Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9789 del 23/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 23/04/2010, (ud. 12/03/2010, dep. 23/04/2010), n.9789

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – rel. Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12133-2006 proposto da:

CORPO DI VIGILANZA “LA CELERE SRL”, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

MONTE SANTO 25, presso lo Studio dell’avvocato PATERNO’ RADDUSA

PIETRO, rappresentato e difeso dall’avvocato FINOCCHIARO PIERGIORGIO,

giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI CATANIA, MINISTERO DELL’ECONOMIA E

DELLE FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 277/2004 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

CATANIA, depositata il 22/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/03/2010 dal Consigliere Dott. SERGIO BERNARDI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo che ha concluso per l’accoglimento del 2^ motivo, il

rigetto dei restanti.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società a r. l. “Corpo di Vigilanza La Colere” impugnò l’avviso di accertamento col quale, per l’anno 1993, le era stato contestato, ai fini Irpeg ed Ilor, un maggior reddito imponibile per ricavi non fatturati e per costi ritenuti non deducibili, ed irrogata sanzione per omessa dichiarazione nel termine di legge. La CTP di Catania accolse il ricorso ma la CTR accolse l’appello dell’Ufficio confermando l’accertamento. La contribuente ricorre con sette motivi avverso la sentenza della CTR della Sicilia. L’amministrazione finanziaria non si è difesa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo si censura di nullità la sentenza impugnata “per violazione dell’art. 132 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. Si sostiene che “la sentenza appare priva dei requisiti indispensabili richiesti a pena di nullità e, in particolare, del requisito della concisa esposizione dello svolgimento del processo e dell’indicazione delle richieste delle parti.

La doglianza è infondata perchè gli clementi indicati come mancanti viceversa sussistono, esposti in maniera sintetica ma sufficiente a dar conto dell’iter processuale e dell’oggetto del giudizio.

Il secondo motivo denuncia “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per carenza insufficienza e contraddittorietà della sentenza impugnata”, sostenendo che essa “non indica gli elementi dai quali ha tratto il proprio convincimento ovvero il criterio logico e la ratio decidendi seguita”.

La censura è inammissibile per genericità, mancando di specificare i fatti (in tesi decisivi) sui quali la motivazione impugnata sarebbe insufficiente o contraddittoria.

migliore confutazione del motivo, valga comunque riportare il tenore della motivazione impugnata, premessa utile anche all’esame delle altre doglianze:

“Preliminarmente, si constata la tardiva presentazione, con ritardo superiore al mese dalla scadenza del termine fissato al 30.5.94, del Mod. 760; infatti la Società non ha provato le particolari esigenze che devono risultare dal verbale assembleare di approvazione del bilancio oltre che da apposita previsione statutaria e vaghe appaiono le argomentazioni circa motivazioni contabili di redazione del bilancio stesso.

Riguardo i recuperi dei costi, risulta la non inerenza degli stessi in quanto sostenuti per fini non direttamente collegati all’attività nè quanto esposto dalla società è convincente per privilegiare la tesi opposta. In merito ai ricavi, non si può supporre che siffatti contraenti non abbiano applicato quanto stabilito nel contratto a prestazioni corrispettive. Non siamo in presenza di piccole ditte individuali nelle quali può anche avvenire che, col semplice accordo delle parti, contratti si modifichino solo verbalmente, ma di società che devono dar conto del loro operato ad una pluralità di organi per cui non possono arbitrariamente modificare pattuizioni da cui derivano introiti. Del resto, quanto detto dalla parte in udienza che il problema che ci riguarda non ha importanza riguardo alle imposte dirette ma solo ai fini IVA, non elimina le irregolarità in quanto la normativa è abbastanza precisa in questa fattispecie ed impone determinate regole da seguire (fatturazione, registrazione etc.) a prescindere che le prestazioni si equivalgano. Infine, non può condividersi la presunta gratuità, per quanto sopra accennato, delle altre prestazioni contestate”.

Col terzo motivo si denuncia “Carenza ed insufficienza della motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e Violazione dell’art. 2364 c.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 9 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. “Il giudice di secondo grado” – si sostiene – “si limita a ritenere vaghe le deduzioni dell’odierna ricorrente in merito alle ragioni della presentazione della dichiarazione mod. 760 in data 8. 7. 1994 senza spiegare il motivo della rilevata vaghezza”.

Il motivo è inammissibile perchè concerne il giudizio di inconsistenza delle dedotte “argomentazioni circa motivazioni contabili di redazione del bilancio stesso”, ma non censura altresì la osservazione, di per se sola sufficiente a rigettare la difesa, che quelle motivazioni non risultavano comunque “dal verbale assembleare di approvazione del bilancio oltre che da apposita previsione statutaria”, come sarebbe stato necessario per ritardare la pubblicazione del bilancio oltre i quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio sociale, in base all’art. 2364 cod. civ..

Col quarto motivo si denuncia “Carenza ed insufficienza della motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e Violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 102 e 109 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Si lamenta che “la Commissione non ha esplicitato in alcun modo i motivi per cui ha ritenuto di accogliere le deduzioni formulate dall’Ufficio appellante e rigettare, invece, le eccezioni avanzate e i documenti prodotti dalla società nella propria difesa. Questo capo della sentenza è.

inoltre, illegittimo per violazione di legge in quanto i costi sostenuti e recuperati dall’Ufficio sono deducibili ai sensi dell’ D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109 (TUIR)”.

Anche questo motivo è inammissibile perchè non specifica i fatti decisivi acquisiti al giudizio in relazione ai quali, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è dedotto vizio di motivazione. Ne precisa come e quando fosse stato dimostrato nei gradi di merito che i costi contestati nell’avviso come indeducibili erano stati viceversa sopportati non solo per l’uso di beni strumentali ma per lo svolgimento in concreto di attività di impresa (come incombeva alla società contribuente di provare, in base all’ordinario riparto dell’onere della prova). Nemmeno è chiarito – quanto alla dedotta violazione di legge – sotto quale profilo la nozione di costo deducibile applicata dalla CTR sarebbe erronea.

Col quinto motivo si deduce “Contraddittorietà ed insufficienza della motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e Violazione degli artt. 1322 e 1362 c.c. e della L. n. 392 del 1978, art. 32″. Si lamenta che la CTR abbia confermato la correttezza del rilievo di maggiori ricavi non fatturati in relazione al corrispettivo di prestazioni contabilizzate al netto degli aggiornamenti Istat che avrebbero dovuto applicarsi in base ai documenti contrattuali. Si assume fosse stato dimostrato in giudizio che trattavasi di prestazioni scambiate con controprestazioni equivalenti, la cui fatturazione ai prezzi aggiornati non avrebbe modificato il risultato economico dell’esercizio. E si lamenta che la CTR non avrebbe considerato che l’amministratore unico della società era stato assolto in sede penale dal reato di omessa fatturazione contestato in ordine alla medesima vicenda.

La censura non coglie e non critica la ratio della decisione impugnata, che ha osservato che la dedotta corrispondenza dei maggiori incassi a maggiori ricavi, anch’essi non fatturati, non valeva ad escludere la irregolarità della operazione e la correttezza del rilievo di sottovalutazione degli incassi contenuto nell’avviso impugnato, in quanto la normativa è abbastanza precisa in questa l’atti specie ed impone determinate regole da seguire (fatturazione, registrazione etc.) a prescindere che le prestazioni si equivalgano”. Nè la sentenza penale richiamata (la cui opponibilità all’Amministrazione finanziaria avrebbe richiesto la partecipazione di quest’ultima al processo penale, dal ricorrente nemmeno allegata) aveva contraddetto l’assunto in fatto alla base della decisione impugnata, perchè (come riferito nel corpo del motivo di ricorso che si esamina) aveva accertato “che le prestazioni sono state fatturate secondo l’importo base concordato”. La violazione dei canoni di interpretazione dei contratti è inoltre esclusa perchè la CTR (contrariamente a quanto dedotto col motivo) non ha trascurato di considerare “la natura potestativa delle clausola contrattuali che prevedono l’aggiornamento Istat come disposto dalla L. n. 392 del 1978, art. 32”. ma ha positivamente accertato che gli aumenti Istat erano stati pretesi e pagati, ma non fatturati, osservando: “Non si può supporre che siffatti contraenti non abbiano applicato quanto stabilito nel contratto a prestazioni corrispettive. Non siamo in presenza di piccole ditte individuali nelle quali può anche avvenire che col semplice accordo delle parti, contratti si modifichino solo verbalmente, ma di società che devono dar conto del loro operato ad una pluralità di organi per cui non possono arbitrariamente modificare pattuizioni da cui derivano introiti”.

Col sesto motivo si deduce “Carenza ed insufficienza di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. Vizio riferito alla sentenza “nella parte in cui il giudice sostiene che non può condividersi la presunta gratuità, per quanto sopra accennato, delle prestazioni contestate”. Si osserva che il rilievo dell’Ufficio “che la gratuità dei voli turistici per L. 5.470.000 è in palese contrasto con quanto constatato dai verbalizzanti nelle note dell’allegato 6 al p.v.c.” non poteva ritenersi provato perchè il p.v.c. non era mai stato prodotto in giudizio.

Ma il riferimento alla struttura della società lucrativa era comunque congruo a motivare la presunzione di onerosità delle prestazioni di impresa, in assenza di elementi in contrario, che non risultano dalla sentenza nè dal ricorso.

Il settimo motivo, col quale si deduce “Illegittimità dell’atto per difetto di motivazione e violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e della L. n. 212 del 2000, art. 7” è inammissibile perchè censura l’atto amministrativo e non la sentenza impugnata.

Va dunque respinto il ricorso, senza decisione in punto spese perchè l’Amministrazione non si è difesa.

PQM

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2010

 

 

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