Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9785 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 26/05/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 26/05/2020), n.9785

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12430-2014 proposto da:

F.F., + ALTRI OMESSI tutti elettivamente domiciliati in

ROMA VIA CONCA D’ORO N. 184/190 presso lo studio dell’Avvocato

MAURIZIO DISCEPOLO che li rappresenta e difende;

– ricorrenti principali –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente incidentale –

e nei confronti di:

G.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 898/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 12/11/2013 R.G.N. 182/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/11/2019 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

MIUR, rigetto del ricorso dei lavoratori;

udito l’Avvocato GABRIELLA D’AVANZO;

udito l’Avvocato GILDA MARTIRE per delega verbale Avvocato Maurizio

Discepolo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’ Appello di Ancona ha riformato parzialmente la sentenza del Tribunale di Camerino, che aveva respinto tutte le domande formulate dagli attuali ricorrenti nei confronti del Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca, ed ha riconosciuto il diritto di F.F., + ALTRI OMESSI, docenti assunti con plurimi contratti a tempo determinato in successione, a percepire gli aumenti retributivi conseguenti all’anzianità maturata nella stessa misura prevista per il personale immesso stabilmente nei ruoli dell’amministrazione.

2. Il giudice d’appello ha invece ritenuto infondati i motivi di gravame con i quali gli stessi appellanti e gli insegnanti di religione B.G., + ALTRI OMESSI avevano censurato il capo della sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda principale di nullità della clausola di apposizione del termine e di conversione dei rapporti in contratti di lavoro a tempo indeterminato. Ha rilevato al riguardo che il divieto di conversione imposto dal D.Lgs. n. 165 del 2001 prevale sulla disciplina generale del contratto a tempo determinato ed è conforme al diritto dell’Unione in quanto la direttiva 1999/70/CE richiede solo che l’abuso sia sanzionato e non osta ad un regime differenziato che valorizzi la natura pubblica del datore di lavoro.

3. Per la cassazione della sentenza hanno proposto separati ricorsi il MIUR ed i litisconsorti indicati in epigrafe ed entrambe le impugnazioni sono state affidate ad un unico motivo di censura, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente occorre rilevare che “nei procedimenti con pluralità di parti, una volta avvenuta ad istanza di una di esse la notificazione del ricorso per cassazione, le altre parti, alle quali il ricorso sia stato notificato, debbono proporre, a pena di decadenza, i loro eventuali ricorsi avverso la medesima sentenza nello stesso procedimento e, perciò, nella forma del ricorso incidentale, ai sensi dell’art. 371 c.p.c., in relazione all’art. 333 cit. codice, salva la possibilità della conversione del ricorso comunque presentato in ricorso incidentale – e conseguente riunione ai sensi dell’art. 335 c.p.c. – qualora risulti proposto entro i quaranta giorni dalla notificazione del primo ricorso principale, posto che in tale ipotesi, in assenza di una espressa indicazione di essenzialità dell’osservanza delle forme del ricorso incidentale, si ravvisa l’idoneità del secondo ricorso a raggiungere lo scopo” (Cass. n. 25954/2013 e negli stessi termini, fra le più recenti, Cass. S.U. n. 24876/2017).

Nel caso di specie, poichè il ricorso dei docenti è stato notificato all’Avvocatura dello Stato il 12 maggio 2014 mentre la notifica del ricorso del Ministero si è perfezionata solo il successivo 15 maggio, quest’ultima impugnazione va qualificata ricorso incidentale, in quanto proposta nel rispetto del termine di cui agli artt. 371 e 370 c.p.c..

2. Sempre in via preliminare deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale, formulata dalla difesa del Ministero nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c. e ribadita nel corso dell’udienza di discussione.

Questa Corte ha già affermato che, ai sensi del combinato disposto dell’art. 149 bis c.p.c. e del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 ter l’indirizzo del destinatario al quale va trasmessa la copia informatica dell’atto è, per i soggetti i cui recapiti sono inseriti nel Registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della Giustizia (Reginde), unicamente quello risultante da tale registro, con la conseguenza che è affetta da nullità ex art. 160 c.p.c. la notifica eseguita presso un diverso indirizzo di posta elettronica del destinatario (Cass. n. 11574/2018). Non è ravvisabile, invece, un’inesistenza della notificazione, che si configura nei soli casi indicati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 14916/2016, e, pertanto, la nullità può essere sanata o mediante rinnovazione della notifica o dalla costituzione in giudizio del soggetto evocato, verificatasi nella fattispecie perchè l’Avvocatura non si è limitata ad eccepire, infondatamente, l’inammissibilità del ricorso avversario, ma ne ha anche domandato in via subordinata il rigetto, argomentando sulla sua infondatezza.

3. Il ricorso principale denuncia, con un unico motivo, la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della direttiva del Consiglio CE 1999/70 del 28/6/1999 nonchè degli artt. 1, 2 e 5 dell’accordo quadro CES-UNICE-CEEP allegato alla direttiva; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1, 4, art. 5, comma 4 bis, artt. 10 e 11 nonchè del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 anche in relazione alla direttiva comunitaria; violazione degli artt. 3, 33 comma 4 e 34 Cost”. Sostengono i ricorrenti principali che il risarcimento del danno previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 anche nella interpretazione elastica fornita da quella giurisprudenza che ha utilizzato ai fini della liquidazione il criterio indicato dall’art. 18 dello Statuto, non costituisce una misura adeguata ed effettiva idonea a prevenire l’abuso nella reiterazione del contratto a termine. Aggiungono che non è giustificata la disparità di trattamento fra lavoratori del settore pubblico e quelli del settore privato e pertanto, sulla base di detti principi, si deve ritenere che il contrasto, quanto alla conversione, tra il D.Lgs. n. 165 del 2001 e quello n. 368 del 2001 debba essere risolto dando prevalenza a quest’ultimo. Rilevano infine che nel settore scolastico non è ostativo alla trasformazione del rapporto l’art. 97 Cost. in quanto le immissioni in ruolo ed i conferimenti delle supplenze temporanee avvengono sulla base delle medesime graduatorie.

4. Il ricorrente incidentale si duole della “violazione e falsa applicazione della L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4 e del D.M. 13 giugno 2007, anche in combinato con la L. n. 312 del 1980, art. 53 e del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 9, comma 18 come convertito dalla L. 12 luglio 2011, n. 106; violazione della clausola 4 e della clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE e dell’art. 1173 c.c.”. Il Ministero assume che nell’ambito del settore scolastico la reiterazione delle supplenze non può essere ritenuta abusiva perchè risponde a specifiche esigenze che costituiscono ragioni obiettive ai sensi della normativa Eurounitaria. Aggiunge che la L. n. 312 del 1980, art. 53 non è applicabile alle supplenze e richiama la disciplina dettata dal c.c.n.l., rilevando che la stessa si giustifica in relazione alle peculiarità dei rapporti a termine nel settore scolastico, ove ogni contratto è distinto dai precedenti, presuppone una procedura amministrativa e pertanto non può essere “inanellato agli altri” al fine di configurare una vera e propria anzianità.

5. Il ricorso principale, seppure ammissibile, è infondato, perchè volto unicamente a censurare il capo della sentenza impugnata che ha escluso la possibilità di convertire i contratti a termine in rapporti a tempo indeterminato, nell’ipotesi in cui la clausola di durata sia affetta da nullità.

La decisione gravata è conforme all’orientamento, da tempo consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte, e del quale è stata fatta specifica applicazione in tema di reclutamento del personale scolastico (punti da 69 a 75 della sentenza n. 22552/2016, ribaditi in numerose successive pronunce dello stesso tenore), secondo cui nell’impiego pubblico contrattualizzato la conversione del rapporto è impedita, senza eccezione alcuna, dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 che, in tutte le versioni succedutesi nel tempo, ha sempre previsto che “in ogni caso la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione”.

Si tratta di un principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 5072 del 2016 ed in relazione al quale sia la Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 89/2003) che la Corte di Giustizia (sentenza 7.9.2006 causa C-53/04 Marrosu e Sardino) da tempo hanno escluso profili di illegittimità costituzionale e di contrarietà al diritto dell’Unione.

5.1. L’orientamento ha trovato ulteriore avallo nella più recente giurisprudenza del Giudice delle leggi (Corte Cost. n. 248/2018) e della Corte di Lussemburgo (Corte di Giustizia 7.3.2018 in causa C-494/16, Santoro), che, da un lato, ha ribadito l’impossibilità per tutto il settore pubblico di conversione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato; dall’altro ha riaffermato che la clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE non osta ad una normativa nazionale che vieta la trasformazione del rapporto, purchè sia prevista altra misura adeguata ed effettiva, finalizzata ad evitare e se del caso a sanzionare il ricorso abusivo alla reiterazione del contratto a termine.

5.2. Nè si può sostenere che il divieto di conversione sarebbe privo di copertura costituzionale nella fattispecie, perchè l’assunto con contratto a termine, nell’ambito scolastico, viene individuato sulla base delle medesime graduatorie permanenti, poi divenute ad esaurimento, delle quali l’amministrazione si avvale per l’instaurazione dei rapporti a tempo indeterminato.

Valgano al riguardo le medesime considerazioni già espresse da questa Corte con la sentenza n. 8671 del 2019, con la quale si è evidenziato che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, seppure tradizionalmente ricondotto al principio sancito dall’art. 97 Cost., comma 4, si ricollega anche alla necessità di assicurare il buon andamento della Pubblica Amministrazione, che sarebbe pregiudicato qualora si consentisse l’immissione stabile nei ruoli a prescindere dall’effettivo fabbisogno del personale e dalla previa programmazione delle assunzioni, indispensabili per garantire efficienza ed economicità della gestione dell’ente pubblico. Si è pertanto affermato che la regula iuris dettata dal legislatore ordinario non ammette eccezioni e trova applicazione sia nell’ipotesi in cui per l’assunzione a tempo indeterminato non sia richiesto il concorso pubblico, sia qualora il contratto a termine sia stato stipulato con soggetto selezionato all’esito di procedura concorsuale.

5.3. Correttamente, pertanto, la Corte territoriale, ha ritenuto assorbente l’infondatezza della domanda di conversione ed ha omesso di statuire sulla legittimità o meno dei termini apposti al contratto, atteso che nella fattispecie i ricorrenti non avevano formulato, neppure in via subordinata, un’autonoma domanda di risarcimento del danno (cfr. le conclusioni riproposte con il ricorso per cassazione e nella memoria ex art. 378 c.p.c.).

Al riguardo occorre rammentare che il principio della “ragione più liquida” consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art. 276 c.p.c., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, valorizzate dall’art. 111 Cost., con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre (Cass. n. 11458/2018, Cass. n. 17214/2016, Cass. n. 23160/2015, Cass. S.U. n. 9936/2014).

6. E’ infondato anche il ricorso incidentale, posto che la sentenza impugnata è conforme all’orientamento, consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte a partire dalle sentenze nn. 22558 e 23868 del 2016, secondo cui “nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicchè vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato.”.

6.1. All’affermazione del principio di diritto, richiamato in numerose pronunce successive (cfr. fra le tante Cass. nn. 28635, 26356, 26353, 6323 del 2018 e ribadito in motivazione dalla recente Cass. n. 31149 del 2019 in tema di ricostruzione della carriera del personale docente assunto con contratti a termine e successivamente immesso in ruolo), la Corte è pervenuta sulla base delle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia, la quale da tempo ha affermato che:

a) la clausola 4 dell’Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicchè la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte Giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06, Impact; 13.9.2007, causa C-307/05, Del Cerro Alonso; 8.9.2011, causa C-177/10 Rosado Santana);

b) il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137, n. 5 del Trattato (oggi 153, n. 5), “non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorchè proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Cerro Alonso, cit., punto 42);

c) le maggiorazioni retributive che derivano dall’anzianità di servizio del lavoratore, costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata);

d) a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, nè rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perchè la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55; negli stessi termini Corte di Giustizia 5.6.2018, in causa C677/16, Montero Mateos, punto 57 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi).

6.2. I richiamati principi sono stati tutti ribaditi dalla Corte di Lussemburgo nella motivazione della recente sentenza del 20.6.2019 in causa C- 72/18, Ustariz Arostegui, secondo cui “la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che riserva il beneficio di un’integrazione salariale agli insegnanti assunti nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in quanto funzionari di ruolo, con esclusione, in particolare, degli insegnanti assunti a tempo determinato come impiegati amministrativi a contratto, se il compimento di un determinato periodo di servizio costituisce l’unica condizione per la concessione di tale integrazione salariale.”.

6.3. Non si ravvisano, pertanto, ragioni che possano indurre il Collegio a rimeditare l’orientamento già espresso, al quale va data continuità, perchè anche in questa sede il Ministero sovrappone e confonde il principio di non discriminazione, previsto dalla clausola 4 dell’Accordo quadro,con il divieto di abusare della reiterazione del contratto a termine, oggetto della disciplina dettata dalla clausola 5 dello stesso Accordo.

Che i due piani debbano, invece, essere tenuti distinti emerge già dalla lettura della clausola 1, con la quale il legislatore Eurounitario ha indicato gli obiettivi della direttiva, volta, da un lato a “migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione”; dall’altro a “creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”.

L’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato “condizioni di impiego” che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato “comparabile”, sussiste, quindi, anche a fronte della legittima apposizione del termine al contratto, giacchè detto obbligo è attuazione, nell’ambito della disciplina del rapporto a termine, del principio della parità di trattamento e del divieto di discriminazione che costituiscono “norme di diritto sociale dell’Unione di particolare importanza, di cui ogni lavoratore deve usufruire in quanto prescrizioni minime di tutela” (Corte di Giustizia 9.7.2015, causa C-177/14, Regojo Dans, punto 32).

6.5. Tutte le considerazioni svolte nel motivo di ricorso prescindono dalle caratteristiche intrinseche delle mansioni e delle funzioni esercitate, e fanno leva sulla natura non di ruolo del rapporto di impiego e sulla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, già ritenuti dalla Corte di Giustizia non idonei a giustificare la diversità di trattamento (si rimanda alle sentenze richiamate nella lettera d del punto 6.1), nonchè sulle modalità di reclutamento del personale nel settore scolastico e sulle esigenze che il sistema mira ad assicurare, ossia sulle ragioni oggettive che legittimano il ricorso al contratto a tempo determinato e che rilevano ai sensi della clausola 5 dell’Accordo quadro, da non confondere, per quanto sopra si è già detto, con le ragioni richiamate nella clausola 4, che attengono, invece, alle condizioni di lavoro che contraddistinguono i due tipi di rapporto in comparazione.

7. In via conclusiva entrambi i ricorsi devono essere rigettati, con conseguente integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità, in ragione della soccombenza reciproca oltre che della complessità delle questioni trattate.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto, quanto ai ricorrenti principali, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato. Non sussistono, invece, le richiamate condizioni per il ricorrente incidentale perchè la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass. S.U. n. 9938/2014; Cass. n. 1778/2016; Cass. n. 28250/2017).

P.Q.M.

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa integralmente fra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei docenti ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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