Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9794 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 26/05/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 26/05/2020), n.9794

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20890-2014 proposto da:

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 23,

presso lo studio dell’avvocato ANIELLO COSTANZA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ROBERTO PACCHIOLI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MARZIO 3, presso lo studio

dell’avvocato RAFFAELE IZZO, che lo rappresenta e difende unitamente

agli avvocati ANTONELLO MANDARANO, PAOLA MARIA CECCOLI, ANTONELLA

FRASCHINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 573/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 03/07/2014 R.G.N. 1470/2011.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza del Tribunale di Milano, pacificamente passata in giudicato, è stato accertato il diritto di C.D. a ricevere dal Comune di Milano il pagamento dello straordinario svolto per la partecipazione a varie Commissioni tecnico consultive;

il C. ha successivamente di nuovo adito il Tribunale di Milano al fine di far determinare la misura di tale straordinario e l’ammontare del dovuto ma la sua domanda, dapprima accolta in primo grado, è stata respinta, in riforma della sentenza di prime cure, dalla Corte d’Appello di Milano;

2. la Corte territoriale preliminarmente riteneva inammissibile la documentazione prodotta dal Comune per la prima volta in appello;

nel merito, rilevava come fosse pacifico l’avvenuto pagamento, da parte del Comune, di quanto spettante a titolo di straordinario per partecipazione alle predette Commissioni, sulla base dei dati desumibili dal raffronto dei verbali delle stesse e dei cartellini presenze, con i riepiloghi mensili della retribuzione; la pretesa del ricorrente di maggior importi sulla base di un prospetto formato da un funzionario comunale era ritenuta inaccoglibile dai giudice di secondo grado, perchè il redattore di quell’atto, ascoltato come testimone, non aveva fornito dati certi a giustificazione del conteggio eseguito;

d’altra parte, aggiungeva la Corte territoriale, tale documento per la sua provenienza e finalità era privo di efficacia vincolante per il Comune, trattandosi di mere comunicazioni interne al Comune, nè vi era prova che il redattore operasse sulla base di poteri di rappresentanza dell’ente;

secondo la sentenza di appello, i tempi di spostamento dall’abitazione di C. alla sede di commissione non potevano poi essere ricompresi nel calcolo delle ore da retribuirsi come straordinario, perchè esulanti dall’orario di lavoro;

3. il C. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di otto motivi, poi illustrati da memoria e resistiti dal Comune di Milano con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4) per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato con riferimento alle eccezioni preliminari da lui svolte nella comparsa di costituzione in appello, rispetto alla novità dei temi proposti dal Comune attraverso il gravame;

il motivo è inammissibile;

anche la censura di natura processuale deve “proposta (…) in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4)” (Cass. S.U., 22 maggio 2012, n. 8077; il motivo avrebbe quindi dovuto essere formulato permettendo di apprezzare la sua effettiva decisività e concludenza;

pertanto, esso, sostenendo l’insufficiente specificità dell’atto di appello, avrebbe dovuto trascrivere il contenuto dell’atto di appello, che è riportato solo in alcuni passaggi della narrativa del processo, riconnettendo il concreto contenuto di esso alla critica sviluppata;

non diversamente, anche la parte di motivo che concerne il determinarsi di una novità tra le eccezioni/difese di primo grado e le censure mosse con l’atto di appello, avrebbe dovuto riportare il contenuto della memoria di costituzione di primo grado del Comune (di cui sono trascritti solo alcuni stralci incompleti, con mera finalità narrativa, alla pag. 17, in una parte di ricorso precedente alla formulazione del motivo in esame) ponendolo in confronto critico ed argomentativo con il contenuto dell’atto di appello, parimenti anch’esso da trascrivere anche in parte qua nei passaggi a tal fine essenziali;

in sostanza, la formulazione del motivo si pone in contrasto con i presupposti di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, (Cass. 24 aprile 2018, n. 10072) e di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., S.U., 22 maggio 2014, n. 11308) che la predetta norma nel suo complesso esprime, con riferimento in particolare, qui, ai nn. 3, 4 e 6 della stessa disposizione, da cui si desume la necessità che la narrativa e l’argomentazione siano idonee a manifestare pregnanza, pertinenza e decisività delle ragioni di critica prospettate, senza necessità per la S.C. di ricercare autonomamente negli atti i corrispondenti profili ipoteticamente rilevanti;

2. con il secondo motivo il ricorrente afferma la violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5 per avere la Corte territoriale omesso di considerare che l’ing. S., firmatario di alcuni documenti prodotti e relativi allo straordinario rivendicato, era direttore del Settore Trasporti e Mobilità da cui dipendeva il C., sicchè si trattava di atti posti in essere in esercizio dei poteri e delle capacità del privato datore di lavoro e dunque da considerare come provenienti dal datore di lavoro;

il terzo motivo denuncia invece la violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2702 c.c., sostenendo che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che i documenti prodotti e provenienti da funzionari o addetti del Comune di Milano erano comunque scritture private, che costituivano prova della quantificazione del numero di ore di lavoro straordinario svolte;

il quarto motivo denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 5 l’omesso esame di fatti decisivi, consistenti nella conferma da parte di tre direttori del Settore, sulla base dei documenti prodotti, dello svolgimento di attività straordinaria da parte del C.;

il quinto motivo sostiene, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che la Corte territoriale, non valutando correttamente le prove documentali, tra le quali in particolare la sentenza passata in giudicato inter partes e le risultanze testimoniali, avrebbe violato l’art. 2697 c.c.

i suddetti motivi, stante la loro connessione, vanno esaminati congiuntamente;

2.1 la Corte territoriale ha in sostanza ritenuto che la documentazione interna degli uffici comunali su cui fa leva il ricorrente, non essendo stata suffragata da idonee conferme in sede di audizione testimoniale di colui – il teste E. – cui risale la formazione dei conteggi di corredo alla predetta documentazione, non fosse idonea a fornire prova di una misura del credito superiore all’importo che, a titolo di straordinario, il Comune ha pagato al C.;

2.2 rispetto a tale valutazione, i motivi sopra indicati nulla possono efficacemente aggiungere;

la possibilità per un dirigente (il S.) di porre in essere atti gestori del rapporto di lavoro di un sottoposto non significa certamente che la trasmissione da parte sua ad altro ufficio di conteggi sullo straordinario svolto abbia effetti vincolanti per il Comune sotto il profilo degli obblighi retributivi;

i poteri gestori del rapporto di lavoro non comprendono la capacità di impegnare in senso confessorio l’ente di appartenenza rispetto al maturare di certi crediti o al verificarsi di certi fatti ed i corrispondenti documenti sono solo un elemento di prova che non illegittimamente la Corte territoriale ha deciso di non valorizzare, nel proprio libero convincimento, motivando sul fatto che i conteggi non avevano trovato sufficienti spiegazioni in sede testimoniale da parte di chi li aveva in concreto formati;

non diversamente, anche a voler attribuire la rivendicata efficacia di scrittura privata alle note dell’ing. S. o dell’ing. S. all’ufficio del personale, ciò significa semplicemente che, ai sensi dell’art. 2702 c.c., si ha per legalmente certa la provenienza di quegli scritti dai corrispondenti autori, ma non certo che quei documenti non siano suscettibili di libera valutazione giudiziale nei termini sopra riepilogati;

analoghe conclusioni valgono infine per il motivo con cui si adduce il difetto di analisi dei documenti di cui sopra o della reiterata posizione favorevole alla tesi del C. assunta dai tre suoi superiori nel corso del periodo interessato, in quanto anche da questo punto di vista quella che si propone è una rivisitazione, inammissibile in sede di legittimità, del giudizio di fatto, quale non implausibilmente sviluppato dai giudice di appello;

infine, la chiusura del giudizio di merito attraverso una assorbente valutazione di insufficienza dei conteggi interni al fine di sorreggere la domanda esclude che sia stata violata la regola sull’assetto degli oneri probatori di cui all’art. 2697 c.c., addossando alla parte ricorrente dimostrazioni cui essa non era tenuta;

la sentenza aveva accertato il diritto a percepire lo straordinario per la partecipazione alle Commissioni, ma non la misura svolta e il compenso dovuto, che dovevano essere comprovati dal C. (Cass. 19 giugno 2018, n. 16150; Cass. 16 febbraio 2009, n. 3714);

la Corte di merito, ritenendo che le prove addotte non fosse sufficienti ad assolvere a quell’onere, sicuramente gravante sul ricorrente, non ha dunque in alcun modo violato l’art. 2697 c.c.;

3. il sesto motivo censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., adducendosi la nullità della sentenza per violazione del giudicato;

il ricorrente sostiene che, avendo il Tribunale, nella sentenza inter partes passata in giudicato prima del presente giudizio, affermato l’obbligo del Comune di corrispondere lo straordinario per tutto il tempo messo a disposizione dell’amministrazione convenuta, la sentenza qui impugnata si sarebbe posta in illegittimo contrasto con tale statuizione ove essa aveva ritenuto di escludere comunque il diritto agli straordinari per i tempi di spostamento dell’abitazione del C. alle sedi delle diverse Commissioni;

il motivo è infondato;

la sentenza in giudicato non afferma il diritto del C. ad ottenere il computo orario dei tempi di trasferimento da casa alla sede delle Commissioni, quanto più genericamente al computo dei tempi posti a disposizione della P.A. datrice di lavoro, precisando espressamente che non era stato chiarito in quel giudizio come fossero raggiunte tali sedi e se il ricorrente a fine seduta tornasse a casa o meno;

in sostanza, quella sentenza lasciava impregiudicata la questione del se imputare o meno ad orario di lavoro i tempi di trasferimento, evidentemente a seconda di come in concreto si manifestasse il rapporto tra sede di lavoro, sedi delle Commissioni e trasferimenti da casa verso l’una o le altre;

pertanto, la Corte territoriale, ritenendo in particolare che non dovesse computarsi come orario di lavoro il percorso da casa alla sede delle Commissioni, ha semplicemente ritenuto che esso non potesse considerarsi tempo a disposizione del datore di lavoro secondo le regole dalla stessa Corte di merito ritenute proprie della disciplina dell’orario di lavoro;

tale impostazione non può però dirsi posta in infrazione del pregresso giudicato;

4. con il settimo motivo il C. censura la sentenza di appello, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sostenendo che la Corte territoriale avrebbe erroneamente affermato che il teste E. non potesse riferire sull’impegno richiesto per la partecipazione alle sedute della Commissioni, mentre vi sarebbe prova documentale del fatto che lo stesso E. partecipava alle sedute insieme al ricorrente;

il motivo è inammissibile in quanto esso travisa il senso dell’affermazione della Corte territoriale;

il fatto che l’ E. non avesse personalmente assistito all’espletamento delle attività in questione non è infatti riferito in sentenza alla partecipazione alle sedute delle Commissioni, ma alle attività preparatorie e successive alle sedute, che la sentenza afferma egli avere ricompreso nel conteggio elaborato;

ciò è dimostrato dal riferirsi dell’affermazione della Corte alle “attività in questione”, in una frase che è preceduta da altra frase riferita solo alle attività preparatorie e successive ed è seguita parimenti da frase relativa – si cita testualmente – alla “durata dell’impegno prodromico e successivo del C.”;

5. l’ottavo motivo infine censura, per violazione dell’art. 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), la parte di sentenza con la quale si è ritenuto che fosse pacifica l’avvenuta retribuzione delle ore di straordinario per la partecipazione alle Commissioni risultanti dalla documentazione in atti;

a tal fine il ricorrente fa leva sulle comunicazioni dell’ing. S. e dell’arch. Sa. di cui già si è detto al punto 2 (nelle sue varie articolazioni), oltre che sulle emergenze testimoniali;

anche tale motivo va disatteso;

infatti, è comunque pacifico, dallo stesso tenore del ricorso (v. pag. 10 punto 12) che una parte dello straordinario venne pagato dopo la prima sentenza (passata in giudicato) del Tribunale di Milano;

quanto al residuo, preteso dal ricorrente sulla base dei conteggi formati dall’ E., la Corte ha poi argomentato, nei termini sopra più volte riepilogati, per concludere che quei conteggi non potessero portare al riconoscimento di alcunchè di ulteriore e che di ore lavorate in più di quelle pagate non vi era prova;

pertanto, la Corte ha esaminato la pretesa del ricorrente, per quanto riguardava l’eccedenza rispetto a quanto pagato, concludendo che non fosse stata data prova idonea a dimostrare il diritto rivendicato e quindi, ammesso e non concesso che le affermazioni sul titolo di quanto già pagato potessero contenere imprecisioni, ciò resta del tutto privo di rilievo rispetto agli esiti finali, avendo la Corte territoriale comunque considerato le pretese di pagamenti ulteriori, rispetto a quanto corrisposto, ritenendo di non poter trarre dall’istruttoria, con giudizio di merito qui non sindacabile, elementi utili al ricorrente, per quanto da essa detto rispetto alle incertezze manifestate dall’ E. in sede testimoniale;

6. il ricorso va dunque respinto e le spese del grado restano regolate secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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