Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9786 del 23/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 23/04/2010, (ud. 12/03/2010, dep. 23/04/2010), n.9786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – President – –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – rel. Consiglie – –

Dott. BERNARDI Sergio – Consiglie – –

Dott. BOTTA Raffaele – Consiglie – –

Dott. BERTUZZI Mario – Consiglie – –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 34155/06 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore p.t., domiciliato in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello

Stato che lo rappresenta e difende secondo la legge;

– ricorrente –

contro

Italpet Preforme S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t.,

elettivamente domiciliata in Roma, viale Paridi, n. 43, presso

l’Avvocato D’Ayala Valva Francesco, che la rappresenta e difende con

gli Avvocati Marongiu Gianni e Dominici Remo per procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 46/12/06 della Commissione tributaria

regionale del Piemonte, depositata in data 11.7.2006, notificata il

3.10.2006.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 12 marzo 2010 dal relatore Cons. Dott. Giuseppe Vito Antonio

Magno;

Uditi, per l’Agenzia ricorrente, l’Avvocato dello Stato Alessia

Urbani Neri e, per la controricorrente, l’Avvocato Remo Dominici;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Fuzio Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- Dati del processo.

1.1.- L’agenzia delle entrate ricorre, con quattro motivi illustrati da memoria, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe che – rigettando l’appello da essa proposto (e quello incidentale della contribuente, su questione preliminare) – conferma la sentenza n. 52/1/2004 della commissione tributaria provinciale di Verbania, che aveva accolto il ricorso della ditta Italpet Preforme S.p.A. avverso l’avviso di accertamento emesso, a seguito di verifiche compiute dalla guardia di finanza, dall’ufficio di Verbania dell’agenzia delle entrate nella parte in cui reca, fra l’altro e per quanto ancora interessa, la richiesta di pagamento della somma complessiva di L. 3.852.623.412 per IVA non pagata nell’anno d’imposta 1998, in relazione alla vendita di merce da essa prodotta e ceduta per la successiva esportazione a favore di utilizzatori stranieri.

1.2.-. La nominata ditta contribuente resiste mediante controricorso.

2.- Motivi del ricorso.

2.1.- Col primo motivo di censura l’agenzia ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 8; D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 58, convertito con modificazioni nella L. 29 ottobre 1993, n. 427, per avere la commissione regionale ritenuto applicabile al caso il regime di esenzione dall’IVA concesso alle operazioni cc.dd. “triangolari”, “senza avere accertato che si fosse realizzata la fattispecie costitutiva del diritto ad effettuare operazioni non imponibili”, e cioe’ che la cessione di beni fra operatori nazionali fosse stata preordinata ab origine all’esportazione nei confronti di un terzo, all’estero.

Il motivo si conclude col seguente quesito:

2.1.1.- “Se sia applicabile il regime di non imponibilita’ previsto, per le cc.dd. esportazioni triangolari dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 1, lett. a), nonche’ per le cc.dd. triangolazioni comunitarie dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 58, nel caso in cui sia stato stipulato un contratto traslativo per persona da nominare, senza che le parti originarie del contratto avessero ab origine preveduto che il destinatario della nomina dovesse essere un soggetto non residente in Italia”.

2.2.- Col secondo motivo, censura la sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8; D.L. n. 331 del 1993 cit., art. 58, per avere erroneamente interpretato la complessa fattispecie negoziale, in cui s’inserisce il rapporto commerciale oggetto della presente controversia, come essenzialmente triangolare, esente da IVA, anziche’ quadrangolare, per la presenza di un quarto contraente operante sul territorio nazionale; cosicche’, in definitiva, “La ricostruzione degli accordi contrattuali operata dalla Commissione regionale, secondo lo schema del contratto per persona da nominare e della successiva designazione del terzo, non si concilia… con il loro tenore letterale, con l’interpretazione complessiva delle clausole, con la comune intenzione delle parti, quale risultante anche dal loro comportamento successivo alla conclusione del contratto”.

Propone, conclusivamente, il seguente quesito:

2.2.1- “Se confligga con le regole di interpretazione dei negozi giuridici prevista dagli artt. 1362 e 1363 c.c., ed in particolare con il criterio letterale, con quelle dell’interpretazione complessiva delle clausole e con quello desumibile dalla comune intenzione dei contraenti, una qualificazione del negozio in termini di contratto per persona da nominare allorquando risulti che il terzo preteso nominato non assuma obblighi verso l’originario promittente, ma questi permangono in capo all’originario stipulante che, in concreto, provvede poi ad adempiervi”.

2.3.- Col terzo motivo di ricorso la sentenza e’ criticata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dalla contestata applicabilita’ del regime di esenzione, posto che la consegna dei beni, per contratto (Sale agreement dell’11.10.1997) avveniva non all’estero, ma in territorio nazionale, presso gli stabilimenti di produzione della merce.

2.4.- Col quarto motivo, la ricorrente rileva ancora violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.; D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 2, 3, 15 e 21, in relazione all’omessa fatturazione di somme (L. 19.263.117.060) versate da uno dei contraenti alla contribuente, “quale corrispettivo dell’obbligo di questa di mettere a disposizione un certo quantitativo di merce che la creditrice poteva ritirare entro una certa data, restando comunque obbligata al pagamento del prezzo in caso di mancato ritiro (cd. clausola Take or Pay)”; per avere, cioe’, interpretato tale obbligazione erroneamente, secondo l’agenzia – come clausola penale non soggetta ad IVA, in quanto “obbligazione sottoposta a condizione sospensiva negativa e potestativa… fattispecie complessa di cui l’ulteriore elemento e’ costituito dal comportamento del debitore in contrasto con quello da lui dovuto”; dovendosi invece intendere, secondo la ricorrente, che si tratti di un contratto di somministrazione di beni mobili determinati solo nel genere, da individuare alla consegna, imponibile ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, e, in caso di corrispettivo pagato senza ritiro della merce (in esecuzione della clausola take or pay), di remunerazione della “prestazione del fornitore che consiste nel produrre e tenere a disposizione dell’acquirente un certo quantitativo di prodotti”: prestazione d’opera o di servizio pure soggetta ad IVA, siccome rientrante nella generica dizione dell’art. 2, comma 1, stesso D.P.R.. Sono formulati, al termine, i seguenti quesiti:

2.4.1.- “se la clausola cd. di Take or Pay, apposta ad un contratto avente ad oggetto la fornitura periodica di beni mobili, in forza della quale l’acquirente e’ tenuto al pagamento della merce ancorche’ non la ritiri e questa resti nella disponibilita’ del fornitore, possa essere interpretata come clausola penale, ai sensi dell’art. 1382 c.c.”;

2.4.2.- “se costituisca operazione imponibile, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 2 e 3, la produzione e la messa a disposizione di un certo quantitativo di prodotti in favore di un terzo, che si obblighi al pagamento del corrispettivo, riservandosi di ritirare o meno i prodotti medesimi”.

3.- Decisione.

3.1.- Il secondo motivo di ricorso e’ fondato e deve essere accolto, entro i limiti di ragione di seguito espressi; gli altri tre motivi sono assorbiti. Previa cassazione della sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, la causa deve essere rinviata ad altra sezione della commissione tributaria regionale del Piemonte, che rinnovera’ il giudizio uniformandosi ai principi esposti al par.

4.4.4, e provvedera’ anche sulle spese di questo giudizio di cassazione.

4.- Motivi della decisione.

4.1.- Sono acquisiti al giudizio – per quanto interessa ai fini della decisione – i seguenti dati, non contestati fra le parti:

4.1.1.- una societa’ americana (Pepsico Inc.), avendo interesse alla creazione in Italia di un impianto industriale per la produzione di resine, con cui rifornire le aziende sparse sul territorio europeo che imbottigliano i suoi prodotti (o, se si vuole, i prodotti di altra ditta americana consociata, Pepsico World Trading Co. Inc.), ottenne, insieme con altri sponsorizzatori dell’iniziativa (Marubeni, Catisa, M&G), un finanziamento bancario utilizzato per costituire una societa’ ad hoc, l’attuale resistente Italpet Preforme S.p.A., che avrebbe prodotto le resine;

4.1.2.- i rapporti commerciali fra Pepsico, sponsorizzatori e societa’ produttrice furono regolati da contratti, costituenti un’unica, complessa fattispecie negoziale, denominata Big Dea, le cui pattuizioni salienti consistevano nelle seguenti obbligazioni:

Pepsico e gli altri sponsorizzatori s’impegnavano ad acquistare la quasi totalita’ della produzione (Sale and purchase agreement del 12.1.1995, con successivi subentri di altri obbligati all’acquisto nel 1997);

4.1.3.- tale produzione, acquistata da Pepsico direttamente o indirettamente, tramite altri coobbligati, era destinata principalmente ad imbottigliatori esteri di prodotti Pepsico;

l’impegno di acquisto totale del prodotto Italpet era protetto da una clausola di take or pay, in virtu’ della quale la merce non ritirata sarebbe stata ugualmente pagata alla produttrice; l’impegno contrattuale reciproco e globale assicurava, nel tempo, lo smaltimento dell’intera produzione Italpet che, in tal modo, era messa in grado di restituire l’originario finanziamento alla banca (Barclays di Londra), la quale si era ritenuta sufficientemente garantita da tale assetto contrattuale e, ancor piu’, dal fatto che l’iniziativa, l’utilita’ e l’impegno principale fossero di Pepsico Inc.: ammette, infatti, la resistente (contro-ricorso, pagg. 2 e ss.) che la suddetta sistemazione negoziale aveva “la funzione di assicurare ad Italpet, tramite l’impegno di PepsiCo Inc., la provvista finanziaria necessaria per la restituzione del finanziamento concesso dalla Barclays”, e che, con tutta evidenza, “la Banca londinese non avrebbe mai accettato di finanziare l’operazione in esame se tra gli sponsors del progetto non fosse figurata la PepsiCo, in quanto tale societa’, direttamente (attraverso l’impegno di acquistare o far acquistare le preforme) ed indirettamente (assicurando flussi costanti alla Italpet), fungeva da garante della restituzione dell’importo finanziato”; tanto che, anche quando in alcuni impegni subentro’ a Pepsico altra ditta (Cobarr S.p.A.) che, a far tempo dal 1998, acquisto’ tutta la produzione Italpet, per rivenderla sia agli imbottigliatori Pepsico sia a propri clienti, “Per garantire il finanziamento iniziale… PepsiCo Inc. rimase garante di Cobarr nei confronti di Italpet, essendo evidente che la Banca finanziatrice non avrebbe mai accettato la sostituzione di PepsiCo con una societa’ (la Cobarr, appunto) dotata di un rating di gran lunga inferiore”.

4.2.- L’interpretazione della complessa fattispecie negoziale, sopra sommariamente descritta, e’ indispensabile per la soluzione della presente controversia, il cui ultimo scopo e’ quello di stabilire se i rapporti commerciali, in virtu’ dei quali la produttrice Italpet esitava (o comunque vendeva, anche se non ritirata) la propria produzione, siano, o non siano, soggetti ad IVA. 4.2.1.- In particolare, si deve chiarire, interpretando i contratti vigenti fra le parti nel periodo considerato dall’atto impositivo in esame, quale fosse il ruolo di (i.e. quali obbligazioni facessero capo a) Pepsico, ideatrice e principale beneficiaria dell’iniziativa commerciale, ma anche garante insostituibile del buon esito di essa nei confronti della banca finanziatrice: se, cioe’, avesse conservato soltanto il ruolo di garante per la restituzione del mutuo industriale, come pretende la resistente, ovvero se tale obbligazione di garanzia – apparentemente estranea ai rapporti commerciati che fanno capo direttamente a Italpet, della cui soggezione a IVA qui si tratta – non sia concepibile, sul piano negoziale complessivo, al di fuori di una diretta cointeressenza di Pepsico nella catena contrattuale di vendite della produzione Italpet.

4.2.2.- Questo chiarimento e’ inevitabile perche’, a seconda che Pepsico sia o non sia inserita, con proprie obbligazioni contrattuali, nella catena delle vendite, l’operazione commerciale si conforma al modello quadrangolare (produttore – primo acquirente (Cobarr) – Pepsico – imbottigliatore straniero), con soggezione ad IVA delle vendite fatturate a Cobarr e della “nota di debito” emessa da Italpet in esecuzione della clausola take or pay; ovvero al modello triangolare (produttore – primo acquirente (Cobarr) – imbottigliatore straniero) comunitario o extracomunitario, in entrambi i casi esente da IVA; a patto che, in questa seconda ipotesi (modello triangolare), il movimento materiale delle merci avvenisse direttamente dallo stabilimento del produttore al destinatario finale estero o che, quanto meno, i rapporti contrattuali vigenti fra le parti autorizzino l’interprete a ritenere che la vendita era originariamente pattuita “in vista” della consegna al cliente straniero: condizioni necessarie per l’esenzione, secondo la giurisprudenza in materia (Cass. nn. 6114/2009, 21946/2007), poste in particolare rilievo dalla difesa dell’amministrazione nella memoria illustrativa.

4.3.- E’ necessario, pertanto, esaminare prioritariamente il secondo motivo di censura (par. 2.2), con cui l’amministrazione lamenta il malgoverno, da parte della commissione regionale, dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (artt. 1362 e 1363 c.c.) – censura ammissibile (Cass. nn. 2396/2002, 4032/1998) -, sostanzialmente per non avere proceduto all’interpretazione delle diverse clausole, singolarmente e complessivamente prese, tenendo conto del loro tenore letterale e della comune intenzione delle parti, desumibile in seconda battuta anche dal comportamento posteriore alla conclusione del contratto.

4.4.- La censura e’ fondata, nei seguenti limiti.

4.4.1.- Il giudicante a quo si sottrae alla doverosa interpretazione letterale delle clausole contrattuali, adducendone la difficolta’ (“una univoca esegesi e’ particolarmente difficoltosa, quasi impossibile”), sia perche’ stipulate fra soggetti di nazionalita’ diversa, utilizzando “formule idiomatiche specifiche di non facile comprensione” sia perche’ modificate successivamente nel tempo, con progressiva trasformazione della “rado originale”.

Il giudice, tuttavia, non puo’ sottrarsi al dovere d’interpretare il contratto a partire dal tenore letterale delle clausole che lo compongono, adducendo la difficolta’ “quasi” insormontabile dell’operazione; soprattutto quando, come nel caso, si tratti di strumenti redatti da professionisti indubbiamente esperti, per operazioni commerciali d’ingente valore: simile atteggiamento materializzato nel fatto che nessuna esegesi letterale delle singole pattuizioni interessanti il giudizio risulta compiuta – configura, sotto un primo profilo, violazione dell’art. 1362 c.c. che impone di “non limitarsi” al senso letterale delle parole: fermo restando, beninteso, che occorre partire da questo, secondo un principio di gradualismo gerarchico delle regole ermeneutiche (Cass. nn. 18180/2007, 12400/2007,26690/2006, 1940/1998), ed accedere ai criteri successivi soltanto dopo aver dimostrato, con adeguata motivazione, che esso tradisce la comune intenzione delle parti.

4.4.2.- La ricerca della “effettiva” intenzione delle parti, al di la’ delle espressioni letterali da loro usate (art. 1362 c.c., comma 1), costituisce un habitus dell’interprete; tale ricerca deve essere condotta, quando il risultato dell’esegesi letterale risulti insoddisfacente (giurispr. cit.), sia interpretando le clausole “le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto” (art. 1363 c.c.), sia valutando il comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto (art. 1362 c.c., comma 2).

Nella sentenza in esame manca del tutto il confronto fra gli elementi letterali dei singoli contratti, specialmente di quelli con cui Pepsico sostituiva altre ditte (prima M&G, poi Cobarr) a se stessa quale acquirente della produzione Italpet. In merito, il giudicante a quo si limita a notare che “Non esistono spiegazioni sugli eventuali, sottesi, motivi per i quali la PepsiCo avrebbe stipulato, a monte, un contratto per liberarsi dagli impegni di acquisto da Italpet per poi vincolarsi, a valle, con M&G alle stesse condizioni contrattuali precedenti… le parti non intendevano stipulare questo tipo di accordo i cui intenti sfuggono a qualsiasi comprensione in quanto, in estrema sintesi, introducevano senza pregio un nuovo passaggio di proprieta’”.

Questa impostazione viola il principio richiamato di gradualismo dei criteri ermeneutici legali, poiche’ l’accesso all’interpretazione “conservativa” del contratto (art. 1367 c.c.), criterio sussidiario, e’ consentito sol quando, nonostante lo sforzo interpretativo applicato anche al complesso delle clausole contrattuali, permanga un insuperabile dubbio (Cass. n. 7972/2007, 2520/2005, 19994/2004).

Nella specie, tale sforzo interpretativo, attraverso il confronto fra le diverse clausole ed i successivi contratti, non risulta compiuto, giacche’ quelli che appaiono “inspiegabili e ripetitivi passaggi di proprieta’” potrebbero essere giustificati – in ipotesi, che il giudice di merito e’ competente a verificare – dalla necessita’ di tutti i contraenti di conservare il finanziamento, e quindi di conservare Pepsico inserita a pieno titolo nella linea del sale and purchase, cui si riferisce, con rilevanza di tipo essenziale (v.

sopra, par. 4.1.2), la clausola take or pay; la cui valenza, sul piano interpretativo dei pattuiti passaggi successivi di proprieta’ della merce, la commissione regionale non ha affatto considerato pur annotando, ma senza trarre le conseguenze, che “La PepsiCo resta garante soltanto nei confronti dei finanziatori, del collocamento integrale dell’intera produzione Italpet mediante la clausola di Take or Pay che forma oggetto di un separato motivo del contendere”.

4.4.3.- L’unico criterio ermeneutico effettivamente utilizzato dalla commissione regionale – ma senza rispetto del principio di gradualismo – consiste nell’osservazione del comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto, laddove annota che “Le operazioni commerciali… hanno sempre seguito, di fatto, la…

ipotesi… della vendita delle preforme prodotte da Italpet direttamente ai Bottlers nominati da PepsiCo”; dal che ritiene “avvalorata l’ipotesi… di un contratto di vendita a persona da nominare ex art. 1404 c.c. e ss.”; o che, perfino, debba essere escluso “ogni coinvolgimento nelle operazioni commerciali della societa’ PepsiCo” (che pure avrebbe, quanto meno, il potere di designare il destinatario estero della merce attraverso le weekly preforms schedules).

4.4.4.- Al quesito formulato (par. 2.2.1) si deve quindi rispondere nel senso che la sentenza impugnata ha violato le regole d’interpretazione dei contratti stabilite dagli artt. 1362 e 1363 c.c., per non avere proceduto ad interpretazione letterale dei contratti, delle singole clausole significative per questo giudizio e delle stesse, le une per mezzo delle altre (con particolare riguardo a quelle che contemplano una delle societa’ partecipanti all’operazione quale potenziale acquirente dell’intera produzione, con clausola take or pay, e garante insostituibile nei confronti della banca finanziatrice), dando contezza in motivazione del risultato di tale indagine; e per avere utilizzato criteri sussidiari d’interpretazione (comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto, conservazione del contratto) senza aver dimostrato, con argomentazioni convincenti, l’impossibilita’ (non la mera difficolta’) di conoscere la comune intenzione delle parti attraverso l’interpretazione letterale delle clausole negoziali.

Tale e’ il principio di diritto cui dovra’ attenersi il giudice del rinvio.

4.4.5.- L’ulteriore richiesta contenuta nel motivo e nel quesito – di affermare che le parti non intesero stipulare un contratto di vendita per persona da nominare – deve essere disattesa, non appartenendo a questo giudice di legittimita’ il compito d’interpretare il contratto. Le relative questioni di merito sono proponibili al giudice del rinvio.

4.5.- Gli altri tre motivi di ricorso sono assorbiti.

4.5.1.- Il primo motivo (par, 2.1) espone un’ipotesi subordinata, di applicazione dell’IVA anche in caso di ritenuta sussistenza di un contratto di vendita a persona da nominare, quando le parti contraenti non avessero previsto ab origine che la persona da nominare sia residente all’estero.

Il fatto che la rilevanza di tale ipotesi subordinata dipende dall’esito del giudizio d’interpretazione, rimesso al giudice del rinvio, ne comporta l’assorbimento.

4.5.2.- Analogamente, il difetto di motivazione lamentato col terzo motivo (par. 2.3), circa il luogo di consegna dei beni in Italia o all’estero ai fini dell’applicazione, nel primo caso, delPIVA, introduce una tematica assorbita in questa sede, siccome dipendente dall’interpretazione del contratto che potrebbe, in ipotesi, risolversi nel senso della quadrangolazione, rendendola irrilevante.

4.5.3.- Le questioni costituenti oggetto del quarto motivo (par.

2.4), relative alla valenza giuridica della clausola take or pay, ed alle correlate conseguenze in materia di IVA sulle somme versate a tal titolo, sono – a parte i profili d’inammissibilita’ correlati alla proposta d’interpretazione nel merito – ugualmente subordinate alla soluzione dei problemi interpretativi posti dalla complessiva negoziazione (Big Deal) intercorsa fra i partecipanti all’operazione commerciale, di cui tale clausola – in quanto significativa del ruolo e dell’importanza contrattuale di Pepsico – e’ parte essenziale.

La natura di essa – se clausola penale non soggetta a IVA, ovvero corrispettivo, imponibile, di un contratto misto (di fornitura di beni e, per la parte di merce non ritirata, di prestazione onerosa di servizio) – puo’ essere chiarita, infatti, solo attraverso la corretta esegesi, che dovra’ essere compiuta, delle pattuizioni che la concernono, alla ricerca della comune intenzione delle parti.

Allo stato, tali questioni sono quindi assorbite.

4.6.- Quanto precede giustifica la decisione, nei termini indicati al par. 3.1..

5.- Dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri tre motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per te spese di questo giudizio di cassazione, ad altra sezione della commissione tributaria regionale del Piemonte.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile – Tributaria, il 12 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2010

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