Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9794 del 13/05/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 9794 Anno 2015
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: NAPOLETANO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 1325-2014 proposto da:
ALESSE ANNA C.F.

LSSNNA64B65H501V,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CESARE RASPONI 40, presso lo
studio dell’avvocato ORIANA CIANCA, che la rappresenta
e ditnde giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2015
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– ITALGO S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, ( di seguito “ITALGO”
già DELTA S.P.A.), P.I. 02365310966, in persona del

e

legale

rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PAOLO DI DONO, 3/A, presso lo

Data pubblicazione: 13/05/2015

studio degli avvocati MOZZI VINCENZO e DE BERARDINIS
PAOLO, rappresentata e difesa dagli avvocati PIETRO
ZAMBRANO, CLAUDIO ZAMBRANO, giusta delega in atti;
– AXITEA S.P.A. C.F. 00818630188, in persona del
legale

rappresentante pro tempore,

elettivamente

studio degli avvocati MOZZI VINCENZO e DE BERARDINIS
PAOLO, rappresentata e difesa dagli avvocati PIETRO
ZAMBRANO, CLAUDIO ZAMBRANO, giusta delega in atti;
– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 5229/2013 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 12/09/2013 R.G. 10289/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/01/2015 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
NAPOLETANO;
udito l’Avvocato CIANCA ORIANA;
udito l’Avvocato MOZZI VINCENZO per delega verbale
ZAMBRANO PIETRO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO, che ha concluso
per l’ inammissibilità.

domiciliata in ROMA, VIA PAOLO DI DONO, 3/A, presso lo

RG 1325-14 n. 8 ud 14-1-15
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Roma, confermando la sentenza del Tribunale di
Roma, rigettava la domanda di Alesse Anna, proposta inizialmente nei soli
confronti della Italy S.p.A. e poi estesa, in appello, anche nei
confronti di Axitea S.p.A.,avente ad oggetto l’impugnativa del

riconoscimento di un superiore inquadramento ed il risarcimento del danno
per mobbing.
La Corte del merito, poneva a base del suo

decisum,

e per quello che

rileva in questa sede, ±1 rilievo fondante secondo il quale, relativamente
al licenziamento, il fatto contestato – consistente nel aver rilasciato,
ai fini della quantificazione della retribuzione, una dichiarazione
dell’attività svolta non rispondente al vero per non aver svolto la
indicata completa prestazione lavorativa in alcuni giorni del mese di
febbraio del 2008 – trovava riscontro, come ritenuto dal Tribunale, nelle
emergenze documentali, nella relazione ispettiva e nelle dichiarazioni
del teste Marco Romano. Sicché, secondo la Corte territoriale,i motivi i
d’impugnativa della Alesse si traducevano in una apodittica negazione
della propria responsabilità e dei fatti emersi e provati e, pertanto,
come già rilevato dal Tribunale, avuto riguardo alla specifica
prestazione lavorativa che veniva espletata anche all’esterno in
assenza di forme di controllo da parte del datore di lavoro e come tale
esigeva una maggiore fiducia – doveva ritenersi sussistente la giusta
causa del licenziamento considerata la gravità, l’intenzionalità e la
reiterazione degli inadempimenti posti in essere subdolamente “al di

licenziamento intimatole dalla prima delle dette società, il

fuori e nella impossibilità di controlli ordinari da parte del datore di
lavoro e la gravità ed intenzionalità della falsa dichiarazione ad essi
relativa rilasciata a scopo di lucro di retribuzioni non dovute”.
Relativamente agli altri capi della domanda, precisava,poi,la predetta
Corte, l’assunta carenza di motivazione della sentenza del Tribunale era

all’inquadramento ed al risarcimento del danno per mobbing.
Avverso questa sentenza Alesse Anna ricorre in cassazione sulla base di
due censure.
Resistono con controricorso le parti intimate.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la prima censura parte ricorrente, deducendo

error in procedendo ex

art. 60 n.4 e 5 cpc in relazione alla violazione dell’art. 112 cpc,
sostiene che la Corte di appello, nella sentenza impugnata, ha
erroneamente valutato le emergenze istruttorie dando eccessivo risalto
alle risultanze dell’investigazione a discapito di quelle istruttorie
emerse in sede di giudizio. Prospetta, altresì, parte ricorrente che la
Corte del merito in ordine alla eccepita carenza di motivazione della
sentenza di primo grado, relativamente alle differenze retributive ed al
demansionamento, ha, in poche righe, rigettato le cesure.
Il motivo è infondato.
Mette conto, in primo luogo, rilevare quanto al profilo della censura
concernente l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie che, nella
specie, trattandosi di sentenza di appello pubblicata in data 12
settembre 2013, trova applicazione l’art. 360, primo comma, n. 5, cpc,

smentita dagli appositi paragrafi dedicati ciascuno, rispettivamente,

/

riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7
agosto 2012, n. 134 che secondo l’interpretazione fornita dalle Sezioni
Unite, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per
cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o
secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli

parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe
determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel
rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e
369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il
“fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o
extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando”
tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la
sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi
istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto
decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque
preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato
conto di tutte le risultanze probatorie(Cass. S.U. 7 aprile 2014 n.
8053).
Nella specie la critica in esame risolvendosi nella prospettazione di una
diversa lettura delle risultanze istruttorie è, alla luce del riformulato
art. 360 n. 5, inammissibile.
Relativamente,poi, al dedotto difetto di motivazione in ordine ai motivi
di appello inerenti il demansionamento e le differenze retributive,
motivi questi di appello che si sostanziavano nella denuncia di una

3

atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le

”assoluta carenza di motivazione” di cui la Corte di Appello ha ritenuto
l’infondatezza

sul rilevo che la sentenza del Tribunale aveva

diffusamente motivato “su entrambi i punti in appositi paragrafi
dedicati” rispettivamente alle pagine 10/11 e 11/17 della sentenza del
Tribunale, va sottolineata l’infondatezza della relativa censura.

succintamente, palesato le ragioni del proprio
consentire la ricostruzione del relativo

decisum

in modo da

iter argometativot non ricorre,

alla stregua di quanto precisato dalle Sezioni Unite, quella anomalia
motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente
rilevante, in quanto, non vi è – esclusa qualunque rilevanza del semplice
difetto di “sufficienza” della motivazione – “mancanza assoluta di motivi
sotto l’aspetto materiale e grafico”,”motivazione apparente”, o
“contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” ovvero
“motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. S.U. 7
aprile 2014 n. 8053).
Con la seconda critica parte ricorrente, deducendo violazione degli artt.
1455 e 2119 cc, assume che al fine di valutare la legittimità di un
licenziamento occorre considerare l’intensità dell’elemento intenzionale,
il grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente,
le precedenti modalità di attuazione del rapporto, la sua durata,
l’assenza di precedenti sanzioni e la sua particolare natura e tipologia.
La censura è inammissibile per violazione del combinato disposto degli
artt. 360, l ° comma, e art. 366, 1 0 comma n.4, cpc essendo il motivo
generico.

4

Nell!;; caso in esame, infatti,avendo la Corte del merito, sia pure

Il motivo è specifico, infatti, solo ed in quanto la relativa censura
consente di delimitare esattamente la questione devoluta e non è estranea
a tale delimitazione la precisazione “contenutistica” degli esatti
termini del devolutum.

E’

indispensabile, quindi, una critica adeguata e

specifica della decisione impugnata che consenta al giudice di

riferimento alle statuizioni adottate dal giudice di secondo grado (Cfr.
per tutte Cass. 10 luglio 2007 n. 15882 e Cass. 18 maggio 2005 n. 10420
secondo cui il ricorrente – incidentale, come quello principale – ha
l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella
sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica
vincolata propria del processo di cassazione, il singolo motivo assolve
alla funzione condizionante il devolutum della sentenza impugnata).
Nella specie le argomentazioni poste a base della critica in esame per la
loro evidente genericità non consentono in alcun modo a questa Corte di
comprendere l’errore in cui sarebbe incorso il giudice di appello, né di
quello che si è inteso devolvere a questa Corte.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
Stante l’ammissione della ricorrente Alesse al patrocinio a spese dello
Stato, non deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al
primo periodo dell’ art. 13, comma 1-quater, del DPR 30 maggio 2002 n.
115, introdotto dal comma 17 dell’art. l della Legge 24 dicembre 201L n.
228, ai fini del raddoppio del contributo per i casi di impugnazione

5

legittimità di percepire con certezza il contenuto delle censure, in

respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile (Cass.2
settembre 2014 n. 18523).
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle

resistente in e 100,00 per esborsi ed

2000,00 per compensi oltre

41911
accessori di legge.Si dà atto dellaV-gússistenza dei presupposti di cui
all’art. 13, comma l

quater,

del DPR n. 115 del 2002 introdotto

dall’art.1, comma 17, della L. n.228 del 2012 per il versamento da parte
del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 gennaio 2015
Il Presidente

spese del giudizio di legittimità che liquida in favore di ciascuna parte

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