Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9787 del 13/05/2015


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 9787 Anno 2015
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: DI AMATO SERGIO

SENTENZA

sul ricorso 28351-2007 proposto da:
DE

MARCO

COSIMO

(C.F.

DMRCSM57M13A185Q),

elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO DEL
RINASCIMENTO 11, presso l’avvocato GIOVANNI

Data pubblicazione: 13/05/2015

PELLEGRINO, che lo rappresenta e difende, giusta
procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

2015
574

contro

MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITA’ CULTURALI E
DEL TURISMO, in persona del Ministro pro tempore,

1

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo
rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente contro

intimato

avverso la sentenza n. 467/2007 della CORTE
D’APPELLO di LECCE, depositata il 03/07/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 27/03/2015 dal Consigliere
Dott. SERGIO DI AMATO;
udito,

per

il

ricorrente,

l’Avvocato AMINA

L’ABBATE, con delega, che ha chiesto l’accoglimento
del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha
concluso per raccoglimento del primo motivo di
ricorso e rigetto del secondo motivo (cassazione

GUZZO PIETRO GIOVANNI;

sent. 2995/06).

2

Ritenuto in fatto e in diritto
– che, con sentenza del 3 luglio 2007, la Corte di
appello di Lecce, in riforma della sentenza in data 9
luglio 2004 del Tribunale della stessa città, rigettava la
domanda con cui Cosimo De Marco aveva chiesto la condanna

del Ministero per i beni e le attività culturali al
risarcimento dei danni cagionatigli dalla Sovrintendenza
archeologica della Puglia che, a seguito del rinvenimento
di reperti archeologici in un terreno di sua proprietà,
aveva dapprima ordinato la sospensione per 60 giorni dei
lavori di costruzione di un complesso edilizio ed aveva
dopo formulato continue diffide e minacce per il caso che i
lavori fossero proseguiti. In particolare, la Corte di
appello, affermato il difetto di giurisdizione dell’A.G.O.
sulla domanda dell’attore intesa ad ottenere il premio di
legge per i ritrovamenti, osservava che la Sovrintendenza,
dopo avere ordinato la sospensione dei lavori, a seguito
del ritrovamento di strutture antiche di rilevante
interesse archeologico, appartenenti al demanio dello
Stato, ai sensi dell’art. 44 della legge n. 1089/1939 non
aveva dato corso né all’occupazione dell’area né ad
ulteriori sospensioni, ma si era limitata a richiamare il
De Marco all’osservanza dei doveri che erano previsti
direttamente dalla legge (art. 11 della legge n. 1089/1939)
e che, anche in assenza di un provvedimento di vincolo, non
3

consentivano di adibire il terreno ad usi incompatibili con
il carattere statico ed artistico dei ritrovamenti ovvero
tali da recare pregiudizio alla loro conservazione ed
integrità. In tale contesto il richiamo della
Sovrintendenza al rispetto dell’integrità dei beni

ritrovati non costituiva né un atto di molestia né una
minaccia; inoltre, l’invito (e non l’ordine) a sottoporre
un nuovo progetto all’esame della Sovrintendenza non
integrava gli estremi dell’illecito aquiliano, considerato
che il De Marco era libero di disattendere l’invito,
assumendo ogni conseguente rischio, e che pertanto era
stata soltanto sua la decisione di sospendere completamente
i lavori. Mancavano, pertanto, sia il requisito
dell’antigiuridicità della condotta della P.A. sia quello
dell’ingiustizia del danno
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per
cassazione Cosimo De Marco, deducendo due motivi: 1) la
violazione dell’art. 112 c.p.c. per ultrapetizione poiché
la Corte di appello aveva affermato il difetto di
giurisdizione rispetto ad una domanda che non era stata
proposta; 2) la falsa applicazione degli artt. 11 e 20
della legge n. 1089/1939 poiché erroneamente la Corte di
appello aveva supposto che, dopo la scadenza della
sospensione dei lavori ed in assenza della notifica del
vincolo da parte del Ministero per il riconoscimento

4

dell’interesse storico, artistico o archeologico, sul
proprietario gravassero doveri in ordine alla conservazione
dei beni nonché l’onere di sottoporre alla Sovrintendenza i
progetti per le opere di qualsiasi genere. Pertanto, dopo
la scadenza del termine di sospensione erano da considerare

richiami

che gli inviti della

illegittimi sia i

Soprintendenza la quale aveva esaurito il suo compito
istituzionale ed aveva proceduto secondo uno schema
procedimentale del tutto diverso da quello delineato dal
legislatore;
– che il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e
del Turismo resiste con controricorso;
– che il ricorrente ha presentato memoria;

che il primo motivo è inammissibile in quanto

sprovvisto del quesito di diritto previsto dall’art. 366
c.p.c., applicabile

ratione temporis;

resta assorbita

l’ulteriore ragione di inammissibilità legata alla carenza
di interesse nel fare accertare la mancata proposizione di
una domanda per la quale era stato affermato il difetto di
giurisdizione, considerato che le spese del doppio grado di
merito sono state compensate e che, pertanto, nessuna
utilità pratica il ricorrente potrebbe trarre
dall’accoglimento del motivo;

che il secondo motivo è inammissibile per

inadeguatezza del quesito di diritto («dica codesta Ecc.ma
5

Corte se la violazione da parte della P.A. delle norme
procedimentali cui deve per legge attenersi, e comunque
delle regole di imparzialità, buona fede e correttezza,
alle quali la stessa è tenuta ad uniformarsi in base al
principio di legalità dell’azione amministrativa,

concretizzi una condotta antigiuridica, idonea a causare un
danno ingiusto, e come tale risarcibile»). Invero, come
chiarito più volte da questa Corte, il quesito di diritto,
richiesto dall’art. 366
temporis,

bis

c.p.c. applicabile

ratione

dovendo assolvere alla funzione di integrare il

punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico
e l’enunciazione del principio giuridico generale, non può
essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato
nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado
di poter comprendere dalla sua sola lettura, l’errore
asseritamene compito dal giudice di merito e la regola
applicabile (e plurimis Cass. s.u. 23 settembre 2013, n.
21672; Cass. 7 marzo 2012, n. 3530; Cass. 25 marzo 2009, n.
7197). Ne consegue che il quesito di diritto non può
consistere nell’affermazione di ovvi principi (nella specie
l’antigiuridicità della violazione da parte della P.A.
delle norme procedimentali e delle regole di imparzialità,
buona fede e correttezza), i quali da soli sono
insufficienti a chiarire l’errore di diritto imputato alla

e

6

sentenza impugnata, in relazione alla concreta controversia
e si limitano ad affermarne apoditticamente la sussistenza.
4

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo.

dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il
ricorrente al rimborso delle spese di lite liquidate in
6.000,00-, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27
marzo 2015.

P.Q.M.

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