Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9787 del 14/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/04/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 14/04/2021), n.9787

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10217/2013 R.G. proposto da:

I.A., elettivamente domiciliata in Roma, Viale

Regina Margherita n. 176/B/2, presso lo Studio del Rag.

C.V., rappresentata e difesa dall’Avv. Stiscia Giuseppe, giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania sez. staccata di Salerno n. 500/4/2012, depositata il 1

ottobre 2012.

Sentita la relazione svolta nella udienza camerale del 20 gennaio

2021 dal Cons. Bruschetta Ernestino Luigi.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con l’impugnata sentenza, la Regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, confermava la decisione della Provinciale che aveva respinto il ricorso promosso da I.A. avverso un avviso di accertamento con il quale l’ufficio recuperava IVA IRAP IRPEF 2005 in relazione a operazioni oggettivamente inesistenti e in relazione a vendite di merci senza IVA acquistate da un cessionario in seguito risultato non essere un esportatore abituale;

2. la Regionale respingeva la preliminare eccezione di nullità dell’accertamento, formulata dalla contribuente perchè fonte d’innesco era stata una “segnalazione” relativa a un avviso emesso nei confronti di un terzo da un ufficio regionale che non sarebbe stato competente, osservando a riguardo che nel processo tributario potevano trovare ingresso anche prove acquisite in modo irrituale; nel merito, la Regionale reputava che l’ufficio avesse fornito la dimostrazione presuntiva dell’inesistenza delle operazioni, mentre riteneva che la contribuente non avesse offerto prova contraria;

3. la contribuente ricorreva per quattro motivi, ai quali l’ufficio resisteva con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO:

1. con il primo motivo, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denunciata la violazione del D.L. 30 agosto 1993 n. 331, art. 62-sexies, comma 3, “esplicitamente abrogato” dal D.P.R. 26 marzo 2001, n. 107, art. 23, lett. pp), la contribuente rimproverava alla Regionale di aver sbagliato a respingere l’eccezione preliminare di nullità dell’avviso, deducendo che quest’ultimo era basato su di una “segnalazione” relativa a un accertamento emesso nei confronti di un terzo da un ufficio regionale che non sarebbe stato competente; il motivo è infondato, dovendo essere ribadito un principio esattamente opposto, rispetto a quanto sostenuto dalla contribuente; infatti, per l’attività accertativa possono essere utilizzate notizie comunque raccolte, salvi espressi casi in cui venga in rilievo la salvaguardia di diritti costituzionali; casi che, tuttavia, non sono qui in discussione (Cass. sez. trib. n. 18232 del 2016);

2. con il secondo motivo, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentata la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), oltre che la violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, la contribuente addebitava alla Regionale di non aver “esplicitato” il ragionamento presuntivo che l’aveva condotta a ritenere provata l’inesistenza oggettiva delle operazioni, ancora affermando che, ad ogni modo, fatti noti non potevano essere considerati quelli provenienti dalla “segnalazione” relativa ad un accertamento emesso da un ufficio incompetente; con il terzo motivo, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentata la violazione dell’art. 115 c.p.c., oltre che la violazione del citato D.P.R. n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), la contribuente asseriva che la regolare tenuta della contabilità non era stata contestata dall’amministrazione, che la fatturazione costituiva prova dell’esistenza delle operazioni, che perciò l’ufficio non aveva dimostrato l’oggettiva inesistenza delle cessioni; i motivi, che conviene trattare assieme per economia processuale, sono in parte inammissibili, laddove si risolvono nel solo dolersi dell’apprezzamento di fatti che la Regionale ha giudicato idonei a integrare la prova presuntiva, senza invece indicare in quale errata interpretazione normativa sarebbe incorsa la CTR (Cass. sez. I n. 24155 del 2017); i motivi, nella restante parte, sono invece infondati, non solo perchè l’accertamento analitico induttivo non è impedito dalla tenuta formalmente corretta delle scritture contabili (Cass. sez. trib. n. 18232 cit.), ma anche perchè l’amministrazione può dimostrare l’oggettiva inesistenza delle operazioni attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, salvo ovviamente il diritto alla contraria prova, che però non può farsi consistere nella semplice esibizione di fatture (Cass. sez. trib. n. 17619 del 2018);

3. con il quarto motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denunciata la violazione del D.L. 29 dicembre 1983, n. 746, art. 1, lett. c), la contribuente rimproverava alla Regionale di aver confermato la sanzione, nonostante avesse tempestivamente comunicato i dati contenuti nella dichiarazione d’intento rilasciata dal cessionario, come anche l’ufficio avrebbe finito per ammettere nell’impugnato avviso; il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, la contribuente non ha infatti ritenuto di dover dire alla Corte se questa eccezione fosse stata proposta nel ricorso originario e poi riproposta in grado d’appello; risultando, anzi, in narrativa della sentenza impugnata, che davanti alla Regionale l’illegittimità della sanzione era stata eccepita per la differente ragione che nell’avviso non era stata indicata “la norma violata”, tant’è che la CTR neanche implicitamente ha esaminato la questione qui dedotta (Cass. sez. trib. n. 9108 del 2012);

4. le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la contribuente rimborsare all’ufficio le spese processuali, liquidate in Euro 8.000,00 a titolo di compenso, oltre a spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021

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