Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9790 del 13/05/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 9790 Anno 2015
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso 8331-2012 proposto da:
SARDELLA ROBERTO C.F. SRDRRT67M02D643Y, elettivamente
i C-GGA
domiciliato in ROMA, VIA
NICOTERA 29 presso lo
studio dell’avvocato PATRIZIA ANTONELLI, rappresentato
e difeso dall’avvocato SILVANO STROPPIANA, giusta
delega in atti;
– ricorrente –

2014
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contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA
RICERCA 80185250588, in persona del Ministro pro
tempore, ISTITUTO SUPERIORE STATALE “LEONARDO DA

Data pubblicazione: 13/05/2015

VINCI”, LICEO DELLE SCIENZE SOCIALI E LINGUISTICO ALBA
in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO presso i cui Uffici domiciliano in ROMA, alla
VIA DEI PORTOGHESI, 12 (Atto di Costituzione

– resistenti con mandato

avverso la sentenza n. 159/2011 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 25/03/2011 R.G.N. 552/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/12/2014 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito l’Avvocato CERCHIARA MAURIZIO per delega
TROPPIANA SILVANA;
udito l’Avvocato FIGLIOLIA ETTORE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per
inammissibilità in subordine rigetto.

depositato il 21/06/2012);

Svolgimento del processo
Si controverte del licenziamento disciplinare intimato con effetto dal 30.11.2006 a
Sardella Roberto, collaboratore scolastico A.T.A., da parte della Direzione
Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte in conseguenza della

comma 1, del contratto collettivo nazionale di settore, come forma di reazione alla
Determinazione del Dirigente scolastico dell’Istituto di modifica della distribuzione
settimanale dell’orario lavorativo da 36 ore su sei giorni a 35 ore su cinque giorni.
Nel confermare la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Alba, che aveva
respinto l’impugnativa del licenziamento, la Corte d’appello di Torino, con
sentenza dell’8/2 — 25/3/2011, ha evidenziato la correttezza della decisione del
primo giudice, il quale aveva escluso che la scelta datoriale, all’esito di una
contrattazione d’Istituto, di accedere ad un’articolazione diversa dell’orario previsto
in via generale potesse essere condizionata dalla volontà individuale del
dipendente, il cui persistente inadempimento rappresentava una inescusabile
violazione dei suoi doveri di lavoratore subordinato.
Per la cassazione della sentenza ricorre il Sardella con dieci motivi, illustrati da
memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Resistono con controricorso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca, l’Istituto Superiore Statale “Leonardo da Vinci” ed il Liceo delle Scienze
sociali e linguistico.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo, dedotto per violazione o falsa applicazione dell’art. 50 del
CCNL Comparto Scuola, quadriennio 2002 — 2005, il ricorrente, dopo aver
premesso che gli orari di tipo flessibile si prefigurano non come alternativi all’orario
ordinario, ma come aggiuntivi rispetto ad esso, sostiene che il contratto collettivo
in esame attribuisce alle parti della contrattazione integrativa d’istituto la possibilità
e non l’obbligo di introdurre orari di tipo flessibile. Precisa, altresì, che la fonte di

decisione del lavoratore di seguire il diverso orario di lavoro previsto dall’art. 50,

un orario individuale di lavoro flessibile non è il contratto integrativo d’istituto, ma
l’incontro della volontà del Dirigente scolastico, portatore dell’interesse dell’istituto,
con quella del lavoratore, con la conseguenza che in caso di mancanza d’accordo
dovrà essere osservato l’orario di lavoro di cui all’art. 50, comma 1, del CCNL,

contratto integrativo d’istituto.
Il motivo è infondato.
Invero, la presente censura non supera la motivazione di fondo espressa
nell’impugnata sentenza in ordine alla circostanza che il consenso prestato dalle
rappresentanze sindacali unitarie in sede di approvazione del contratto integrativo,
in mancanza di ogni violazione di norme imperative, attribuiva all’orario di cui si
chiedeva l’osservanza la piena patente di legittimità, a fronte della quale il reiterato
e persistente rifiuto del Sardella di osservarlo rappresentava una violazione
inescusabile dei doveri connessi alla sua posizione di lavoratore subordinato. In
sostanza, dal tenore della motivazione, che non risulta incisa dalla presente
censura, si ricava che il problema di fondo, nell’ottica della verifica della legittimità
del licenziamento, non era quello della prevalenza di un sistema di orario rispetto
ad un altro, bensì la circostanza di fatto della decisione unilateralmente assunta
dal dipendente di non voler sottostare al tipo di orario flessibile adottato
dall’autorità scolastica sulla base delle legittime trattative svoltesi in sede
sindacale, la qual cosa finiva per concretizzarsi in una evidente forma di
inottemperanza ad un preciso obbligo imposto dalla natura subordinata del
rapporto, in quanto tendente all’elusione dell’assoggettamento del lavoratore al
potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro.
D’altra parte, il ricorrente non indica quale canone legale di ermeneutica
contrattuale sarebbe stato violato dalla Corte territoriale nella interpretazione della
summenzionata norma collettiva, dalla esegesi della quale il medesimo giudicante
ha ricavato, con argomentazione esente da rilievi di legittimità, che restava

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senza possibilità di imposizione dell’orario flessibile, quand’anche previsto dal

escluso che la scelta di accedere ad un’articolazione diversa dell’orario di lavoro
previsto in via generale potesse essere condizionata dalla volontà del singolo
lavoratore, posto che il secondo comma dello stesso art. 50 subordinava
l’adozione di uno schema di orario flessibile al rispetto di esigenze di tutt’altra

2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 52 e 54 del
CCNL Comparto Scuola, quadriennio 2002 — 2005, assumendo che la flessibilità
dell’orario di lavoro non poteva essergli imposta in quanto le predette norme
collettive presuppongono l’iniziativa del lavoratore che nella fattispecie non vi era
stata, non essendo stata presentata domanda a tal riguardo e, in ogni caso, la
competenza ad emettere ordini di servizio concernenti l’orario di lavoro non
apparteneva al direttore scolastico (DS), bensì al direttore dei servizi generali ed
amministrativi (DSGA).
Anche tale motivo è infondato, in quanto non tiene conto della “ratio decidendi”
della sentenza che è incentrata sulla riscontrata legittimità dell’ordine di servizio
disciplinante il tipo di orario flessibile quale frutto di precise intese sindacali tarate
sulle esigenze dell’istituto, per cui rimane ferma la validità della decisione che ha
ritenuto sussistente un inadempimento manifesto del dipendente al suo dovere di
rispettare le disposizioni datoriali in tema di orario di lavoro, così come spiegato in
occasione della disamina del precedente motivo.
3. Col terzo motivo il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione dell’ad.
92, comma 10°, del CCNL Comparto Scuola, quadriennio 2002 — 2005,
contestando la decisione della Corte territoriale nella parte in cui afferma che non
occorreva il richiamo ad una norma del codice disciplinare per ritenere essenziale
e tassativo l’obbligo del dipendente di rispettare l’orario di lavoro. A sostegno della
contestazione il ricorrente rileva che egli aveva invocato l’osservanza della
tipologia dell’orario normale di lavoro già contemplato dal contratto collettivo di

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natura, correlate al buon funzionamento dell’orario scolastico.

settore e, in ogni caso, l’adozione del diverso sistema di orario flessibile esigeva
un’adeguata pubblicità.
Il motivo è infondato, avendo la Corte d’appello messo correttamente in risalto che
nella fattispecie si trattava dell’obbligo tassativo ed imprescindibile di rispetto, da

sindacali, cioè di un comportamento doveroso presente nella coscienza comune e
come tale non bisognoso di essere pubblicizzato.
Come questa Corte ha già avuto modo di statuire (Cass. sez. lav. n. 1926 del
27/1/2011), “anche relativamente alle sanzioni disciplinari conservative – e non per
le sole sanzioni espulsive – deve ritenersi che, in tutti i casi nei quali il
comportamento sanzionatorio sia immediatamente percepibile dal lavoratore come
illecito, perché contrario al c.d. minimo etico o a norme di rilevanza penale, non sia
necessario provvedere alla affissione del codice disciplinare, in quanto il
lavoratore ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica
predeterminazione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del
codice disciplinare, della illiceità della propria condotta.”
4. Col quarto motivo è denunziata la violazione o falsa applicazione dell’art. 90,
comma 3, del CCNL Comparto Scuola quadriennio 2002/2005, nonché la
violazione delle norme che disciplinano le notifiche. Ci si lamenta, in particolare,
della mancata conoscenza della convocazione a difesa per il giorno 28/6/2006,
assumendosi che ciò era dipeso dal fatto che la notifica della lettera di
convocazione era avvenuta nel luogo di residenza della madre del ricorrente,
mentre tale atto avrebbe dovuto essere notificato nella residenza di quest’ultimo,
quale effettivo destinatario. Inoltre, nella relata di notifica l’ufficiale giudiziario
aveva omesso di indicare la persona fisica, diversa dal destinatario, alla quale
aveva consegnato l’atto stesso e in quale rapporto la medesima si trovava col
destinatario al momento della consegna.
Il motivo è infondato.

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parte del lavoratore subordinato, dell’orario di lavoro prefissato in base ad intese

Invero, la Corte ha chiaramente spiegato che il lavoratore non era affatto estraneo
all’indirizzo presso il quale fu eseguita la notifica, cioè quello della madre,
avendolo condiviso con la genitrice dal 4.4.2006 al 29.4.2006 in occasione di altra
pregressa vicenda. Inoltre, la Corte ha chiarito che il lavoratore aveva proceduto

che in precedenza aveva sistematicamente rifiutato di ricevere le comunicazioni
inoltrategli, e che nulla aveva dedotto in ordine al fatto che la madre, nonostante
un periodo di convivenza, non gli aveva trasmesso la lettera della convocazione,
per cui non appariva sostenibile la tesi che di quella convocazione egli non avesse
avuto notizia.
Ebbene, tale motivazione, ricavata da elementi di fatto tra loro concatenati, oltre
che dal comportamento processuale dell’appellante, rappresenta una spiegazione
logica alla censura di carattere meramente formale sollevata dall’interessato, il
quale si limita nel presente giudizio a riproporla senza formulare censure conòrete
al percorso motivazionale logico-giuridico seguito dalla Corte di merito.
5. Col quinto motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art.
90, comma 3, del CCNL Comparto Scuola quadriennio 2002/2005 in quanto ritiene
erroneo il convincimento della Corte d’appello nel punto in cui quest’ultima ha
ritenuto infondata la doglianza concernente la denunzia delle violazioni connesse
al superamento del termine di dieci giorni per la comunicazione dell’illecito
disciplinare e di quello di centoventi giorni tra l’elevazione della contestazione e
l’irrogazione della sanzione. Assume, invero, il ricorrente che in tali casi la
sanzione della nullità della violazione dei termini di cui alla predetta norma
collettiva è prevista a garanzia del lavoratore.
Il motivo è infondato, in quanto la Corte di merito ha esattamente spiegato che
erroneamente l’appellante aveva ricondotto il superamento del predetto termine di
dieci giorni al momento della ricezione del singolo atto e non a quello della sua
spedizione. Infatti, dalla lettura della motivazione si ricava agevolmente che il

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ad eseguire tre differenti elezioni di domicilio nel corso dello stesso mese, dopo

giudicante ha tenuto conto del principio dell’osservanza del termine
procedimentale attraverso la sua verifica rapportata allo scadere del termine utile
entro il quale doveva essere posto in essere l’adempimento datoriale della
spedizione dell’atto destinato ad essere notificato al dipendente sottoposto a

correttamente interpretato la contrattazione collettiva, che i termini da questa
previsti hanno riguardo all’esigenza di un tempestivo esaurimento della procedura
disciplinare, non dovendosi a tal fine far carico all’amministrazione scolastica
procedente anche del rischio della variabile reperibilità del destinatario del singolo
atto.
Si è, infatti, statuito (Cass. Sez. Lav. n. 20566 del 4/10/2010) che “nel caso in cui il
contratto collettivo di lavoro imponga al datore l’onere di intimare la
sanzione disciplinare, a pena di decadenza, entro un certo termine dalla data di
ricezione delle giustificazioni fornite dal lavoratore, tale termine deve
intendersi rispettato per il solo fatto che il datore abbia tempestivamente
manifestato la volontà di irrogare la sanzione, a nulla rilevando che tale
dichiarazione recettizia sia portata a conoscenza del lavoratore successivamente
alla scadenza di quel termine.”
Egualmente la Corte ha spiegato che ai fini della verifica dell’osservanza del
termine massimo di 120 giorni tra la contestazione dell’addebito e l’irrogazione
della sanzione non doveva tenersi logicamente conto dei giorni resisi necessari
per le notifiche. -~(4.
Tali affermazioni di principio rappresentano il frutto di una interpretazione, da parte
della Corte di merito, della norma collettiva di riferimento, interpretazione rispetto
alla quale il ricorrente si limita ad opporre la propria, senza riuscire a dimostrare la
sussistenza di una violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale seguiti
dal giudicante.

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procedimento disciplinare. Invero, la Corte ha chiarito, dimostrando di aver

6. Col sesto motivo il ricorrente si duole dell’omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione in ordine all’esistenza de contratti integrativi d’istituto per gli anni
scolastici 2004/05 e 2005/06, nonché del travisamento dei fatti, assumendo che di
entrambi i contratti non vi era traccia in atti, tali non potendo ritenersi i verbali delle

della pre-intesa; inoltre, il contratto integrativo d’istituto dell’anno 2005-2006 non
era stato perfezionato nelle forme di legge, mancando dell’essenziale elemento
della sottoscrizione delle parti.
Il motivo è infondato.
Anzitutto, nel riferirsi alla contrattazione d’istituto la Corte territoriale cita proprio
l’episodio dell’incontro della dirigenza con le rappresentanze dei lavoratori, il
verbale di riunione del 6.9.2005, poi pre-intesa ed infine protocollo definitivo,
dando, in tal modo, rilievo agli atti della procedura di approvazione del contratto
integrativo al fine di spiegare che l’articolazione dell’orario di lavoro non derivava
da un comando dall’alto, ma era il frutto di incontri e di intese che precedettero la
contrattazione, per cui non ha pregio il tentativo del ricorrente di non connettere
decisività alcuna ai suddetti documenti. Né il ricorrente produce, in spregio a
quanto previsto a pena di improcedibilità dall’art. 369, comma 2, n. 4) c.p.c., il
testo del contratto integrativo d’istituto dell’anno scolastico 2005-2006 del quale
lamenta la mancata sottoscrizione delle parti.
7. Col settimo motivo, proposto per vizio di motivazione e per violazione dell’art.
89 del ccnI di settore, il ricorrente sostiene che i giudici d’appello sono incorsi in
errore nel ritenere che fosse possibile nella fattispecie rispettare l’orario di lavoro
imposto dall’amministrazione e nel non considerare che la pretesa di veder
osservato un orario che era possibile eseguire solo in parte costituiva un illecito
comportamento della parte datoriale a fronte del quale era legittimo il rifiuto
opposto dal dipendente.

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riunioni delle rappresentanze sindacali unitarie e del direttore scolastico, né quello

Osserva la Corte che il motivo è inammissibile in quanto involge una valutazione
di fatto che è riservata al giudice di merito, il quale, nella fattispecie, ha dimostrato
di aver attentamente scrutinato il materiale istruttorio sottoposto al suo esame, per
cui la presente censura finisce per tradursi in un tentativo, non consentito nel

possibilità di esecuzione solo parziale dell’orario flessibile di lavoro) del quale non
è dimostrata nemmeno la decisività ai fini di causa, posto che il licenziamento è
stato convalidato dai giudici di merito sulla base del rifiuto totale e reiterato del
ricorrente di eseguire l’orario flessibile di lavoro.
8. Con l’ottavo motivo, svolto per vizio di motivazione, il ricorrente lamenta che in
assenza di attività di indagine in ordine al denunziato fenomeno persecutorio
(mobbing) posto in essere nei suoi confronti dall’amministrazione scolatica
attraverso il ricorso abusivo ad iniziative disciplinari anteriori al licenziamento la
Corte d’appello ha concluso egualmente per l’insussistenza dei denunziati danni
da mobbing (comportamento vessatorio) e sollecita, pertanto, l’annullamento della
relativa statuizione con rinvio al giudice del merito per l’accertamento del fatto
controverso.
Il motivo è inammissibile in quanto involge in maniera generica una rivisitazione
del merito probatorio congruamente vagliato dalla Corte d’appello, la quale, con
motivazione logico-giuridica immune da rilievi di legittimità, ha spiegato che
mancava, nella fattispecie, il presupposto delle denunziate vessazioni, ossia
l’illegittimità delle condotte datoriali ed in particolare del reiterato, ma necessario,
ricorso allo strumento disciplinare.
9. Col nono motivo, dedotto per vizio di motivazione, si contesta la parte della
sentenza impugnata in cui si è dato atto che non vi era stata alcuna implicita
ammissione dei convenuti, né alcuna acquiescenza da parte dei medesimi rispetto
ai fatti dell’ampia narrativa del ricorso del lavoratore.

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giudizio di legittimità, di riesame di un determinato aspetto della vicenda (asserita

Il motivo è inammissibile in quanto contiene una generica doglianza in ordine ad
una valutazione di merito dei giudici d’appello, senza che sia spiegato in qual
modo la loro argomentazione sulle predette circostanze sia affetta dai lamentati
vizi di motivazione.

mancata ammissione delle prove testimoniali che era stata spiegata sulla base del
rilievo che il ricorrente non aveva dimostrata la loro rilevanza, mentre era stata
data importanza alla documentazione dei resistenti ai fini della esclusione del
mobbing.
Anche quest’ultimo motivo è inammissibile.
Invero, “in tema di giudizio di cassazione, la deduzione di un vizio di motivazione
della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di
riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio,
bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della
coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al
quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la
concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle
ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi,
dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti
(salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Conseguentemente, per potersi
configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia,
è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e
la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella
circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione
della vertenza. Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con
quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un
punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da

10. Col decimo motivo, formulato per vizio della motivazione, ci si lamenta della

invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia
probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la
“ratio decidendi” venga a trovarsi priva di base..” (Cass. Sez. 3 n. 9368 del
21/4/2006; in senso conf. v. anche Cass. sez. lav. n. 15355 del 9/8/04)

logiche e ben motivate in ordine ai riscontri eseguiti, immuni da vizi giuridici, il
materiale istruttorio raccolto, per cui le doglianze appena riferite non ne
scalfiscono la relativa “ratio decidendi”.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno
liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio nella misura di € 3000,00 per compensi professionali e di €
100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 10 dicembre 2014
Il Consigliere estensore

Nella fattispecie, la Corte d’appello ha attentamente valutato con argomentazioni

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