Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9794 del 19/04/2017

Cassazione civile, sez. trib., 19/04/2017, (ud. 19/09/2016, dep.19/04/2017),  n. 9794

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –

Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere –

Dott. SANDRINI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5393-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

IL LAZZARETTO DI B.E., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato RANIERO VALLE,

rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO SPECIALE giusta delega a

margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5/2011 della COMM.TRIB.REG. di ANCONA,

depositata il 13/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/09/2016 dal Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE SANDRINI;

udito per il ricorrente l’Avvocato CAPOLUPO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La Commissione Tributaria Regionale di Ancona, con sentenza in data 11.11.2010, riformando la decisione di primo grado, ha accolto l’appello della società contribuente – Il Lazzaretto s.n.c. – avverso il rigetto del ricorso dalla stessa proposto nei confronti dell’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2004 con cui l’Agenzia delle Entrate aveva rettificato i ricavi dichiarati dalla società, agli effetti IRAP e IVA, incrementandoli di Euro 111.903,00 sulla scorta delle risultanze degli studi di settore; e ha conseguentemente dichiarato l’illegittimità dell’atto impositivo impugnato.

La Commissione Regionale rilevava che gli studi di settore costituiscono uno strumento di ausilio e un indice di riferimento dell’attività di accertamento in presenza di gravi incongruenze legittimanti un accertamento di tipo analitico/induttivo; deduceva l’incombenza sull’Ufficio dell’obbligo di motivare e dimostrare la gravità delle incongruenze esistenti tra il reddito dichiarato e lo studio di settore, obbligo che nella fattispecie era rimasto inadempiuto, non essendo provata la concreta connessione tra l’incremento del costo del personale e il volume dei ricavi valorizzata nell’avviso di accertamento, a fronte di quanto dedotto dal contribuente sulla diminuzione dell’afflusso di clientela al ristorante da essa gestito.

2. Ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate, col patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato; premesso di aver già tenuto conto in sede di accertamento degli effetti negativi sulla redditività dell’impresa, esercente attività di ristorazione, del minore afflusso di clientela dovuto alla riduzione di attività dell’ente fiera e alle difficoltà nella viabilistica di accesso al locale, abbattendo i ricavi del 20% rispetto alle risultanze dei parametri, deduce:

– violazione di legge, in relazione al D.L. n. 331 del 1993, artt. 62 bis e 62 sexies, artt. 2697, 2727 e 2729 c.c.; richiama i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte sugli oneri probatori delle parti in materia di attività di accertamento basata sugli studi di settore, rilevando di aver rappresentato in sede di contraddittorio preventivo una serie di elementi integranti altrettante presunzioni gravi, precise e concordanti dell’esistenza di maggiori ricavi non dichiarati, costituiti dai maggiori costi sostenuti solo nel 2004 per il personale dipendente, dall’impiego accertato di sette lavoratori in nero, dal rapporto anomalo tra il costo del venduto e i ricavi dichiarati, nonchè tra questi ultimi e il reddito, dalla modesta percentuale di ricarico applicata in relazione al tipo di attività, pari soltanto all’1,59%; deduce quindi che la rideterminazione dei ricavi era fondata non già sulla mera trasposizione del risultato dello studio di settore, ma sull’analisi concreta della realtà dell’impresa e su indici idonei a legittimare l’accertamento analitico-induttivo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), che confermavano e rafforzavano il dato emergente dagli studi di settore; rileva che a fronte degli elementi di incongruità offerti dall’Ufficio, incombeva al contribuente dimostrare i fattori dell’allegata riduzione dei ricavi;

– vizio della motivazione su un fatto controverso e decisivo, deducendo l’insufficienza e l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata, che non aveva esaminato le ragioni dell’avviso di accertamento e non aveva considerato che l’impiego considerevole di personale era indicativo di un maggiore afflusso di clientela e dunque di maggiori redditi, onerando l’Ufficio di dimostrare l’infondatezza di circostanze – dedotte dal contribuente – che non erano state provate.

3. Resiste il contribuente mediante controricorso con cui chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque rigettato; rileva che se fosse rimasto in vigore lo studio di settore applicabile nel 2003, il risultato dell’esercizio sarebbe stato congruo anche per il 2004; deduce l’inammissibilità del ricorso, sotto il profilo della violazione dell’art. 360 bis c.p.c. e art. 360 c.p.c., in quanto la questione di diritto era stata decisa dalla Commissione Regionale in conformità alla giurisprudenza della Corte di cassazione e le doglianze della ricorrente miravano in realtà a ottenere una rivalutazione del merito della controversia, attraverso un nuovo apprezzamento dei fatti e delle prove; deduce l’infondatezza comunque del ricorso, rilevando che la contrazione dei ricavi era ascrivibile alla grave crisi delle attività dell’ente fiera e alla modifica della viabilità della zona portuale, destinata al traffico pesante.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è complessivamente fondato e deve essere accolto, nei termini che seguono, sotto entrambi i profili di censura dedotti dall’Agenzia ricorrente, che denunciano l’errore logico-giuridico in cui è incorsa la sentenza impugnata nell’applicazione dei principi di diritto che presiedono alla validazione probatoria dell’accertamento basato (anche) sulle risultanze degli studi di settore e alla ripartizione dell’onere della prova tra fisco e contribuente in materia.

2. Questa Corte ha affermato, con orientamento consolidato, che i parametri o studi di settore, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rilevano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio col contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico dimostrare l’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento (Sez. Un. n. 26635 del 18/12/2009; nonchè, da ultime, Sez. 5 n. 14288 del 13/07/2016, Rv. 640541-01; Sez. 5 n. 3415 del 20/02/2015, Rv. 634928-01).

L’esperimento del contraddittorio col contribuente e la puntuale valutazione delle relative risultanze costituiscono dunque elementi essenziali e imprescindibili della validazione, da parte del giudice, dell’accertamento fiscale basato sugli studi di settore, in quanto l’elaborazione statistica dei parametri, di per sè soggetta alle approssimazioni proprie dello strumento statistico, deve essere adeguata alla realtà reddituale del singolo contribuente, solo così potendo emergere gli elementi idonei a commisurare la presunzione alla concreta realtà economica dell’impresa; con la conseguenza che la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel mero rilievo dello scostamento dai parametri, ma deve essere integrata, anche sotto il profilo probatorio, con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio, soltanto così potendo emergere la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria a carico del contribuente (Sez. 5 n. 27822 del 12/12/2013, Rv. 629568).

La procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione degli studi di settore, inoltre, è legittimamente affiancabile all’accertamento di tipo analitico-induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d) (Sez. Un. n. 26635 del 2009, sopra citata), fondato, come nella specie, su ulteriori elementi presuntivi di evasione fiscale tratti dalle irregolarità concretamente riscontrate nelle modalità di esercizio dell’attività d’impresa.

3. Nel caso in esame, l’Agenzia ha corroborato lo scostamento reddituale, pacificamente risultante rispetto ai parametri dello studio di settore applicabile al contribuente con riferimento all’anno oggetto di accertamento (2004), con una serie di altri elementi, che non sono stati contestati – nella loro fattualità – dalla società ricorrente, gravemente indizianti del conseguimento di maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati, rappresentati principalmente dall’impiego di un discreto numero (sette) di lavoratori “in nero” nel corso dell’esercizio (secondo una circostanza prospettabile come di per sè univocamente sintomatica di una gestione aziendale connotata da significative irregolarità, non solo contabili), e dall’assoluta irrisorietà e inverosimiglianza del margine di ricarico applicato sull’attività di ristorazione, nella misura appena dell’1,59%; e ha dato atto altresì dell’esclusione di ogni automatismo nel recepimento dei dati statistici dello studio di settore, avendo abbattuto del 20%, all’esito del contraddittorio, i ricavi emergenti dai parametri al fine di tenere conto dei fattori particolari di contrazione del reddito d’esercizio, segnalati dal contribuente, derivanti dalla riduzione delle attività dell’ente fieristico locale e dalle variazioni intervenute nella viabilistica della zona, tali da rendere più difficoltoso l’accesso al ristorante da parte della clientela.

La motivazione con cui la Commissione Regionale, riformando la sentenza di primo grado, ha ritenuto che l’Ufficio non avesse adempiuto all’onere di provare (e motivare) la concreta incongruenza del reddito dichiarato dal contribuente, tenendo conto delle specifiche modalità e circostanze dell’esercizio dell’impresa nell’anno considerato e delle giustificazioni addotte dalla società ricorrente, è dunque incorsa in un evidente vizio logico e in un sostanziale travisamento degli oneri probatori gravanti ex lege sulle parti; mentre le argomentazioni dedotte dal contribuente nel controricorso si rivelano inconsistenti e articolate in termini di puro fatto.

4. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale di Ancona, in diversa composizione, per un nuovo giudizio che non ricada nei medesimi errori di diritto e vizi motivazionali, pronunciando anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Commissione Tributaria Regionale di Ancona, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2017

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