Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9796 del 14/04/2021

Cassazione civile sez. I, 14/04/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 14/04/2021), n.9796

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17650/2019 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Della

Giuliana, 32, presso lo studio dell’avvocato Antonio Gregorace, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 373/2019 della Corte d’appello di Roma,

depositata il 18/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– il processo trae origine dalla domanda di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ovvero della c.d. protezione umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, proposta da S.M., cittadino del (OMISSIS);

– a sostegno della domanda egli ha allegato di essere fuggito dal suo paese temendo per la sua incolumità a seguito di una possibile denuncia per omosessualità, per avere convissuto con un uomo olandese nonchè per i dissapori con la famiglia, come poi precisato durante l’audizione avanti al Tribunale di Roma;

– l’adito Tribunale di Roma ha respinto il ricorso proposto avverso il diniego della Commissione territoriale e la decisione è stata appellata dal ricorrente avanti la Corte d’appello di Roma che ha dichiarato infondati entrambi i motivi di impugnazione e ha rigettato il gravame;

– la cassazione della sentenza di secondo grado è chiesta dal cittadino straniero con ricorso affidato a cinque motivi;

– non ha svolto attività difensiva l’intimato Ministero dell’interno.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di motivazione per omesso esame della richiesta di audizione svolta dal ricorrente nell’atto di gravame (pag. 7) e discussa all’udienza del 19 luglio 2018 sulla quale la corte d’appello non si è pronunciata;

– la censura, che appare riconducibile più che ad omesso esame ad omessa pronuncia – configurabile allorchè risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto (cfr. Cass. 407/2006) -, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, è inammissibile perchè il ricorrente non ha indicato quali circostanze avrebbe inteso chiarire nel corso della audizione, non consentendo di apprezzarne la rilevanza;

– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed in riferimento alla direttiva 2004/83/CE, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto per avere la corte d’appello rigettato l’impugnazione senza tener conto del fatto che il giudice di prime cure aveva omesso di svolgere un ruolo attivo nell’istruttoria della domanda così come previsto dalla normativa Europea e da quella nazionale;

-la censura è inammissibile perchè è rivolta contro la sentenza di primo grado ed è altresì inammissibile poichè la corte ha specificamente indicato le fonti informative acquisite ai fini della valutazione della domanda di protezione e nessuna indicazione contraria sul punto è stata fornita dal ricorrente che si è limitato, perciò, a formulare una contestazione generica;

– con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di motivazione per l’omesso esame, ai fini della riconoscimento della protezione internazionale ovvero sussidiaria, della condizione del paese di origine ossia la Sierra Leone, posto che nel corso dell’audizione il ricorrente aveva dichiarato di avervi vissuto fino all’età di sette anni allorchè, dopo la morte dei genitori, veniva portato in Gambia da un amico del padre; avendo ritenuto di esprimere il timore di rientrare in Sierra Leone e visto quanto accaduto ei suoi genitori, avrebbe dovuto prendere in considerazione anche questo profilo della domanda;

– la censura è inammissibile perchè non risulta che sia stato svolto un motivo di appello sul punto; il motivo, cioè, non è richiamato nella sua interezza e l’atto d’appello non è allegato; infine, la corte territoriale nulla indica a riguardo nel riportare i motivi di gravame;

– con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il mancato riconoscimento delle protezione sussidiaria – in ragione delle attuali condizioni sociopolitiche del paese di origine in violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14;

– il ricorrente lamenta, cioè, l’erronea esclusione dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiarie cui la corte è pervenuta senza considerare che, a prescindere dal timore connesso all’orientamento sessuale attribuito a ricorrente, lo stesso sarebbe stato rimpatriato in un paese in cui l’omosessualità è considerata reato ed è punita con pene severe e disumane;

– la censura è inammissibile perchè il diniego della protezione sussidiaria è stato motivato in relazione a ciascuno degli astratti presupposti e, quindi, sia in relazione alle ipotesi di esposizione al rischio di grave danno individualizzato, seconde le fattispecie del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, sub a) e b), sia in relazione alla fattispecie della minaccia grave ed individuale derivante dalla violenza indiscriminata in situazione di conflitto: armato interno o internazionale del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c);

– la censura relativa al mancato riconoscimento della protezione sussisidiaria ai sensi dell’art. 14 cit., lett. b), inammissibile perchè non si confronta con la ritenuta assenze di riscontri probatori che ad avviso della corte territoriale rendeva oggettivamente ingiustificato il timore addotto da ricorrente;

– con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al diniego della c.d. protezione umanitaria;

– la censura è inammissibile per la sua genericità perchè ricorrente non indica i presupposti asseritamente esistente limitandosi a richiamare una non altrimenti specificata integrazione sociale del ricorrente e le “precarie condiziona socio-politiche del paese di provenienza”, circostanze che così formulate non sono rilevanti in difetto di una specifica vulnerabilità del richiedente asilo (cfr. Cass. 23757/2019);

– la riscontrata inammissibilità di tutti i motivi, giustifica l’inammissibilità del ricorso;

– nulla va disposto sulle spese atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato Ministero;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021

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