di liquidazione, siano riferibili all’attività di impresa e consentano, come ogni altro elemento contabile riconducibile alla voce “ricavo”, di apprezzare le sue reali dimensioni e dunque l’assoggettamento al fallimento”.

D’altro canto, “laddove si accedesse alla tesi dei reclamanti” – si è così concluso – “il parametro della L. Fall., art. 1, comma 2, lett. b. finirebbe per perdere valenza per gli enti in liquidazione, posto che la dismissione dei beni, nella fase liquidatoria, è l’unica, o comunque la prevalente, attività dell’impresa”.

5.- Avverso questo provvedimento ricorrono la s.n.c. (OMISSIS) e i soci R. e B.D., sviluppando un motivo di cassazione.

Resiste, con controricorso il Fallimento.

6.- Non hanno svolto attività difensive nel presente grado del processo le intimate Procura Generale presso la Corte di Appello di Trento e Zorzi geom. Mario s.r.l., creditore istante per la dichiarazione di fallimento.

7.- La controversia è stata chiamata all’adunanza non partecipata della Sesta Sezione civile – 1 del 12 dicembre 2019. In esito alla quale il Collegio ha “reputato di rinviare la causa alla pubblica udienza della Prima Sezione civile”.

8.- In vista dell’udienza fissata per la discussione della controversia avanti alla Prima Sezione civile, entrambe le parti costituite hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

9.- Il motivo di ricorso è stato rubricato “violazione della L. Fall., art. 1, comma 2, lett. b. in relazione all’art. 360 c.p.c. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”.

10.- Nello svolgimento del motivo, il ricorrente afferma, prima di tutto, che la modifica dell’art. 2425 c.c. decorre dal 2016 e quindi “è inapplicabile al caso di giudizio, che attiene a un bilancio 2014”: per questo bilancio si deve applicare la precedente normativa, che “distingue tra ricavi e proventi”.

Del resto, “la modifica dell’art. 2425 c.c. non corrisponde” – si precisa poi – “a un’asserita volontà del legislatore fallimentare finalizzata a ricomprendere i proventi straordinari tra i ricavi, rilevanti al fine dell’individuazione del requisito dimensionale in questione”: “tenendo presente la ratio della norma, la dimensione del fatturato dell’impresa e il volume degli scambi con l’esterno continuerà a essere il medesimo”.

Comunque – si argomenta in via ulteriore -, “è privo di ogni materialità e finanche illogico l’argomento” portato dalla Corte trentina, per cui il “riformato art. 2425 c.c., con l’avvenuta eliminazione della lett. e., finirebbe per accomunare entrambe le voci (ricavi e proventi straordinari)”. Come precisato dall’0IC12, l’eliminazione della lett. e non ha comportato un’uniformità del trattamento contabile”: “l’aggregato a. non deve essere considerato come un contenitore in senso assoluto, ma deve essere comunque rettificato escludendo dallo stesso le sopravvenienze attive”.

In realtà, i “beni dismessi (strumentali)” – si sottolinea in conclusione – ben “possono essere oggetto di cessione a terzi a titolo oneroso; ove la cessione abbia luogo quando i beni hanno fisiologicamente terminato il loro processo di ammortamento contabile, si tratta di plusvalenze, cioè di proventi straordinari.

11.- Nell’avviare la disamina del motivo di ricorso, appare opportuno mettere a fuoco, prima di ogni altra cosa, il tema che la fattispecie concreta porta all’esame di questa Corte.

Secondo quanto risulta incontestato tra le parti, dunque, questo fa in via specifica riferimento alla nozione di “ricavi lordi” – quale requisito di non fallibilità L. Fall., ex art. 1, comma 2, lett. b – rispetto alle somme ritratte dalla cessione a terzi di taluni cespiti aziendali, come posta in essere da una società in liquidazione, dichiarata fallita nel corso del 2017.

12.- Fermati i termini della fattispecie rilevante, si deve adesso esaminare il primo rilievo che è stato formulato dalla Corte di Appello (sopra, il primo capoverso del n. 4), secondo cui appare in sè stessa decisiva, in proposito, la modifica portata alla norma dell’art. 2425 c.c. durante il 2016. L’eliminazione dell’autonoma voce del bilancio rappresentata dai “proventi e oneri straordinari” – ha sostenuto la Corte trentina – comporta che questi rifluiscano nella categoria dei ricavi e che, di conseguenza, alla stessa siano da “accomunare”.

A fronte di questo assunto non può convincere – va subito osservato la contraria osservazione svolta in via per così dire preliminare dal ricorrente, per cui il bilancio, che è stato considerato dalla Corte di Appello, risale al 2014 ed è quindi sottratto al dominio della riforma dell’art. 2425 c.c., perchè antecedente alla stessa.

Nella specie, infatti, non viene in questione la correttezza e regolarità dei criteri con cui è stato redatto il detto bilancio. Interessa per contro determinare la situazione che l’impresa presenta al tempo in cui viene emessa la sentenza dichiarativa nei suoi confronti, così come si è venuta a sviluppare lungo l’arco dei tre esercizi precedenti (secondo quanto appunto richiesto dalla L. Fall., art. 1, comma 2, lett. b).

13.- Esatta si rivela, invece, l’ulteriore considerazione svolta dal ricorrente, secondo cui l’avvenuta riforma dell’art. 2425 c.c. non viene di per sè stessa a incidere sui termini della nozione di “ricavi lordi” di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2.

Come più volte ha riscontrato la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della disciplina fallimentare assume rilevo la situazione sostanziale, patrimoniale e finanziaria, dell’impresa della cui fallibilità si discute. Rispetto alla quale il bilancio riveste una funzione probatoria, non certo “costitutiva”.

Se il bilancio di esercizio rimane il “canale privilegiato” per la valutazione di cui all’art. 1 comma 2, lo è solo nel senso che la funzione specifica di questo documento contabile è di rappresentare la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa a cui fa riferimento, secondo quanto puntualizzato dalla norma dell’art. 2423 c.c., comma 2. La verifica della sussistenza dei requisiti di non fallibilità si manifesta, in realtà, campo di indagine aperto e disponibile (per questi profili, tra le altre si possono consultare le decisioni di Cass., 9 novembre 2020, n. 25025; Cass., 23 novembre 2018, n. 30516; di Cass., 11 marzo 2019, n. 6991; di Cass., 18 giugno 2018, n. 16067; di Cass., 26 novembre 2018, n. 30541; di Cass., 27 settembre 2019, n. 24138).

In questa prospettiva, l'”assimilazione” contabile, che è frutto del nuovo testo dell’art. 2425 c.c., non viene a determinare nessun “allargamento” della nozione sostanziale di ricavi: non in via generale, di per sè, non in via particolare; e cioè nel suo riflesso specifico rispetto al regime dei requisiti di non fallibilità che si trova dettato nella L. Fall., art. 1, comma 2. La riforma dell’art. 2452 lascia, di conseguenza, le cose come stanno in relazione al tema che qui si esamina.

Ciò posto, non sembra inopportuno aggiungere, in proposito, che lo stesso riconoscimento di “prova privilegiata”, da assegnare in materia alla documentazione di bilancio, va comunque adattata alle specificità della fattispecie concretamente in analisi. Così, se si discute di una società in liquidazione – così come avviene nel caso in esame -, non potrebbe comunque trascurarsi che, per i bilanci relativi a queste società e c.d. intermedi, la norma dell’art. 2490 c.c., comma 3, prescrive che le “disposizioni degli art. 2423 e ss.” vadano applicate nel segno e limite della loro compatibilità “con la natura, le finalità e lo stato di liquidazione” delle medesime (con conseguente ispirazione, si segnala in letteratura, dei criteri di redazione al valore del “prevedibile realizzo”).

14.- Neppure condivisibile si manifesta, inoltre, il secondo rilievo svolto dalla Corte trentina (cfr. sopra, il secondo capoverso del n. 4), per cui anche i proventi della dismissione dei beni in sede di liquidazione risultano riferibili all’attività di impresa della società e si configurano come “ricavi” imputabili alla relativa attività.

Nei fatti, quest’assunto viene a urtare in modo diretto (se non altro) con le prescrizioni positivamente dettate dal legislatore per la materia della liquidazione delle società. Il riferimento va, in particolare, alla norma dell’art. 2487 c.c., comma 1, lett. c (come anche, di riflesso, a quella dell’art. 2490, comma 5, ancora in tema di confezione dei bilanci intermedi) c.c.

Nel disegnare i poteri/doveri dei liquidatori, il sistema vigente distingue nettamente, e contrappone, l’attività di “liquidazione” – “con particolare riguardo alla cessione dell’azienda sociale, di rami di essa, ovvero anche di singoli beni o diritti, o blocchi di essi” – da quella invece “necessaria alla conservazione del valore dell’impresa, ivi compreso il suo esercizio provvisorio, anche di singoli rami”. Come si vede, la distinzione, e separazione, è netta, precisa.

Del resto, va pure osservato – in coerenza con il riportato dato normativo, bensì su un piano più ampio e generale – che, se la decisione di “sostituire” i beni strumentali all’esercizio dell’attività rientra sicuramente nel campo delle decisioni di impresa, quella successiva, quale attinente al come “disfarsi” dei beni che si è stabilito di sostituire, ivi compresa l’opportunità di cederli a titolo oneroso, si pone fuori da quest’ambito: per rientrare in quello inerente alla dismissione, liquidatoria (e quindi di “monetizzazione” dei beni sostituiti) o meno che sia, dei beni facenti parte di un dato assetto patrimoniale.

15.- Sulla scia di questi rilievi, va ora ricordato che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, la nozione di “ricavi lordi”, che è rilevante ai fini di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2, fa propriamente riferimento alle “componenti positive”, che siano “generate dall’attività di impresa” esercitata dal soggetto della cui fallibilità si discute (sul punto cfr., in particolare, Cass., 27 dicembre 2013, n. 28667; come pure ripresa, tra le altre, da Cass., 10 dicembre 2018, n. 31825; Cass., 5 marzo 2015, n. 4526).

16.- La soluzione di escludere dal novero dei “ricavi lordi” le somme ritratte dalla cessione a terzi di cespiti aziendali non comporta – è da annotare ancora – il rischio paventato dalla Corte trentina (sopra, terzo capoverso del n. 4), di fare “perdere valenza, per gli enti in liquidazione”, alla tematica relativa ai requisiti di non fallibilità di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2. La messa in liquidazione dell’ente tende, piuttosto, a determinare un diverso “dimensionamento” dei requisiti medesimi.

Fuori dal caso di “esercizio provvisorio” dell’impresa, il requisito dei ricavi lordi per sua natura tende a ridurre il suo peso, focalizzandosi sulla vendita delle rimanenze e sul completamento dell’esecuzione degli eventuali contratti pendenti. Per contro, la liquidazione dei cespiti aziendali tende propriamente a fare lievitare il requisito dell'”attivo patrimoniale”, di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2, lett. a.

17.- In conclusione, va accolto il motivo di ricorso, nella sua prima parte, in cui viene predicata la sussistenza del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3.

18. Di conseguenza, va cassata la sentenza impugnata e la controversia rinviata, per quanto di ragione, alla Corte di Appello di Trento che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, nei limiti di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla Corte di Appello di Trento che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione prima civile, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2021

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