Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9797 del 19/04/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 19/04/2017, (ud. 19/09/2016, dep.19/04/2017),  n. 9797

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere –

Dott. SANDRINI Enrico Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11722/2012 proposto da:

L.C., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE DEL VIGNOLA

5, presso lo studio dell’avvocato LIVIA RANUZZI, rappresentato e

difeso dall’avvocato LUIGI QUERCIA giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI BARLETTA ANDRIA TRANI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 84/2011 della COMM. TRIB. REG. di BARI,

depositata il 28/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/09/2016 dal Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE SANDRINI;

udito per il controricorrente l’Avvocato CAPOLUPO che si riporta agli

atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La Commissione Tributaria Regionale di Bari, con sentenza in data 26.09.2011, riformando la decisione di primo grado, ha accolto l’appello della Agenzia delle Entrate avverso l’accoglimento del ricorso proposto dal contribuente L.C. nei confronti dell’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2004, avente ad oggetto la rideterminazione in aumento del reddito d’impresa dichiarato dal contribuente agli effetti IRPEF, IRAP e IVA, sulla scorta dello scostamento rilevato rispetto alle risultanze degli studi di settore.

La Commissione Regionale, diversamente dalla Commissione Provinciale, riteneva il contribuente soccombente nell’onere di provare l’esistenza di motivi giustificativi dello scostamento, non avendo il L. dato seguito all’invito al contraddittorio sul punto, che gli era stato regolarmente notificato dall’Ufficio.

2. Ricorre per cassazione L.C., deducendo tre motivi di doglianza. Premesso che l’Ufficio aveva accertato l’esistenza di maggiori ricavi dell’importo di Euro 118.108,00 sulla sola base dello scostamento del reddito dichiarato da quello risultante dall’applicazione dello studio di settore SM21A relativo all’attività di commercio all’ingrosso di frutta e ortaggi, e dato atto che l’invito al contraddittorio era stato notificato per compiuta giacenza, così che il contribuente non ne era venuto a conoscenza e non aveva potuto perciò confrontarsi preventivamente con l’Ufficio, il L. lamenta;

– violazione dell’art. 115 c.p.c., rilevando che lo studio di settore applicato non rappresentava l’attività svolta dal ricorrente, che era quella di commercio di olive da olio e che, pur avendo tempestivamente rappresentato in giudizio il relativo dato fattuale, che non era stato contestato dall’Ufficio, la Commissione Regionale non lo aveva preso in considerazione, in violazione del principio di non contestazione, nonostante il dato fosse idoneo a dimostrare l’incapacità dello studio di settore di rappresentare la realtà dell’impresa; deduce che l’attività effettivamente esercitata era più riduttiva del commercio all’ingrosso di frutta e ortaggi, essendo legata alla stagionalità del prodotto, alle condizioni climatiche tali da provocare cali nelle vendite, alla crisi del mercato, ai prezzi di vendita inferiori praticati nel settore, allo svolgimento in aree caratterizzate da scarso benessere, alla concorrenza dei piccoli agricoltori; rileva di aver fornito la prova, che può essere basata anche su presunzioni semplici, della sussistenza di condizioni che giustificavano l’esclusione dell’attività dall’area di applicazione del cluster nel periodo di tempo al quale si riferiva l’accertamento fiscale; ribadisce che la mancata contestazione, da parte dell’Ufficio, degli elementi rappresentati dal contribuente, rendeva gli stessi incontroversi e rilevabili come tali dal giudice, pena la violazione dell’art. 115 c.p.c.;

– omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo del giudizio, costituito dall’applicazione di uno studio di settore non rappresentativo dell’attività del contribuente, secondo una circostanza di per sè idonea a giustificare lo scostamento, che non era stata considerata dalla sentenza impugnata;

– insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo del giudizio, dedotta essenzialmente sotto il medesimo profilo del motivo precedente, censurando l’omessa esplicitazione da parte della Commissione Regionale dei criteri di valutazione degli elementi di fatto e presuntivi offerti dal contribuente in entrambi i gradi del giudizio di merito.

3. Resiste l’Agenzia delle Entrate, rappresentata in giudizio dall’Avvocatura dello Stato, mediante controricorso con cui chiede il rigetto del ricorso; rileva che l’accertamento fiscale era fondato sia sullo scostamento dei ricavi dichiarati dagli studi di settore relativi all’attività svolta dal L. (le cui caratteristiche e condizioni erano quelle indicate negli appositi modelli allegati alle dichiarazioni fiscali del contribuente), sia sulla mancata risposta al questionario trasmesso al L.; deduce la conseguente infondatezza del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile in ogni sua deduzione.

2. Questa Corte ha affermato che il principio di non contestazione, di cui all’art. 115 c.p.c., comma 1, si applica anche nel processo tributario, ma, attesa l’indisponibilità dei diritti controversi, riguarda esclusivamente i profili probatori del fatto non contestato, e non anche le allegazioni, e ciò semprechè il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, non ritenga di escluderne l’esistenza (Sez. 5 n. 2196 del 6/02/2015, Rv. 634386); è stato in particolare affermato che la specificità del giudizio tributario comporta che la mancata presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente non equivale ad ammissione, nè determina il restringimento del thema decidendum ai soli motivi contestati (Sez. 5 n. 13834 del 18/06/2014, Rv. 631297).

Nel caso di specie, le deduzioni formulate dal L. nel primo motivo di ricorso, con riguardo alla corretta individuazione dello studio di settore applicabile all’attività esercitata, in tesi diverso da quello utilizzato dall’Agenzia, al tipo di attività commerciale effettivamente svolta dall’impresa del ricorrente, alle condizioni concrete di esercizio della medesima nell’anno oggetto di accertamento, si risolvono in semplici allegazioni difensive, che, in quanto frutto di mera contrapposizione argomentativa, non sono idonee a realizzare il presupposto dell’applicazione del principio di non contestazione, agli effetti della prova di un fatto in grado di contrastare l’esistenza della pretesa tributaria dell’Ufficio o di invalidarne l’efficacia.

Va inoltre rilevato che l’Agenzia ha dato atto negli scritti difensivi di aver applicato, in sede di accertamento, lo studio di settore corrispondente alle caratteristiche e alle condizioni dell’attività del contribuente dallo stesso indicate nei modelli allegati alla dichiarazione fiscale, così che anche sotto questo profilo deve escludersi qualsiasi riconoscimento dell’applicabilità alla fattispecie di uno studio diverso da quello concretamente utilizzato per la rideterminazione dei ricavi e del reddito di esercizio.

La censura, di natura processuale, svolta nel primo motivo di ricorso è dunque manifestamente infondata, e il motivo deve essere dichiarato inammissibile.

3. Il secondo e il terzo motivo di ricorso, che possono essere esaminati in modo congiunto stante la comunanza della doglianza dedotta, sono a loro volta inammissibili, perchè – nonostante la formale denuncia di un vizio di motivazione della sentenza impugnata – si limitano in realtà a una generica contestazione, in punto di fatto, dell’adeguatezza dello studio di settore applicato dall’Ufficio e della sua capacità di rilevare e provare lo scostamento dei ricavi nei termini recepiti dalla Commissione Regionale; la censura, in particolare, omette di confrontarsi col dato – valorizzato dal giudice di merito – costituito dall’omessa risposta del contribuente all’invito al contraddittorio preventivo ritualmente notificato dall’Ufficio, che aveva inibito, per causa imputabile al ricorrente, l’esame tempestivo degli eventuali elementi, apportabili dal L., giustificativi del disallineamento rispetto ai parametri; anche la deduzione relativa alla mancata conoscenza dell’invito al contraddittorio, dovuta alla notifica dell’atto per compiuta giacenza, si risolve in una questione di fatto, che doveva essere fatta valere nel giudizio di merito e non può essere introdotta nel giudizio di legittimità.

L’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte ha affermato la centralità del contraddittorio col contribuente nella procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, in quanto deputato a consentire al contribuente di contestare l’applicazione dei parametri, offrendo la prova di circostanze concrete che giustifichino lo scostamento della posizione reddituale, così determinando l’insorgenza dell’obbligo dell’Ufficio, che non ritenga attendibili le allegazioni di parte, di integrare la motivazione dell’atto impositivo; con la conseguenza, peraltro, che ogniqualvolta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato dall’Ufficio e il contribuente ometta di parteciparvi ovvero si astenga da qualsivoglia attività di allegazione, l’Ufficio non è tenuto a offrire ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del disallineamento del reddito dichiarato dai parametri (Sez. 5 n. 17646 del 6/08/2014, Rv. 631951), e il giudice è legittimato a valutare sul piano probatorio la mancata risposta del contribuente alla sollecitazione dell’Ufficio (Sez. 5, n. 11633 del 15/05/2013, Rv. 626925).

A tali principi si è attenuta la sentenza impugnata, che non è incorsa in alcun vizio logico nel disattendere le intempestive allegazioni di fatto del ricorrente, che sono state coerentemente ritenute inidonee a contraddire lo scostamento reddituale risultante dall’applicazione dello studio di settore.

4. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano nella misura di cui al dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 7.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2017

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