Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9798 del 09/04/2019

Cassazione civile sez. III, 09/04/2019, (ud. 27/11/2018, dep. 09/04/2019), n.9798

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

G.L., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ROSA

ZACCARIA giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA NORD SPA, (OMISSIS) in persona del legale rappresentante

pro tempore e per esso l’Avv. BARBARA TURRIN, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso lo studio

dell’avvocato PAOLO BOER, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MARIA ROSA VERNA gusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

S.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 212/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 21/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/11/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. Con ricorso notificato per via telematica il 20 luglio 2016 (l’amministrazione intimata nulla oppone) G.L. impugna la sentenza numero 212-2016 emessa dalla Corte d’appello di Milano pubblicata il 21/1/2016 con la quale è stata confermata la sentenza del tribunale di Busto Arsizio numero 1328/2014 di dichiarazione di inefficacia” ai sensi dell’art. 2901 c.c., del fondo patrimoniale costituito il 19 luglio 2007, registrato in data 24/7/2007, in cui S.D., coniuge separato della ricorrente, aveva conferito beni mobili e immobili di sua proprietà. L’azione era stata intentata da EQUITALIA Nord S.p.A. nei confronti di entrambi i coniugi per far valere l’inefficacia dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale rispetto al proprio credito erariale maturato nei confronti di S.D., relativamente agli anni di imposizione che vanno dal 2003 al 2006, ammontante in complessivi Euro 2.420.000,00. Il ricorso è affidato a tre motivi; nel giudizio per cassazione resiste Equitalia con controricorso notificato.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. Con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente denuncia violazione/ falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., e art. 2697 c.c., ed omessa ed errata valutazione delle prove acquisite ex artt. 115 e 116 c.c.. La ricorrente desume che vi sia stata una errata affermazione in ordine alla anteriorità del credito rispetto all’atto traslativo dei beni del debitore nel fondo patrimoniale andato a suo favore, costituito il 19 luglio 2007, e registrato in data 24/7/2007, in ragione di un’ errata valutazione dei presupposti del credito, à sensi dell’art. 1173 c.c., che non possono coincidere con il “presupposto dell’imposta”, non costituente fatto genetico dell’obbligazione tributaria che, invece, si determina al momento della notifica dell’avviso di accertamento, avvenuta il 6/11/2008.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.2. La Corte d’appello ha correttamente rilevato che il debito tributario è riferibile agli anni di imposta che vanno dal 2003 al 2006, e che a quelle date dovesse considerarsi l’anteriorità del credito tributano rispetto all’atto dispositivo di costituzione del fondo patrimoniale effettuato dal coniuge della ricorrente, sull’assunto che il credito viene ad esistenza nel momento in cui si realizzano i suoi presupposti e, quindi, nell’anno in cui si sono verificate le circostanze determinanti l’imposizione: a tal fine ha ritenuto che la cartella di pagamento altro non è che un atto amministrativo teso alla riscossione di un tributo del quale l’agenzia delle entrate, o altro ente impositore, ha verificato il fondamento provvedendo alla sua iscrizione a ruolo.

1.3. L’orientamento espresso dalla Corte di appello è conforme a un solido indirizzo giurisprudenziale che a far data da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2649 del 17/07/1969 ritiene che l’ingiunzione fiscale “consiste nell’ordine emesso dal competente ufficio di pagare entro trenta giorni, sotto pena degli atti esecutivi, la somma dovuta”. Dall’espresso riferimento alla aggettivazione “dovuto” contenuto nell’art. 2 del T.U. 14 aprile 1910, n. 639, la Corte di cassazione ha evinto che “l’importo pecuniario, lungi dal rappresentare una somma suscettibile di arbitraria richiesta ingiuntiva, deve derivare da un rapporto obbligatorio, in virtù del quale l’amministrazione finanziaria sia creditrice e l’ingiunto debitore”. Conseguentemente, l’ingiunzione di pagamento trae la sua fonte da un determinato rapporto obbligatorio, vantato dalla amministrazione nei confronti di un soggetto ritenuto debitore dell’obbligazione tributaria, e per tale motivo deve contenere il riferimento a tale rapporto in relazione al quale il debitore può apprestare le sue difese, non avendo un valore di autonomo atto costitutivo del credito tributario.

1.4. Oltretutto il motivo difetta del requisito di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., n. 6, perchè non indica neanche in base a quale “diverso presupposto” l’importo richiesto in pagamento dall’amministrazione dovesse considerarsi riferito a un obbligo di imposta che si collocava in tempi posticipati rispetto al verificarsi del presupposto come accertato dalla Corte di merito (come avviene, nell’esempio riportato dalla ricorrente, nel caso di acconto sulle imposte).

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione / falsa applicazione dell’art. 2901 c.p.c., art. 115 c.p.c., comma 1, e art. 167 c.p.c., comma 1, in relazione ad art. 360 c.p.c., n. 3, nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto che il principio secondo il quale il negozio del fondo patrimoniale sia atto a titolo gratuito sia applicabile alla fattispecie, posto che i documenti prodotti provano l’onerosità del fondo patrimoniale costituito tra i due coniugi per contribuire ai bisogni della famiglia, e in particolare per precostituire una fonte di reddito alla coniuge che, prima della costituzione del fondo, non aveva nè redditi propri nè un proprio patrimonio. In secondo luogo assume che la Corte abbia ignorato che il momento cui va riferito l’eventus damni è quello in cui viene compiuto l’atto di disposizione, dal quale deriva la lesione della garanzia patrimoniale, essendo invece irrilevanti le successive vicende del patrimonio del debitore: pertanto l’analisi della documentazione offerta, coeva all’atto di disposizione, avrebbe permesso di considerare che le disponibilità finanziarie del disponente erano tali da non determinare nessun pregiudizio a eventuali futuri creditori.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. La giurisprudenza si è già pronunciata in relazione alla natura gratuita dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale, e da ultimo rileva Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 29298 del 06/12/2017 (Rv. 646785 – 01), nella parte in cui ha sancito che “la costituzione del fondo patrimoniale per fronteggiare i bisogni della famiglia, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, non integra, di per sè, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un’attribuzione in favore dei disponesti. Esso, pertanto, è suscettibile di revocatoria, a norma della L. Fall., art. 64, salvo che si dimostri l’esistenza, in concreto, di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale ed il proposito del “solvens” di adempiere unicamente a quel dovere mediante l’atto in questione” (v. anche Sez. 1, Sentenza n. 19029 del 08/08/2013; Sez. 1, Sentenza n. 18065 del 08/09/2004).

2.3. In presenza di un atto dispositivo a titolo gratuito, qual è la costituzione di fondo patrimoniale – stante l’assenza di una corrispondente attribuzione in favore dei disponenti (v. Cass., 23/3/2005, n. 6267; Cass., 20/6/2000, n. 8379), anche quando è posta in essere dagli stessi coniugi (v. Cass., 7/3/2005, n. 4933; Cass., 22/1/1999, n. 591; Cass.,:18/3/1994, n. 2604; Cass., 15/1/1990, n. 107), non potendosi considerare che esso integri l’adempimento di un dovere giuridico – ai fini dell’esperimento della revocatoria ordinaria sono necessarie e sufficienti le condizioni di cui al n. 1 dell’art. 2901 c.c. (cfr. Cass., 17/6/1999, n. 6017) che si riferisce alla circostanza che il debitore, al tempo dell’atto dispositivo, fosse a conoscenza del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore che agisce in revocazione. Per lo stesso motivo, nel giudizio promosso dal creditore di uno dei coniugi per la declaratoria di inefficacia dell’atto di costituzione di un fondo patrimoniale stipulato da entrambi i coniugi, sussiste un’ipotesi di litisconsorzio necessario con il coniuge non debitore, ancorchè non risulti proprietario dei beni costituiti nel fondo stesso, in quanto beneficiario dei relativi frutti, destinati a soddisfare i bisogni della famiglia, e, quindi, destinatario degli eventuali esiti pregiudizievoli conseguenti all’accoglimento della domanda revocatoria (Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 19330 del 03/08/2017; Sez. 1, Sentenza n. 1242 del 27/01/2012).

2.4. L’azione revocatoria non persegue difatti scopi specificamente restitutori, bensì mira a conservare la garanzia generica sul patrimonio del debitore in favore dei creditori del disponente, inclusi quelli meramente eventuali: v. in proposito, Cass., 29/10/1999, n. 12144; Cass., 24/07/2003, n. 11471. La nozione lata di “credito” accolta nell’art. 2901 c.c., n. 1, nel riferirsi alle “ragioni del creditore”, non è dunque limitata, in termini di certezza, liquidità ed esigibilità del credito, bensì si estende fino a comprendere le legittime ragioni o aspettative di credito, coerentemente con la funzione propria dell’azione posta a generale tutela del credito. Avendo l’azione revocatoria ordinaria la funzione di ricostituzione della garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, e non anche della garanzia specifica, ne consegue che deve ritenersi sussistente l’interesse del creditore, da valutarsi ex ante – e non con riguardo al momento dell’effettiva realizzazione a far dichiarare inefficace ogni atto dispositivo che renda maggiormente difficile e incerta l’esazione del suo credito, sicchè per l’integrazione del profilo oggettivo dell’eventus damni non è necessario che l’atto di disposizione del debitore abbia reso impossibile la soddisfazione del credito, determinando la perdita della garanzia patrimoniale del creditore, ma è sufficiente che abbia determinato o aggravato il pericolo dell’incapienza dei beni del debitore, e cioè il pericolo dell’insufficienza del patrimonio a garantire il credito del revocante, ovvero la maggiore difficoltà od incertezza nell’esazione coattiva del credito medesimo.

2.5. Ad integrare il pregiudizio alle ragioni del creditore (eventus damni) è a tale stregua sufficiente una variazione sia quantitativa che meramente qualitativa del patrimonio del debitore (v. Cass., 18/3/2005, n. 5972; Cass., 27/10/2004, n. 20813; Cass., 29/10/1999, n. 12144), e pertanto anche la mera trasformazione di un bene in altro meno agevolmente aggredibile in sede esecutiva, com’è tipico del danaro, in tal caso determinandosi il pericolo di danno costituito dalla eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva (v. Cass., 1/6/2000, n. 7262). Sicchè il riconoscimento dell’esistenza dell’eventus damni non presuppone una valutazione sul pregiudizio effettivo arrecato alle ragioni del creditore istante, ma richiede soltanto la dimostrazione da parte di quest’ultimo della pericolosità dell’atto impugnato, in termini di una possibile, quanto eventuale, infruttuosità della futura esecuzione sui beni del debitore (v. Cass., 9/3/2006, n. 5105). In tema di revocatoria ordinaria, pertanto, il momento storico in cui deve essere verificata la sussistenza dell'”eventus damni”, inteso come pregiudizio alle ragioni del creditore tale da determinare l’insufficienza dei beni del debitore ad offrire la necessaria garanzia patrimoniale, è quello in cui viene compiuto l’atto di disposizione dedotto in giudizio ed in cui può apprezzarsi se il patrimonio residuo del debitore sia tale da soddisfare le ragioni del creditore, restando, invece, assolutamente irrilevanti, al fine anzidetto, le successive vicende patrimoniali del debitore, non collegate direttamente all’atto di disposizione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23743 del 14/11/2011; Sez. 1, Sentenza n. 755 del 08/03/1969).

2.6. Non essendo quindi richiesta, a fondamento dell’azione revocatoria ordinaria, la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito, l’onere di provare l’insussistenza di tale rischio, in ragione di ampie residualità patrimoniali, secondo i principi generali, incombe sul convenuto che eccepisca l’insussistenza, sotto tale profilo, dell’eventus damni ” (v. Cass., 18/3/2005, n. 5972). Sotto questo profilo la censura della parte convenuta, qui ricorrente, di mancato rilievo della concludenza delle prove offerte non si allinea alla giurisprudenza sopra citata, laddove non indica specificamente i fatti offerti (allegati) a riprova della propria consistenza patrimoniale, da cui eventualmente ricavare la non specifica contestazione della parte attrice. Pertanto la decisione, assunta sulla base dei suesposti principi di diritto, non è censurabile.

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce V7fa appl art. 2901 c.c., in relazione ad art. 360 c.p.c., n. 3 deducendo che il carattere oneroso dell’atto di costituzione del fondo si deduce anche dal fatto che detto atto faceva parte degli accordi di separazione e dell’dempimento dell’obbligo di mantenimento nei confronti della propria coniuge, come si evince dall’accordo di separazione del 4/3/2009.

3.1. Il motivo è infondato e, in parte assorbito, ca quanto sopra detto.

3.2. L’atto di separazione personale dei due coniugi, intervenuto

successivamente alla costituzione del fondo patrimoniale, non è in grado di mutare la natura gratuita dell’atto costitutivo e la sua derivazione da un atto in danno delle ragioni del creditore compiuto all’origine da uno dei due coniugi. Più in generale, si veda Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8516 del 12/04/2006 in tema di revocatoria fallimentare, secondo cui l’accordo con il quale i coniugi, nel quadro della complessiva regolamentazione dei loro rapporti in sede di separazione consensuale, stabiliscano il trasferimento di beni immobili o la costituzione di diritti reali minori sui medesimi, rientra nel novero degli atti suscettibili di revocatoria fallimentare ai sensi della L. Fall., artt. 67 e 69, non trovando tale azione ostacolo nè nell’avvenuta omologazione dell’accordo stesso, cui resta estranea la funzione di tutela dei terzi creditori e che, comunque, lascia inalterata la natura negoziale della pattuizione; nè nella pretesa inscindibilità di tale pattuizione dal complesso delle altre condizioni della separazione; nè, infine, nella circostanza che il trasferimento immobiliare o la costituzione del diritto reale minore siano stati pattuiti in funzione solutoria dell’obbligo di mantenimento del coniuge economicamente più debole o di contribuzione al mantenimento dei figli, venendo nella specie in contestazione, non già la sussistenza dell’obbligo in sè, di fonte legale, ma le concrete modalità di assolvimento del medesimo, convenzionalmente stabilite dalle parti. Tale conclusione si impone a fortiori allorchè il trasferimento immobiliare o la costituzione del diritto reale minore non facciano parte delle originarie condizioni della separazione consensuale omologata, ma formino invece oggetto di un accordo modificativo intervenuto successivamente fra i coniugi, del quale esauriscano i contenuti. (Nella specie, con l’accordo impugnato, il coniuge poi fallito – assegnatario della casa coniugale alla stregua delle condizioni della separazione consensuale omologata -, a modifica di tali condizioni, aveva costituito a favore dell’altro coniuge, per tutta la durata della sua vita, il diritto di abitazione sulla predetta casa coniugale, ottenendo in cambio l’esonero dal versamento di una somma mensile, precedentemente pattuito a titolo di contributo alle spese per il reperimento di altro alloggio da parte del coniuge beneficiario).

4. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con ogni conseguenza in relazione alle spese di lite, poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 14.000,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 27 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2019

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