Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9777 del 18/04/2017

Cassazione civile, sez. VI, 18/04/2017, (ud. 23/03/2017, dep.18/04/2017),  n. 9777

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13147/2016 proposto da:

L.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G GALATI

98, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO ROMANO, rappresentata e

difesa dagli avvocati ENRICO ROMANO, PIETRO ROCCO DI TORREPADULA e

VITTORIA LAGANI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10500/31/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 23/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 23/03/2017 dal Consigliere Dott. GIULIA IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L.A. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 10500/31/2015, depositata in data 23/11/15, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione del silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria ad istanza della contribuente di rimborso dell’eccedenza IRPEF versata dal datore di lavoro sull’indennità corrisposta come incentivo all’esodo in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, avvenuta nel 2007, su adesione al piano di esodo della Arin del 5 novembre 1996, in data antecedente all’entrata in vigore della 1.248/2006 (4 luglio 2006) – è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso della contribuente.

In particolare, i giudici d’appello, nell’accogliere il gravame dell’Agenzia delle Entrate, hanno sostenuto che la contribuente non aveva provato di avere aderito ad alcun programma di incentivazione all’esodo anteriormente all’entrata in vigore del D.L. n. 223 del 2006.

A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in Camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; la ricorrente ha depositato memoria ed il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta, con il primo motivo, la nullità della sentenza per motivazione illogica e contraddittoria ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, avendo i giudici di appello omesso di esaminare tutta la documentazione allegata a sostegno della domanda. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la “omessa, falsa ed errata applicazione della L. n. 248 del 2006, art. 23″.

2. La prima censura è inammissibile, non essendo, da un lato, enucleato alcun fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso dai giudici della C.T.R. e, dall’altro lato, non ricorrendo vizi di motivazione omessa o del tutto apparente. La giurisprudenza dì questo giudice di legittimità ha affermato che si ha motivazione omessa o apparente quando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, non procede ad una loro disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (v. Cass. n. 16736/2007).

Ciò non ricorre nel caso in esame, laddove la C.T.R., sia pure in maniera sintetica, ha ritenuto di dovere affermare che alcuna prova fosse stata fornita in ordine all’adesione da parte della contribuente ad un piano di esodo per esubero del personale.

Si tratta di una motivazione che non può considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita le ragioni della decisione. I profili di apoditticità e contraddittorietà della motivazione, censurati coi motivo in esame, dunque, quand’anche sussistenti, non vizierebbero tale motivazione in modo così radicale da renderla meramente apparente, escludendone l’idoneità ad assolvere alla funzione cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (cfr. Cass. 5315/2015).

3. La seconda censura è infondata.

La L. 4 agosto 2006, n. 248, nel convertire il D.L. n. 223 del 2006, mantenne l’applicazione dell’abrogato art. 19, comma 4 bis del T.U. imposte sui redditi approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, alle somme corrisposte in relazione a rapporti di lavoro cessati prima della data di entrata in vigore del presente decreto nonchè con riferimento alle somme corrisposte in relazione a rapporti di lavoro cessati in attuazione di atti o di accordi, aventi data certa, anteriori alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Dallo stesso tenore letterale della norma è agevole rilevare che la disciplina previgente più favorevole continua a trovare applicazione in due distinti casi: a) con riferimento alle somme corrisposte in relazione a rapporti di lavoro cessati entro il tre luglio 2006 (ovvero prima dell’entrata in vigore del decreto legge); b) con riferimento alle somme corrisposte in relazione a rapporti di lavoro cessati, logicamente dopo la suddetta data di entrata in vigore, in attuazione di atti o di accordi, aventi data certa, anteriori alla data del quattro luglio.

Questa Corte (Cass. 2931/2009; Cass. 13834/2014) ha precisato, con riguardo al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 17, comma 4 bis T.U.I.R. (aggiunto dal D.Lgs. n, 314 del 1997, art. 5, comma 1, lett. d, n. 2), che riduce del 50% l’aliquota dell’imposta applicata sulle somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori, in presenza di determinati requisiti, che trattasi di “norma eccezionale, di strettissima interpretazione, in quanto pone una deroga al principio di capacità contributiva, ai limiti della incostituzionalità”, cosicchè la prova della sussistenza dei requisiti richiesti per beneficiare dell’agevolazione deve essere fornita in maniera rigorosissima da parte di chi la invoca. Pertanto, rispetto ai fisco, non rilevano gli accordi intervenuti tra datore di lavoro e lavoratore dipendente (o tra le rispettive rappresentanze sindacali), tendenti a qualificare anche la indennità di preavviso come incentivo all’esodo. Tali accordi, infatti, possono essere dettati da intenti elusivi (a costo zero per il datore di lavoro, ma vantaggiosi per il lavoratore dipendente), specialmente quando, come nella specie, il comportamento tenuto in concreto dal datore di lavoro (distinta corresponsione delle due indennità, assoggettate una al prelievo ordinario, previsto per il TFR, e l’altra al differente prelievo agevolato) sia in contrasto con le sue dichiarazioni formali. Si tratta di accordi che riguardano esclusivamente le parti e non rilevano nei rapporti con il fisco/terzo.

3. Nella specie, il Giudice di appello ha negato il diritto del contribuente all’agevolazione fiscale, dando atto che, a fronte della risoluzione consensuale del rapporto alla data del 2007, agli atti non vi era riscontro che la contribuente avesse aderito ad un piano di esodo antecedente alle modifiche introdotte dalla Legge di Conversione n. 248 del 2006 (Cass. 23165/2016).

4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Atteso il consolidarsi della giurisprudenza di legittimità solo in epoca recente, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte respinge il ricorso. Dichiara compensate integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2017

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