Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9798 del 14/04/2021

Cassazione civile sez. I, 14/04/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 14/04/2021), n.9798

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6929/2019 R.G. proposto da:

I.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Costantino

Nardella, con domicilio eletto in Roma, via delle Egadi, n. 13/a,

presso lo studio dello Avv. Alessandra Della Monica;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 182/19,

depositata il 25 gennaio 2019.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 19 novembre

2020 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 25 gennaio 2019, la Corte d’appello di Bari ha rigettato il gravame interposto da I.M., cittadino della (OMISSIS), avverso l’ordinanza emessa il 27 settembre 2017 dal Tribunale di Bari, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dall’appellante.

Premesso che l’appellante aveva riferito di essere stato costretto a fuggire dal suo Paese di origine per sottrarsi all’arresto da parte della Polizia, alla quale era stato denunciato da un amico, a causa della sua omosessualità, la Corte ha ritenuto non credibile la vicenda narrata, in quanto non corredata da dettagli e chiarimenti volti ad illustrare il percorso di maturazione del predetto orientamento, nè da particolari riguardanti la persona con cui l’appellante aveva avuto una relazione. Ha rilevato che il ricorrente non aveva fatto mai ricorso all’aiuto di associazioni di volontariato, presenti anche nelle strutture di accoglienza, evidenziando inoltre la genericità e la contraddittorietà delle dichiarazioni rese in ordine alla fuga ed al luogo di approdo in Italia, escludendo che tali incongruenze fossero ascrivibili all’analfabetismo dell’appellante, in quanto concernenti aspetti umani elementari, e ritenendo inutile anche l’audizione sollecitata nell’atto di appello, in quanto non accompagnata dalla deduzione di elementi nuovi e più precisi.

La Corte ha aggiunto che il paventato rischio di persecuzione in caso di rimpatrio non risultava più attuale, avendo l’appellante dichiarato di non avere più interesse a coltivare relazioni omosessuali per ragioni religiose, ed ha ritenuto infondata anche la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, in considerazione della mancata allegazione di atti persecutori o rischi gravi riguardanti direttamente l’appellante e dell’insussistenza di particolari problematiche o conflittualità nell’area di origine dello stesso. Ha osservato in particolare che la regione dell’Edo State, situata nel meridione della Nigeria, non era interessata da attività terroristiche di matrice islamica, ma da attività criminali, nelle quali l’appellante non risultava direttamente coinvolto.

La Corte ha rilevato infine che non erano state dedotte specifiche condizioni di vulnerabilità, idonee a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria, nè una situazione d’integrazione in Italia tale da consentire di ravvisare nel rimpatrio una forma di sradicamento.

2. Avverso la predetta sentenza l’ I. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Il Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 46 della direttiva 2013/32/UE e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, commi 10 ed 11, sostenendo che il rigetto dell’istanza di audizione da lui avanzata nell’atto di appello si pone in contrasto con la disciplina comunitaria, la quale, imponendo agli Stati membri di assicurare al richiedente un rimedio effettivo, implica una cooperazione attiva nella raccolta degli elementi necessari per sostenere la domanda di protezione.

1.1. Il motivo è infondato.

Com’è noto, infatti, la Corte di Giustizia UE, investita della questione riguardante l’interpretazione dell’art. 46 della direttiva 2013/32/Ue, ha affermato che il giudice nazionale chiamato a decidere su una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata può respingere il ricorso senza procedere all’audizione del richiedente, a condizione che: a) in occasione della procedura di primo grado (da intendersi come procedura amministrativa) sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale, b) il verbale o la trascrizione di tale colloquio sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, e c) il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo degli elementi di fatto e di diritto (cfr. Corte di Giustizia UE, sent. 26/07/ 2017, in causa C-348/16, Moussa Sacko; 25/07/2018, in causa C-585/16, Aletho). A tale indirizzo si è conformata anche la giurisprudenza di legittimità, la quale, dopo aver affermato in linea generale che l’indisponibilità della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale comporta, nel giudizio d’impugnazione della decisione da quest’ultima adottata, l’obbligo di fissare l’udienza per la comparizione delle parti, a pena di nullità del procedimento per violazione del contraddittorio, ma non anche quello di dar corso all’audizione del richiedente (cfr. Cass., Sez. VI, 20/01/2020, n. 1088; 31/01/2019, n. 2817; Cass., Sez. I, 28/02/2019, n. 5973), ha recentemente precisato che tale adempimento risulta invece indispensabile nel caso in cui: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti), b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente, c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile (cfr. Cass., Sez. I, 13/10/2020, n. 22049; 7/10/2020, n. 21584). Coerentemente con tale precisazione, è stato poi chiarito che, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione, il motivo d’impugnazione con cui il richiedente lamenti il rigetto dell’istanza di audizione da lui espressamente proposta al giudice del merito deve contenere l’indicazione puntuale dei fatti dedotti a sostegno di tale richiesta (cfr. Cass., Sez. I, 11/11/2020, n. 25312). Tale onere nel caso in esame è rimasto completamente inadempiuto, essendosi il ricorrente limitato a far valere la lesione del contraddittorio a suo avviso derivante dal rigetto dell’istanza di audizione, senza fornire alcuna indicazione in ordine ai motivi che ne avrebbero imposto l’accoglimento, ed essendosi anzi astenuto dal censurare la sentenza impugnata, nella parte in cui ha giustificato la predetta decisione con il difetto di specificità dell’atto di appello, in quanto non recante l’allegazione di elementi nuovi e più precisi, idonei a sopperire alle lacune ed alle contraddizioni individuate nel suo racconto.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3,5,7 ed 8, osservando che, nel ritenere non credibile la vicenda da lui narrata, la sentenza impugnata ha conferito rilievo a piccole imprecisioni riguardanti aspetti secondari, senza tener conto delle difficoltà da lui incontrate nel riferire circostanze relative alla sua sfera intima. Sostiene che la Corte d’appello ha omesso di valutare l’atteggiamento accusatorio tenuto nei suoi confronti durante il colloquio dinanzi alla Commissione territoriale, in contrasto con le Linee guida fornite dall’UNHCR, avendo fatto proprie le illogiche argomentazioni svolte dalla Commissione in ordine ai suoi rapporti con associazioni di volontariato, e non avendo tenuto conto dello sforzo da lui compiuto per giustificare la domanda di protezione. Ribadito infine che il codice penale nigeriano e la legge della Shaaria vigente in gran parte del Paese prevedono gravi pene per l’omosessualità, afferma che il solo rischio di esservi assoggettato costituiva motivo sufficiente per l’accoglimento della domanda, indipendentemente dall’emissione di un provvedimento di condanna nei suoi confronti.

2.1. Il motivo è infondato.

Il giudizio d’inattendibilità espresso dalla sentenza impugnata in ordine alle dichiarazioni rese dal ricorrente a sostegno della domanda trova infatti giustificazione nelle lacune e nelle contraddizioni rilevate nella vicenda riferita, non limitate ad aspetti secondari della narrazione, ma incidenti su profili essenziali, quali la maturazione dell’orientamento sessuale del ricorrente, la descrizione della persona con cui egli avrebbe intrattenuto una relazione e la mancanza di rapporti con altre persone aventi il medesimo orientamento o con associazioni dedite all’assistenza delle stesse. Tale apprezzamento, configurabile come un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass., Sez.. I, 9/07/2020, n. 14674; 2/07/2020, n. 13578), si pone perfettamente in linea con i criteri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ai fini dell’esame delle dichiarazioni rese dal richiedente, i quali impongono di avere riguardo, ancor prima che alla credibilità estrinseca della vicenda riferita, cioè alla concordanza della stessa con le informazioni di cui si dispone, alla sua attendibilità intrinseca, emergente dagli sforzi compiuti per circostanziare la domanda e dalla coerenza e dalla plausibilità della narrazione (cfr. Cass., Sez. I, 4/11/2020, n. 24575; Cass., Sez. II, 11/08/2020, n. 16925). A tali criteri non si sottraggono neppure le dichiarazioni inerenti all’orientamento sessuale del richiedente, le quali, come precisato dalla giurisprudenza comunitaria, possono giustificare il riconoscimento della protezione anche se non suffragate da prove documentali o di altro tipo, a patto però che risultino soddisfatte le condizioni previste dall’art. 4, par. 5, della direttiva 2011/95/UE, le quali, non diversamente da quelle previste dall’art. 3, comma 5, cit., si riferiscono proprio alla coerenza ed alla plausibilità dei fatti narrati (cfr. Corte di Giustizia UE, sent. 25/01/2018, in causa C-473/16). Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, dato atto della lacunosità e della contraddittorietà della vicenda personale allegata dal ricorrente, ne ha escluso la veridicità, ritenendo conseguentemente superflua una valutazione della stessa alla stregua dei precetti religiosi e della legislazione penale vigente nel Paese di origine, ed astenendosi pertanto dall’acquisizione d’informazioni al riguardo.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, censurando la sentenza impugnata per aver escluso che nella sua zona di origine fosse in atto una situazione di violenza indiscriminata, senza acquisire informazioni aggiornate in ordine alla situazione socio-politica della Nigeria, gravemente degenerata negli anni più recenti e contraddistinta da plurimi conflitti interni.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Ai fini del rigetto della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, la sentenza impugnata ha infatti richiamato informazioni desunte da una fonte ministeriale aggiornata e puntualmente indicata, in virtù delle quali ha ritenuto che la situazione di violenza indiscriminata derivante dagli attentati terroristici di matrice islamica verificatisi in Nigeria fosse circoscritta all’area nordorientale del Paese, e non si estendesse quindi alle regioni meridionali (in particolare all’Edo State, da cui proviene il ricorrente), interessate invece da fenomeni di criminalità nei quali il ricorrente non risultava coinvolto. Tale apprezzamento, anch’esso configurabile come un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito e sindacabile esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass., Sez. II, 29/10/2020, n. 23942; Cass., Sez. I, 21/11/2018, n. 30105), non risulta validamente censurato dal ricorrente, il quale si è limitato a denunciare il vizio di violazione di legge, invocando altre fonti d’informazione, a suo avviso maggiormente attendibili, ed in tal modo dimostrando di voler sollecitare una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica e la coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui è demandata in via esclusiva l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, il controllo della loro attendibilità e concludenza e la scelta, tra le complessive risultanze del processo, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. VI, 13/01/2020, n. 331; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547; Cass., Sez. lav., 14/11/2013, n. 25608).

4. Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell’intimato.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021

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