Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9776 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. un., 26/05/2020, (ud. 18/02/2020, dep. 26/05/2020), n.9776

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di sez. –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33975-2018 proposto da:

F.T., in proprio e nella qualità di erede di

R.I. (anche R.I.C.), elettivamente domiciliata

in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato ROSSELLA GIAMOGANTE;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI VIBO VALENTIA, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PRIMO ACCIARESI 15, presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCO LANATA’, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIUSEPPE MAMMONE;

– controricorrente –

e contro

REGIONE CALABRIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2285/2018 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 17/04/2018;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/02/2020 dal Consigliere Dott. MAURO DI MARZIO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. – A seguito dell’annullamento del vincolo preordinato all’esproprio di un proprio terreno di complessivi 3788 metri quadri nel Comune di Vibo Valentia, nonchè, successivamente, del decreto di occupazione di urgenza e di quello di esproprio del medesimo fondo, le proprietarie F.T. e R.I. hanno agito nei confronti della Regione Calabria e del Comune di Vibo Valentia, dinanzi al Tar Calabria-Catanzaro, per la restituzione del bene oggetto del procedimento espropriativo – domanda, questa, poi rinunciata in conseguenza dell’avvenuta restituzione effettuata dopo l’introduzione del giudizio – e per il risarcimento del danno, in tesi cagionato, secondo quanto sostenuto dalle originarie attrici, dalla limitazione e/o privazione delle loro facoltà proprietarie a far data dal 9 novembre 1998, data di imposizione del vincolo preordinato all’esproprio; dalla perdita dell’ampiezza temporale di esercizio delle facoltà edificatorie per l’intero arco temporale indicato; dal verificarsi, in conseguenza della vicenda, di un pregiudizio non patrimoniale sotto specie di danno morale e danno esistenziale non biologico; dall’insorgenza di un debito per le prestazioni professionali, giudiziali e stragiudiziali, volte all’annullamento dei provvedimenti menzionati.

2. – Nella contumacia della Regione Calabria, il Comune di Vibo Valentia ha resistito alla domanda.

3. – Con sentenza del 15 luglio 2015 il Tar Calabria-Catanzaro, dichiarata l’improcedibilità della domanda di restituzione del terreno e di quella di risarcimento del danno per la definitiva perdita del bene, in considerazione della sua intervenuta restituzione, ha rigettato la domanda risarcitoria e posto le spese di lite a carico del Comune, liquidate in Euro 2.000,00.

4. – Contro la sentenza F.T. e R.I. hanno proposto appello, su cui il Consiglio di Stato, nel contraddittorio con il Comune di Vibo Valentia e nella contumacia della Regione Calabria, ha pronunciato sentenza non definitiva del 17 aprile 2018 che, disposta la sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 77, comma 4 codice del processo amministrativo, limitatamente ad uno dei motivi proposti, ha per il resto respinto l’impugnazione, riservando alla sentenza definitiva la decisione sulle spese del giudizio.

4.1. – Ha ritenuto il Consiglio di Stato che le appellanti avessero denunciato:

i) la nullità della sentenza impugnata per violazione della immodificabilità del collegio decidente;

ii) la nullità della sentenza per violazione del principio del giusto processo, sia perchè il Tar aveva prima disposto una consulenza tecnica per la quantificazione del danno, ma poi aveva deciso senza che la consulenza fosse stata espletata e senza chiarire perchè la causa fosse matura per la decisione pur in difetto dello svolgimento dell’accertamento già disposto, sia perchè non aveva consentito alle parti, in occasione dell’udienza che le appellanti ritenevano fissata per l’incombente istruttorio, di spiegare pienamente le proprie difese;

iii) la nullità della sentenza per avere il Tar omesso di revocare l’ordinanza che aveva disposto la consulenza tecnica, senza spiegare neanche in sentenza perchè il suo svolgimento fosse stato ritenuto inutile o superfluo;

iv) la mera apparenza e la insanabile contraddittorietà della motivazione della sentenza che, da un lato, aveva dichiarato l’improcedibilità della domanda di restituzione del terreno e risarcimento per la perdita del bene in considerazione della sua restituzione in corso di causa, e, dall’altro lato, aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno per illegittima occupazione del fondo, sulla considerazione che l’immissione in possesso da parte dell’amministrazione comunale non aveva mai avuto effettivamente luogo, tanto più che il Tar non si era avveduto di documenti da cui risultava il verificarsi dell’immissione in possesso, ed aveva invece valorizzato documenti privi di fede privilegiata (una Det. n. 47 del 2007 ed una nota numero 37021 del 2011), poichè contenenti una valutazione e non un’attestazione di quanto avvenuto in presenza del pubblico ufficiale o da lui compiuto, oltre a due fotografie prive di efficacia probatoria;

v) l’errore di diritto commesso dal Tar nell’escludere il risarcimento del danno da perdita di chance per il mancato sfruttamento edificatorio del fondo e dei relativi frutti, perchè: a) la sentenza del Tar del 2007 che aveva annullato il vincolo preordinato all’esproprio non era esecutiva; b) la perdita della chances edificatoria andrebbe riferita alla perdita della destinazione urbanistica durante tutto il tempo in cui il fondo è stato illegittimamente occupato; c) la richiesta del permesso di costruire del 10 agosto 2012 era finalizzata soltanto a fornire al giudice un criterio di giudizio nella liquidazione del danno; d) era dimostrato che il fondo era antecedentemente edificabile; e) il rilascio del permesso di costruire era effettivamente avvenuto in data 8 ottobre 2014, ma già prima poteva considerarsi maturato il silenzio assenso; f) la stessa natura esecutiva della sentenza a monte era prova dell’avvenuto illegittimo spossessamento ad opera dell’amministrazione comunale;

vi) l’errore commesso dal Tar nel rigettare la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale;

vii) l’incongruità della liquidazione delle spese di lite a carico del Comune di Vibo Valentia, condannato a pagare Euro 2000,00 oltre accessori di legge.

4.2. – A fondamento della decisione il Consiglio di Stato ha posto in evidenza:

i) l’insussistenza della violazione della immodificabilità del collegio decidente;

ii) l’infondatezza del secondo e terzo motivo poichè le parti erano state avvertite che l’udienza all’esito della quale era stata pronunciata la sentenza di primo grado era fissata per la discussione sulle istanze istruttorie di parte ricorrente e sul merito, senza che il giudice dovesse preavvertire le parti della volontà di adottare la decisione anche in mancanza della consulenza tecnica, che d’altronde era stata fatta oggetto di revoca sostanziale con la sentenza;

iii) la sussistenza dei presupposti per la sospensione in ordine alla decisione sul quarto motivo, concernente il rigetto della domanda di risarcimento del danno da illegittima occupazione, in ragione della proposizione di querela di falso contro i documenti in base ai quali il primo giudice aveva escluso che l’immissione in possesso dell’amministrazione avesse avuto concretamente luogo;

iv) l’infondatezza del quinto motivo in mancanza della prova circa la volontà delle appellanti di edificare sul fondo in questione all’epoca dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, circa la disponibilità dei mezzi per far fronte all’edificazione, circa le modalità di sfruttamento economico dell’immobile una volta edificato, sussistendo per contro la controprova fattuale che le stesse appellanti non avessero in animo alcuna attività edificatoria, avendo esse espressamente dichiarato che il permesso di costruire richiesto dopo la restituzione del bene aveva fini soltanto “determinativi di un valore venale aggiuntivo, rispetto a quello della mera area edificabile”, rimanendo così confermato il mero intento speculativo della censura;

v) l’infondatezza del sesto motivo in applicazione del D.P.R. n. n. 327 del 2001, art. 42 bis e dal momento che le appellanti non avevano allegato e provato alcunchè in termini oggettivi, positivamente verificabili e riscontrabili, in ordine al verificarsi del danno non patrimoniale di cui avevano chiesto il risarcimento;

vi) l’infondatezza del settimo motivo, attesa la sostanziale congruità della liquidazione effettuata, tenuto conto che il primo giudice aveva del tutto correttamente contemperato la soccombenza virtuale del Comune di Vibo Valentia quanto alle domande dichiarate improcedibili con quella sostanziale delle ricorrenti sulle ulteriori domande risarcitorie.

5. – Per la cassazione della sentenza F.T., per sè e quale erede di R.I., ha proposto ricorso per un motivo, suddiviso in nove paragrafi ed illustrato da memoria.

6. – Il Comune di Vibo Valentia ha resistito con controricorso, deducendo anzitutto l’inammissibilità del ricorso poichè proposto al di fuori dei limiti fissati dall’art. 362 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

7. – Il motivo di ricorso, articolato in nove paragrafi, si può così riassumere.

7.1.- Nel suo complesso il motivo denuncia abdicazione alla potestas iudicandi, rifiuto di giustizia ed esercizio del potere con una non-decisione giurisdizionale, in quanto sentenza nulla per difetto assoluto di motivazione, violazione del combinato disposto dell’art. 111 Cost., artt. 362 e 110 c.p.c., artt. 1, 2, 4, art. 88, comma 2, lett. d) e art. 105, comma 1 c.p.a. e dei principi generali di cui all’art. 156 c.p.c., comma 2.

Si sostiene, come introduzione del successivo svolgimento della articolata censura, che l’esercizio del potere giurisdizionale con una sentenza nulla, per difetto assoluto di motivazione, quale quella emessa dal Consiglio di Stato qui gravata, quale “non decisione giurisdizionale”, “atto di puro arbitrio”, “atto di abdicazione alla potestas iudicandi”, sarebbe sindacabile da queste Sezioni Unite ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, dell’art. 110 c.p.a. e dell’art. 362 c.p.c. (pagine 1012).

7.2. – Si denuncia quindi omesso esame e/o motivazione assente o non pertinente rispetto al profilo autonomo di censura, di cui al motivo n. 2 capitolo secondo dell’atto di appello, della violazione delle garanzie difensive di cui all’art. 73, comma 3 c.p.a..

Lamenta la ricorrente l’omessa pronuncia da parte del Consiglio di Stato sulla violazione delle garanzie difensive di cui all’art. 73 c.p.a. per il fatto che il Tar Calabria-Catanzaro, nel rilevare d’ufficio la non necessità ed attualità della consulenza tecnica d’ufficio, non espletata, non avrebbe concesso alle parti termini a difesa. Il Consiglio di Stato si sarebbe cioè limitato ad affermare che le parti, nel pieno esercizio delle proprie prerogative difensive, ben avrebbero potuto porre in essere ogni attività ritenuta utile ai sensi dell’art. 73 c.p.a., come il deposito di documenti e memorie difensive, e che esse, pur presenti tramite il proprio difensore all’udienza pubblica del 10 luglio 2015, neppure avevano chiesto rinvio per la concessione di termini a difesa: ma la sentenza impugnata non spiegherebbe come e quando le medesime parti avrebbero potuto sapere che il giudice intendeva decidere la causa senza espletare la consulenza tecnica d’ufficio, per effetto della sostanziale revoca di essa (pagine 12-14).

7.3. – Si denuncia ancora omesso esame ed omesso pronunciamento sul motivo n. 3.1 Capitolo terzo dell’appello.

Secondo la ricorrente, pur avendo riassunto i motivi posti a fondamento dell’appello, il Consiglio di Stato non si sarebbe pronunciato su detto motivo, relativo alla censura della sentenza emessa dal Tar Calabria-Catanzaro per motivazione apparente per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili (pagine 14-18).

7.4. – Si denuncia ulteriormente: “Sospensione del giudizio: nullità della motivazione ed abdicazione della potestas iudicandi. Omesso esame ed omesso pronunciamento sui motivi di appello nn. 3.2, 3.3, 3.4, 3.5 Capitolo Terzo”.

Secondo la ricorrente, il Consiglio di Stato, in violazione dell’art. 77, comma 2 c.p.a., disposizione che non prevede alcun automatismo tra la proposizione della querela di falso e la sospensione del giudizio dinanzi al giudice amministrativo, avrebbe con motivazione meramente apparente e/o assertiva sospeso il giudizio sui punti nn. 3.2, 3.3, 3.4, 3.5 Capitolo Terzo dell’atto di appello, concernenti la domanda risarcitoria della ricorrente, fino alla definizione del giudizio di falso, introdotto dalla stessa ricorrente in pendenza del giudizio di appello dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia. Nel corpo del paragrafo si lamenta l’erronea interpretazione della documentazione presente agli atti, la quale smentirebbe la tesi secondo cui il fondo in contestazione fosse rimasto sempre nella disponibilità delle proprietarie, nonchè la stessa natura fidefacente dei documenti oggetto del giudizio di falso. Si evidenzia ancora l’errore del convincimento circa la natura auto-esecutiva della originaria sentenza di annullamento del vincolo preordinato all’esproprio (pagine 18-22).

7.5. – Si prosegue sotto la rubrica: “Il pronunciamento sulle altre domande risarcitorie, nonostante la disposta sospensione: motivazione incomprensibile ed apodittica”.

Lamenta la ricorrente che il Consiglio di Stato, una volta, sospeso il giudizio in attesa della pronuncia del Tribunale di Vibo Valentia sulla querela di falso, non poteva decidere le altre domande risarcitorie (diverse da quelle relative al danno dà liquidarsi con il calcolo dei frutti civili sul valore venale dei beni incisi, spossessati ed espropriati), mentre avrebbe pronunciato la decisione, dando in sentenza, in relazione all’indipendenza delle ulteriori domande risarcitorie, una motivazione incomprensibile ed apodittica (pag. 23).

7.6. – Si prosegue sotto la rubrica: “Omesso esame ed omesso pronunciamento sulla domanda di risarcimento in forma specifica ex art. 2058 c.c. dello spatium temporis sottratto dei 13 anni, 7 mesi e 24 giorni”. La doglianza riguarda l’omessa pronuncia sul motivo d’appello concernente la domanda di risarcimento in forma specifica ex art. 2058 c.c. dell’arco temporale sottratto per effetto del procedimento di esproprio e dell’apposizione dei vincoli di inedificabilità sul terreno (pag. 24 del ricorso).

7.7. – Si prosegue sotto la rubrica: “Motivazione palesemente non pertinente rispetto alle domande risarcitorie effettivamente azionate. Omesso esame della censura di cui al Motivo n. 3.5, Capitolo Terzo, quinto luogo, dell’atto d’appello”.

Secondo la ricorrente, il rigetto sul motivo concernente il mancato accoglimento della domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, per il mancato sfruttamento edificatorio del fondo e dei correlativi frutti civili, sarebbe stato pronunciato su domanda mai proposta, avendo essa ricorrente proposto in primo e secondo grado una domanda del tutto diversa da quella decisa, ovvero di richiesta di risarcimento per impossibilità di trarre utilità economica di uso e di scambio per effetto dell’azione illecita della pubblica amministrazione. La sentenza del Consiglio di Stato non avrebbe cioè saputo intendere il reale contenuto della domanda risarcitoria azionata, prospettata come grave limitazione e/o perdita delle facoltà proprietarie, tra le quali quella edificatoria, e ciò perchè il bene dal 9 novembre 1998 non era stato più edificabile, e perchè dal 2 luglio 2004 non era stato più in proprietà delle originarie ricorrenti. Dunque la sentenza impugnata sarebbe assistita da motivazione non pertinente, oltre che apodittica ed incomprensibile (pagine 24-31).

7.8. – Lamenta ancora la ricorrente: “Rigetto della domanda risarcitoria del danno non patrimoniale: motivazione apodittica ed omesso pronunciamento”.

Secondo la ricorrente il Consiglio di Stato avrebbe fatto mal governo del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42 bis con riguardo al mancato risarcimento del danno non patrimoniale, considerato risarcibile ex se, ma solo in presenza della procedura sanante ivi prevista. In particolare viene lamentato il mancato scrutinio della questione di legittimità costituzionale della disposizione in esame. Si lamenta inoltre che il Consiglio di Stato non abbia dato conto della non rilevanza delle sentenze della CEDU, in materia di risarcibilità del danno patrimoniale e non patrimoniale, nel caso in cui la pubblica amministrazione si sia ingerita illecitamente ed arbitrariamente nel godimento e nella disponibilità dei beni privati. Inoltre il Consiglio di Stato avrebbe inspiegabilmente negato l’avvenuta allegazione e prova del danno non patrimoniale (pagine 31-35).

7.9. – L’ulteriore paragrafo è rubricato: “Soccombenza virtuale sulla domanda restitutoria del bene espropriato – Rigetto del motivo relativo alla incongrua liquidazione delle spese di soccombenza virtuale: motivazione congetturale ed inammissibilmente contraddittoria”.

Osserva la ricorrente che il Consiglio di Stato, nel rigettare il motivo di censura relativo all’incongrua liquidazione delle spese del giudizio di primo grado, avrebbe fornito una motivazione soltanto congetturale e contraddittoria, sottolineando, da un lato, la proporzionalità delle stesse rispetto all’attività e, dall’altro lato, la soccombenza delle ricorrenti rispetto ad una parte delle domande risarcitorie azionate (pagine 35-37).

7.10. – Si giunge infine alle: “Considerazioni Conclusive: la nullità della sentenza nella sua globalità”.

In quest’ultimo paragrafo la ricorrente, fatta una breve rassegna delle censure svolte, attacca nuovamente la sentenza nella sua globalità, qualificandola ancora una volta come “sentenza con motivazione nulla”, “non sentenza”, “atto di puro arbitrio”, “non decisione giurisdizionale” (pagine 37-39).

8. – Il Comune di Vibo Valentia ha evidenziato che la F.T., in proprio e quale erede della R.I., nelle more della notifica del ricorso per cassazione, ha altresì proposto ricorso per revocazione dinanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, con cui ha chiesto la revocazione della medesima sentenza, ai sensi dell’art. 106 c.p.a. e dell’art. 395 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, sostanzialmente valorizzando i medesimi motivi di censura.

RITENUTO CHE:

9. – La proposizione del ricorso per revocazione non influisce sulla decisione rimessa a queste Sezioni Unite.

Difatti, il testo vigente dell’art. 398 c.p.c., u.c. ha escluso che la proposizione della revocazione possa automaticamente sospendere il termine per proporre il ricorso per cassazione o il relativo procedimento, richiedendosi allo scopo un apposito provvedimento del giudice innanzi al quale è stata proposta la revocazione: ne consegue che, in mancanza di tale provvedimento, i due giudizi procedono in via autonoma, potendo il ricorso per cassazione essere discusso anche prima che giunga la decisione sull’istanza di sospensione ex art. 398 c.p.c., u.c. (Cass. 11 novembre 2005, n. 22902).

10. – Il ricorso è inammissibile.

Come affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 6 del 2018, l’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, deve essere riferito alle sole ipotesi: a) di difetto assoluto di giurisdizione, quando il giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento); b) di difetto assoluto di giurisdizione, quando il giudice speciale la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); c) di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici; ne consegue che il controllo di giurisdizione non può estendersi al sindacato di sentenze cui pur si contesti di essere abnormi o anomale ovvero di essere incorse in uno stravolgimento delle norme di riferimento (Cass., Sez. Un., 11 novembre 2019, n. 29082; Cass., Sez. Un., 20 marzo 2019, n. 7926).

Con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione avverso le sentenze del Consiglio di Stato, secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza citata, non possono essere dunque censurati, a maggior ragione, errores in procedendo o in iudicando, il cui accertamento rientra nell’ambito del sindacato afferente i limiti interni della giurisdizione, trattandosi di violazioni endoprocessuali rilevabili in ogni tipo di giudizio e non inerenti all’essenza della giurisdizione o allo sconfinamento dai limiti esterni di essa, ma solo al modo in cui essa è stata esercitata (Cass., Sez. Un., 3 agosto 2018, n. 20529).

In tale prospettiva è stato ad esempio giudicato inammissibile il ricorso in cassazione per eccesso di potere giurisdizionale avverso sentenza pronunciata dal giudice amministrativo, qualora la contestazione investa modalità di esercizio del potere giurisdizionale (Cass., Sez. Un., 11 novembre 2019, n. 29082; Cass., Sez. Un., 31 ottobre 2019, n. 28214), ovvero avverso sentenze con cui il Consiglio di Stato abbia disapplicato una norma di legge interna per contrasto con norma unionale contenuta in una direttiva Europea non immediatamente esecutiva (Cass., Sez. Un., 5 dicembre 2019, n. 31758), senza che possa attribuirsi rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio derivante dal contrasto della decisione adottata dal giudice amministrativo con la disciplina applicabile, essendo tale valutazione, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriera di incertezze (Cass., Sez. Un., 11 novembre 2019, n. 29085).

Ebbene, nel caso di specie, sotto il velo della denuncia di eccesso di potere giurisdizionale, cui devono ricondursi i prospettati “abdicazione alla potestas iudicandi, rifiuto di giustizia ed esercizio del potere con una non-decisione giurisdizionale”, la ricorrente non fa in realtà valere altro che pretesi errores in procedendo ed in iudicando, che il Consiglio di Stato avrebbe commesso. Alla sentenza impugnata, difatti, è addebitato:

– di aver adottato una decisione radicalmente carente di motivazione, il che, seppure ricorresse una delle ipotesi di anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, in veste di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053), determinerebbe un error in procedendo riconducibile alla previsione del numero 4 dell’art. 360 c.p.c., non certo una violazione dei limiti della giurisdizione;

– di aver omesso di pronunciare su taluni dei motivi proposti, il che darebbe luogo ancora una volta ad un error in procedendo riconducibile alla violazione dell’art. 112 c.p.c.;

– di aver mal interpretato la domanda qualificata come volta al risarcimento del danno “da perdita di chance per il mancato sfruttamento edificatorio del fondo”, il che potrebbe entro ristretti limiti integrare gli estremi di un error in procedendo, giacchè, almeno in linea di principio, l’interpretazione della domanda è compito riservato in via esclusiva al giudice di merito e come tale sottratta finanche al sindacato di legittimità (p. es. Cass. 20 luglio 2004, n. 13426);

– di aver mal giudicato della decisione adottata dal primo giudice di avviare la causa a decisione in mancanza dell’espletamento della consulenza tecnica prima disposta, e senza stimolare il preventivo contraddittorio sulla revoca del relativo provvedimento omissivo, il che configura, in astratto (ma solo in astratto: v. Cass. 23 marzo 1977, n. 1134), nuovamente un error in procedendo (e per meglio dire un error in iudicando de iure procedendi) per violazione dell’art. 73 c.p.a.;

– di aver errato a disporre la sospensione del processo per pregiudizialità (processo di falso peraltro introdotto dalla stessa ricorrente la quale sostiene qui che i documenti impugnati di falso non avessero efficacia fidefacente), il che configurerebbe ancora un error in procedendo;

– di aver fatto mal governo del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42 bis erroneamente ritenendo poi che il danno non patrimoniale non fosse stato allegato e provato, il che configurerebbe di nuovo un errore di giudizio;

– di aver motivato in modo del tutto in appagante sulla liquidazione delle spese del giudizio di primo grado, il che configurerebbe, tutt’al più, un’ipotesi di mancanza di motivazione riconducibile alla previsione di cui si è già detto.

11. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente Comune di Vibo Valentia, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA