Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9780 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. lav., 26/05/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 26/05/2020), n.9780

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13884-2014 proposto da:

CENTRO REGIONALE S. ALESSIO MARGHERITA DI SAVOIA PER I CIECHI, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA CONCILIAZIONE 44, presso lo studio

dell’avvocato MICHEL MARTONE, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI

ANTONELLI 50, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE TRIVELLINI,

che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5864/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/11/2013 r.g.n. 2490/2009.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 13 febbraio 2013 la Corte d’appello di Roma accoglie parzialmente l’appello di F.A. avverso la sentenza del locale Tribunale n. 6060/2008 e: 1) in parziale riforma di tale sentenza, condanna il Centro Regionale S. Alessio-Margherita di Savoia per Ciechi (d’ora in poi: S. Alessio) al pagamento in favore dell’appellante di tre annualità di retribuzione lorda, di cui all’art. 8 del contratto individuale e dell’indennità sostitutiva di preavviso, oltre accessori di legge; 2) conferma per il resto la sentenza appellata, la quale aveva accolto il ricorso proposto dal F. contro il Centro S. Alessio per la parte relativa alle differenze retributive (tredicesima mensilità e indennità di risultato), oltre accessori di legge, condannando il Centro stesso al relativo pagamento, ma aveva respinto le altre domande del F.;

che la Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il F. – non dipendente del Centro S. Alessio – è stato nominato dirigente del Dipartimento delle Risorse umane ed economico-finanziarie del Centro con Delib. dell’allora Commissario regionale 23 agosto 2004, n. 128 con decorrenza dall’1 settembre 2004 e per una durata quinquennale ma “comunque nel limite del mandato dell’organo politico”;

b) nel successivo contratto individuale all’art. 8 era stabilito, fra l’altro, che in caso di recesso anticipato rispetto alla naturale scadenza del contratto, il dirigente avrebbe avuto diritto al pagamento di un indennizzo pari a tre volte la retribuzione annua lorda, salvo il maggior danno mentre in caso di revoca per una delle precise ipotesi indicate nel contratto, tutte connesse sostanzialmente a mancanze del dirigente – oppure nel caso di interruzione del rapporto da parte del dirigente questi avrebbe avuto diritto esclusivamente al pagamento del compenso maturato in proporzione alla prestazione resa, senza altri emolumenti eccezion fatta per il TFR;

c) con comunicazione del 14 giugno 2006 – da considerare di recesso anticipato perchè non corrispondente ad alcuna delle ipotesi di revoca concordate – il F. è stato invitato a presentarsi presso la Direzione generale del Centro per ritirare gli effetti personali e concordare le modalità e i tempi per la riscossione degli emolumenti di fine rapporto, in conseguenza della fine del mandato politico sia del Presidente della Giunta regionale del Lazio sia del Commissario regionale dell’Ente che erano in carica al momento dell’attribuzione dell’incarico dirigenziale al F.;

d) come si è detto, nella delibera di conferimento dell’incarico era prevista una clausola secondo cui comunque l’incarico stesso avrebbe dovuto avere una durata circoscritta a quella del “mandato dell’organo politico”, ma tale clausola va letta alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nelle successive sentenze n. 161 del 2008 e n. 103 del 2007, in materia di spoils system;

e) in base a tali principi si deve ritenere che la revoca dalle funzioni conferite al dirigente può conseguire soltanto ad una accertata responsabilità dirigenziale in presenza dei presupposti determinati e all’esito di un procedimento di garanzia puntualmente disciplinato onde consentire al dirigente di esercitare, in contraddittorio con l’Amministrazione, il proprio diritto di difesa;

f) nella specie la clausola di cui si discute poteva consentire la cessazione anticipata dell’incarico anche per la cessazione del mandato dell’organo politico, ma solo previo procedimento di garanzia del tipo indicato, in mancanza di un simile procedimento la comunicazione della cessazione automatica per l’esclusivo motivo dell’esaurimento del mandato dell’organo politico, effettuata dopo circa un anno dalla nomina, è da configurare come una revoca anticipata e illegittima perchè emessa al di fuori delle specifiche ipotesi di revoca previste nel contratto;

g) al F. spettano quindi l’indennizzo per recesso anticipato (in base alla chiara e univoca lettura dell’art. 8 del contratto individuale), parametrato alla retribuzione annua lorda comprensiva della tredicesima mensilità, da determinare in base al precedente art. 5 nonchè l’indennità sostitutiva del preavviso nella misura di 90 giorni come previsto sempre nell’art. 8 cit.;

h) non meritano, invece, accoglimento le ulteriori domande risarcitorie, come ritenuto anche dal primo Giudice;

che avverso tale sentenza il Centro Regionale S. Alessio-Margherita di Savoia per Ciechi (d’ora in poi: S. Alessio) propone ricorso affidato a due motivi, al quale oppone difese F.A., con controricorso;

che entrambe parti depositano anche memorie ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è articolato in due motivi;

che con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c., anche in combinato disposto con l’art. 1324 c.c., con riferimento alla deliberazione del Centro Regionale S. Alessio 23 agosto 2004, n. 128, all’art. 8 del contratto individuale accessivo del 26 agosto 2004 e alla comunicazione del Centro Regionale del 14 giugno 2006, sostenendosi che l’equiparazione effettuata dalla Corte d’appello della suddetta comunicazione di cessazione automatica dell’incarico prima della scadenza quinquennale ad una ipotesi di recesso anticipato sarebbe il frutto della violazione delle disposizioni codicistiche in materia di interpretazione degli atti negoziali;

che con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 110 (d’ora in poi: TUEL), dell’art. 13 del regolamento organizzativo del Centro Regionale S. Alessio nonchè del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19 in relazione alla Delib. del Centro Regionale 23 agosto 2004, n. 128 sempre con riguardo alla statuizione cui si riferisce il primo motivo;

che nella propria memoria il Centro Regionale, replicando ad apposite avversarie eccezioni di inammissibilità del ricorso, sostiene di avere adeguatamente rispettato il principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, di aver indicato in modo specifico il capo della sentenza impugnata (unico per entrambi i motivi), di essere destituito di fondamento l’assunto della novità delle censure visto che esse hanno loro origine nella sentenza di appello che è stata la prima sfavorevole al Centro Regionale;

che i due motivi di ricorso – da trattare insieme data la loro intima connessione – sono inammissibili, per le ragioni di seguito esposte;

che, in primo luogo, come riconosce lo stesso Centro S. Alessio nella propria memoria i rilievi mossi alla sentenza impugnata non sono mai stati dedotti nei precedenti gradi di merito ed essi si riferiscono a questioni giuridiche che implicano accertamenti in fatto che, come tali, non possono essere proposte per la prima volta nel giudizio di cassazione, senza che possa valere in contrario il fatto che la necessità di proporre tali questioni sia nata “solo dalla lettura della motivazione della sentenza di appello, la prima sfavorevole nei confronti del Centro”, in quanto nel processo civile, e in particolare nel rito del lavoro, per effetto del regime giuridico delle preclusioni, il thema decidendum va definito nel giudizio di primo grado ed è modificabile soltanto nei limiti e nei termini a tal fine previsti;

che come ribadito da Cass. SU 26 luglio 2018, n. 19874 la suddetta conclusione trova riscontro in costanti e condivisi orientamenti di questa Corte secondo cui:

a) nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (vedi, per tutte: Cass. 16 aprile 2014, n. 2190; Cass. 26 marzo 2012, n. 4787; Cass. 30 marzo 2000, n. 3881; Cass. 9 maggio 2000, n. 5845; Cass. 5 giugno 2003, n. 8993; Cass. 21 novembre 1995, n. 12020);

b) pertanto, qualora una determinata questione giuridica che implichi un accertamento in fatto e che non risulti in alcun modo trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, deve denunciarne l’omessa pronuncia indicando, in conformità con il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in quale atto del giudizio di merito abbia già dedotto tale questione, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità e la ritualità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la relativa censura (tra le tante: Cass. 29 gennaio 2003, n. 1273; Cass. 2 aprile 2004 n. 6542, Cass. 21 febbraio 2006 n. 3664 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20518; Cass. 16 aprile 2014, n. 2190; Cass. 23 settembre 2016, n. 18719; Cass. SU 26 luglio 2018, n. 19874; Cass. 24 gennaio 2019, n. 2038);

che, nella specie, tale principio non è stato osservato con riguardo alla Delib. Centro Regionale S. Alessio 23 agosto 2004, n. 128 al contratto individuale accessivo del 26 agosto 2004, alla comunicazione del Centro Regionale del 14 giugno 2006, al regolamento organizzativo del Centro Regionale S. Alessio e agli altri atti e i documenti richiamati nel ricorso;

che, per le anzidette ragioni, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;

che si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5500,00 (cinquemilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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