Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9799 del 13/05/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 9799 Anno 2015
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 19511-2008 proposto da:
POLICLINICO DI MONZA CASA CURA PRIVATA S.P.A., C.F.
11514130159, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE
GIUSEPPE MAZZINI 146, presso lo studio dell’avvocato
EZIO SPAZIANI TESTA, rappresentato e difeso dagli
2015
539

avvocati DANIELE RAITERI, VINCENZO LAMASTRA, giusta
delega in atti;
– ricorrente contro

C.G.I.L. FUNZIONE PUBBLICA BRIANZA, C.F. 94573800151,

Data pubblicazione: 13/05/2015

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA N.
109, presso lo studio dell’avvocato BIAGIO BERTOLONI,
che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
MARIA ROSARIA AMBROSINI, giusta delega in calce al
controricorso;

avverso la sentenza n. 823/2007 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 11/09/2001, R.G. N.
1630/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/02/2015 dal Consigliere Dott. ADRIANO
PIERGIOVANNI PATTI;
udito l’Avvocato; „,/”..
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RICCARDO FUZIO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

– controricorrente –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 11 settembre 2007 la Corte d’appello di Milano rigettava l’appello proposto dal
Policlinico di Monza s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto
l’opposizione al decreto ai sensi dell’art. 28 1. 300/70 che aveva dichiarato antisindacali alcuni

r.s.u. di CGIL Funzione Pubblica Brianza, specificamente indicati, ravvisandone l’attualità e
la suscettibilità di reiterazione, così ordinandone la cessazione.
In esito a critico e argomentato esame delle risultanze istruttorie, la Corte territoriale ravvisava
un generale atteggiamento della società datrice di ostilità e intolleranza verso il sindacato e i
r.s.u., originato dalla mancata attivazione della prima fin dal 2003 per stipulare il contratto
aziendale, esasperato dai contrasti sulla monetizzazione del diritto al riposo compensativo dal
2000 al 2004 e specificatosi nei comportamenti denunciati nei confronti dei r.s.u. Aprile e Di
Britta, nella dequalificazione ritorsiva del primo e nella collocazione della nuova bacheca per
le comunicazioni sindacali accanto ad altra preesistente, anziché presso la palazzina dei Tigli
(di diverso ingresso in azienda dei lavoratori), come richiesto: così valutato antisindacale il
comportamento tenuto dalla società datrice nella sua complessità, non isolando i singoli
episodi dal contesto generale, come invece da essa preteso.
Con atto notificato 1’11 luglio 2008, il Policlinico di Monza s.p.a. ricorre per cassazione con
cinque motivi, cui resiste CGIL Funzione Pubblica Brianza con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente deduce nullità del procedimento, in relazione all’art. 360,
primo comma, n. 4 c.p.c., per violazione di norme processuali in riferimento alla mancata
pronuncia dei giudici di merito sull’istanza di ammissione di sommarie informazioni
testimoniali in sede di procedimento ai sensi dell’art. 28 1. 300/70, per l’accertamento dei fatti
e dei rapporti tra le parti.
Con il secondo, il ricorrente deduce nullità del procedimento e violazione e falsa applicazione
dell’art. 246 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 e n. 3 c.p.c., per difetto di
attualità e comunque di prova in concreto, a carico del sindacato, del comportamento datoriale

comportamenti datoriali adottati tra il 15 dicembre 2004 e il 21 gennaio 2005 nei confronti di

antisindacale, con la contestazione della ricostruzione in fatto della vicenda e della capacità a
testimoniare delle r.s.u. coinvolte, sentite a sommarie informazioni testimoniali.
Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in
riferimento all’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea
attribuzione di maggiore attendibilità a taluni (r.s.u.) piuttosto che ad altri (vicini alla

testimoniali, con formazione non corretta della prova in ordine alle vicende contestate.
Con il quarto, il ricorrente deduce vizio di motivazione, in relazione all’art.
.,_ 360, primo
comma, n. 5 c.p.c., per omessa illustrazione delle ragioni per cui rritenuta condotta
antisindacale la non monetizzazione dei riposi compensativi, nonostante l’assenza di una tale
previsione nel CCNL, o l’impedimento di accesso ai locali di lavoro a due dipendenti non in
servizio sia pure per il ritiro dei listini paga, senza adeguata valutazione, a tale ultimo
proposito, delle dichiarazioni di una sommaria informatrice e ritenuto invece non costituire
comportamento sanzionabile in via disciplinare il rifiuto di ricevere la comunicazione di un
ordine di servizio aziendale (neppure reputato atto di insubordinazione).
Con il quinto, il ricorrente deduce falsa applicazione dell’art. 28 1. 300/70 e dell’art. 25 CCNL
di categoria, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea assunzione alla
stregua di comportamento antisindacale, in assenza dei suoi presupposti, del mutamento di
mansioni (pure previste nella sua qualificazione professionale dall’art. 51 CCNL) del r.s.u.
Roberto Aprile e della decisione aziendale del luogo di collocazione, diverso da quello
richiesto dai r.s.u., della seconda bacheca.
Il primo motivo, relativo a nullità del procedimento per violazione di norme processuali in
riferimento alla mancata pronuncia dei giudici di merito sull’istanza di ammissione di
sommarie informazioni testimoniali in sede di procedimento ai sensi dell’art. 28 1. 300/70, è
inammissibile.
Ed infatti, nella formulazione del mezzo il Policlinico ricorrente si è limitato a lamentare
l’omessa pronuncia della Corte territoriale sulle proprie istanze istruttorie, debitamente
trascritte, dedotte

“ritenendo carente la fase di sommarie informazioni in sede di

procedimento di urgenza ex art. 28 legge 300/70 per l’accertamento dei fatti e dei rapporti
tra azienda e sindacato”, senza aggiungere altro.

direzione aziendale e protagonisti di alcuni atti antisindacali) sommari informatori

Sicchè, la doglianza non è ascrivibile ad error in procedendo, come denunciata, non
investendo una questione di rito rilevante a fini di accertamento di una preclusione
processuale eventualmente formatasi in ordine all’ammissibilità di una richiesta istruttoria di
parte (come nel caso di giudizio di indispensabilità della prova nuova in appello: Cass. 17
giugno 2009, n. 14098), ma neppure a vizio di motivazione.

altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato
l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non
ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da
invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre
risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo
che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (Cass. 17 maggio 2007, n. 11457; Cass. 23
febbraio 2009, n. 4369; Cass. 7 marzo 2011, n. 5377): il che non si verifica nella specie.
Il secondo motivo, relativo a nullità del procedimento e violazione e falsa applicazione
dell’art. 246 c.p.c., per difetto di attualità e comunque di prova in concreto, a carico del
sindacato, del comportamento datoriale antisindacale, è inammissibile.
Esso tende, infatti, a sollecitare sostanzialmente il riesame del merito della vicenda e della
valutazione probatoria, come noto di esclusiva competenza del giudice di merito e
insindacabili in sede di legittimità, in presenza di una motivazione congrua e corretta come
quella della Corte territoriale (per le ragioni esposte a pgg. da 3 a 6 della sentenza): e ciò
anche attraverso la dedotta incapacità di testi, senza neppure allegazione, né tanto meno
trascrizione degli atti con cui essa nei precedenti gradi l’abbia tempestivamente eccepita
(come onere della parte che essa deduca, diversamente la nullità sanandosi: Cass. 19 agosto
2014, n. 18036; né potendo, in difetto, essere denunciata per la prima volta in sede di
legittimità: Cass. 29 gennaio 2013, n. 2075) e pertanto in violazione del principio di
autosufficienza, a norma dell’art. 366, primo comma, n. 6 c.p.c. (Cass. 9 aprile 2013, n. 8569;
Cass. 16 marzo 2012, n. 4220).
Parimenti inammissibile è il terzo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione del’art.
116 c.p.c. in riferimento all’art. 2697 c.c., per erronea valutazione probatoria dei sommari
informatori testimoniali.

Come noto, il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di

Esso non consiste, infatti, in una denuncia di norme di diritto violate, meramente enunciata
senza neppure una loro puntuale deduzione, non consistendo in una verifica di correttezza
dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, né nella
sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nell’ipotesi normativa (Cass. 28
novembre 2007, n. 24756), neppure mediante specificazione delle affermazioni in diritto

regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o
dalla prevalente dottrina: così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra
opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla corte regolatrice di adempiere al
proprio compito istituzionale di verifica del fondamento della violazione denunziata (Cass. 26
giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).
La doglianza si risolve piuttosto in un vizio di motivazione, quale profilo di censura, in sede
di legittimità, dell’allegata erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle
risultanze di causa, siccome esterna all’esatta interpretazione della norma, tipicamente
inerente alla valutazione del giudice di merito (Cass. 4 aprile 2013, n. 8315) e quindi in una
sostanziale contestazione, insindacabile in giudizio di legittimità, dell’accertamento del fatto e
della valutazione probatoria di esclusiva competenza del giudice di merito, se non per
violazione dei canoni di corretto percorso logico neppure denunciati.
Sicché la violazione di legge denunciata, come anche prospettata nel quesito di diritto, non è
pertinente al motivo di censura in concreto rivolto alla sentenza, concernendo invece critiche
alla motivazione e alla valutazione degli elementi posti a base della decisione: a pena appunto
di inammissibilità, non essendo consentito confondere i profili del vizio logico della
motivazione e dell’errore di diritto (Cass. 18 novembre 2011, n. 24253).
Il quarto motivo (vizio di motivazione sulle ragioni della ritenuta qualificazione dei
comportamenti scrutinati come condotta antisindacale) e il quinto (falsa applicazione dell’art.
28 1. 300/70 e dell’art. 25 CCNL di categoria per erronea qualificazione dei comportamenti
scrutinati come comportamento antisindacale) possono essere congiuntamente esaminati, in
quanto strettamente connessi per la comune contestazione della qualificazione come
antisindacali di comportamenti altrimenti giustificati.
Essi sono entrambi infondati.

contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme

La Corte territoriale ha, infatti, qualificato antisindacale la condotta del Policlinico di Monza
s.p.a. di non monetizzazione dei riposi compensativi, di ingiustificato impedimento
dell’accesso ai locali di lavoro ai due dipendenti Aprile e Di Brita (r.s.u. di CGIL Funzione
Pubblica Brianza) in occasione non di servizio, di mutamento di mansioni del primo (addetto
a quelle deteriori di lavaggio degli automezzi, con esclusione dai turni di reperibilità e dalle

richiesto dai r.s.u., della seconda bacheca.
Tutti i suddetti comportamenti datoriali sono stati adottati tra il 15 dicembre 2004 e il 21
gennaio 2005 e la Corte meneghina li ha ritenuti “espressione di un clima aziendale
generalmente ostile alle iniziative dei r.s.u. e all’attività del sindacato”, ciò desumendo
“anche dalla successione temporale dei fatti” (così a pg. 5 della sentenza), in esito ad un
critico ed argomentato esame delle risultanze istruttorie, secondo un percorso motivo
esaustivo, giuridicamente corretto e logicamente congruo (a pgg. da 3 a 6 della sentenza),
esente dai vizi denunciati e resistente alle critiche formulate dal ricorrente.
E soprattutto la valutazione è stata esattamente compiuta, contrariamente alla non corretta
operazione del Policnico di Monza di disaggregazione di ogni episodio isolandolo dagli altri,
con valutazione globale non limitata ai singoli fatti, ritenendo l’esaurimento di ogni azione
lesiva datoriale non preclusiva dell’ordine del giudice di cessazione del
comportamento illegittimo, per la persistenza e idoneità a produrre effetti durevoli nel tempo,
attesane la portata intimidatoria e la conseguente situazione di incertezza, suscettibile di
determinare in qualche misura una restrizione o un ostacolo al libero esercizio dell’attività
sindacale: così accertando in fatto l’attualità della condotta antisindacale e la permanenza dei
suoi effetti, con valutazione esclusivamente propria del giudice di merito ed incensurabile in
sede di legittimità, se sorretta da adeguata motivazione, immune da vizi logici o giuridici
(Cass. 12 novembre 2010, n. 23038; Cass. 6 giugno 2005, n. 11741), come detto sussistente
nel caso di specie.
Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto del ricorso, con la
regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.

P.Q.M.

La Corte

5

relative indennità) e della decisione aziendale del luogo di collocazione, diverso da quello

rigetta il ricorso e condanna il Policlinico di Monza alla rifusione, in favore del Sindacato,
delle spese del giudizio, che liquida in € 100,00 per esborsi e € 3.500,00 per compenso
professionale, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Il Presi nte

Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2015

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