Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9774 del 04/05/2011

Cassazione civile sez. II, 04/05/2011, (ud. 02/02/2011, dep. 04/05/2011), n.9774

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3478/2009 proposto da:

PROVINCIA DI SALERNO (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

GRACCHI 151, presso lo studio dell’avvocato ANGELO SEGRETO,

rappresentato e difeso dagli avvocati CASELLA Angelo, MARSICANO

CARMINE;

– ricorrente –

e contro

P.M. (OMISSIS);

– intimata –

nonchè da:

P.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, V. PALERMO 43, presso lo studio dell’avvocato FIMIANI NICOLA,

rappresenta e difesa dall’avvocato CACCIATORE FORTUNATO;

– c/ric. e ricorrente incidentale –

contro

PROVINCIA DI SALERNO (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 945/2008 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 27/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

02/02/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCIANTE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso, previa riunione per il rigetto di

entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 16 giugno 1999 la Provincia di Salerno citò davanti al Tribunale di Salerno P.M., chiedendo che fosse condannata, ai sensi dell’art. 975 c.c., al rimborso dei miglioramenti apportati a un complesso immobiliare urbano, ceduto in enfiteusi all’attrice dai danti causa della convenuta nel 1959, ma devoluto per inadempimento ai concedenti con sentenza del 31 ottobre 1996 del Tribunale di Salerno, passata in giudicato. La convenuta contestò la fondatezza della domanda e in via riconvenzionale chiese la condanna della Provincia di Salerno al risarcimento dei danni conseguenti sia al deprezzamento dei beni, anche per l’avvenuta eliminazione fisica di alcune loro porzioni, sia alla mancata loro restituzione, nonchè al pagamento dei canoni non corrisposti dal 1995, con i relativi interessi.

All’esito dell’istruzione della causa, con sentenza del 16 luglio 2005 il Tribunale, in parziale accoglimento delle domande proposte dall’una parte e dall’altra, determinò in 56.810,00 Euro il rimborso dovuto da P.M. alla Provincia di Salerno per i miglioramenti apportati alla porzione immobiliare restituita nell’agosto 2002 e condannò l’attrice a pagare alla convenuta 1.270,36 Euro come risarcimento per l’occupazione di quella stessa porzione immobiliare dal novembre 1996 al rilascio.

Impugnata da P.M., la decisione è stata riformata dalla Corte d’appello di Salerno, che con sentenza del 27 ottobre 2008 ha escluso ogni diritto della Provincia di Salerno ai rimborsi richiesti e l’ha condannata al pagamento di 377.530,00 Euro, oltre agli interessi con decorrenza dalla domanda, come ulteriore risarcimento dei danni subiti dall’originaria convenuta in seguito all’avvenuta demolizione di gran parte del fabbricato (del quale era stato restituito soltanto un locale di deposito, in cattive condizioni di conservazione) e alla sua trasformazione in una struttura museale, con conseguente sottoposizione ai vincoli di cui al D.L. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 5, ed espropriazione di fatto del bene, essendo impossibile la reintegrazione della proprietaria nei suoi diritti.

Contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Provincia di Salerno, in base a due motivi. P.M. si è costituita con controricorso, formulando a sua volta un motivo di impugnazione in via incidentale; ha altresì presentato una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In quanto proposte contro la stessa sentenza, le due impugnazioni vengono riunite in un solo processo, in applicazione dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale la Provincia di Salerno si duole di “violazione degli artt. 99, 112, 184 e 189 c.p.c., nonchè dei principi in tema di inammissibilità di domanda nuova”, lamentando che la Corte d’appello erroneamente ha disconosciuto che P.M., nel corso del giudizio di primo grado, aveva modificato la propria riconvenzionale: la iniziale richiesta, avente per oggetto il “deprezzamento subito dalla consistenza immobiliare oggetto del contratto di enfiteusi a seguito dei lavori di sistemazione di alcune parti della stessa”, era stata sostituita in sede di precisazione delle conclusioni in quella del “risarcimento dei danni derivanti dall’impossibilità di riconsegna della consistenza immobiliare nell’originaria conformazione e destinazione d’uso”, con immutazione sia della causa petendi da responsabilità contrattuale (per l’inosservanza degli obblighi di conservazione della rei substantia gravanti sull’enfiteuta) in responsabilità aquiliana (per l’irreversibile trasformazione del bene e la conseguente sua “occupazione appropriativa”) sia del petitum (da indennizzo per i presunti deterioramenti in risarcimento per la perdita della cosa). La censura va disattesa, in primo luogo perchè è stata incongruamente prospettata, anche nella formulazione del quesito che ne conclude l’illustrazione, soltanto sotto il profilo di un error in procedendo, mentre in realtà si verte sull’individuazione del titolo e dell’estensione della domanda di cui si tratta – la quale comunque era stata proposta – e quindi sulla sua interpretazione, insindacabile in questa sede se non per l’aspetto dell’omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione.

Da tali vizi, peraltro, la sentenza impugnata risulta immune, poichè il giudice a quo ha dato conto in maniera esauriente e logicamente coerente delle ragioni della decisione sul punto, osservando che la diversità delle espressioni impiegate da P.M. non escludeva l’identità della sua “istanza diretta ad ottenere il risarcimento dei danni per la eliminazione di gran parte della proprietà … concessa in enfiteusi, per la quale vi era sentenza definitiva che imponeva la restituzione”.

Neppure quindi è fondato l’assunto della ricorrente, secondo cui la propria responsabilità sarebbe stata affermata per un titolo extracontrattuale. Il richiamo della Corte d’appello alle locuzioni “illecito esproprio di fatto” e “alienazione forzata”, che erano contenute nella consulenza tecnica di ufficio, non denota che con la sentenza impugnata l’immobile sia stato reputato oggetto di una “accessione invertita”. Si tratta di termini utilizzati ai fini della quantificazione del danno, per segnalare il carattere ormai definitivo dell’inadempimento, da parte della Provincia di Salerno, all’obbligo di restituire quella parte dell’immobile (tranne la porzione riconsegnata) che a causa dei lavori di trasformazione era stata sostanzialmente soppressa. Proprio la riaffermazione di tale obbligo, nonchè la menzione della sua derivazione dalla sentenza di devoluzione, dimostra che la Corte d’appello non ha deciso nel senso che l’impossibilità della restituzione del bene derivasse da una “occupazione appropriativa”: questo impedimento avrebbe dovuto semmai essere fatto valere dalla Provincia di Salerno nel precedente giudizio, il quale è stato definito con un giudicato che di tale impedimento implica invece l’insussistenza.

Ne discende che non può essere accolto neppure il secondo motivo del ricorso principale, con il quale viene denunciata la “violazione degli artt. 1223, 1226 e 2056 c.c., art. 963 c.c., comma 5, nonchè dei principi in tema di liquidazione del danno – vizio motivazionale dell’impugnata sentenza in relazione all’entità e alla liquidazione del danno (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”: si sostiene che il pregiudizio da risarcire, essendosi ritenuto che l’immobile concesso in enfiteusi era stato oggetto di “accessione invertita”, avrebbe dovuto essere quantificato nella misura corrispondente all’indennità di espropriazione e commisurato al valore della nuda proprietà del bene all’epoca della sua irreversibile trasformazione in sede museale. Anche questi assunti contrastano con il giudicato – dal quale la sentenza impugnata non si è discostata – formatosi in esito al giudizio di devoluzione: giudicato che esclude l’avvenuta estinzione de facto del rapporto contrattuale di enfiteusi e l’acquisizione del bene da parte della Provincia di Salerno, in conseguenza delle opere edilizie da essa eseguite.

Con il motivo addotto a sostegno del ricorso incidentale P. M. lamenta che la Corte d’appello è incorsa in “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1223, 1224, 2043 e 2056 c.c. e art. 112 c.p.c.) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, per aver omesso di adeguare al valore monetario al momento della decisione il danno al cui risarcimento è stata condannata la Provincia di Salerno.

La doglianza è fondata.

La Corte d’appello ha rapportato il danno da risarcire al valore del bene in questione, considerandolo ormai definitivamente perduto per P.M.. Lo ha tuttavia quantificato nell’ammontare indicato a suo tempo dal consulente tecnico di ufficio, senza verificare se tale importo al momento della decisione – al quale avrebbe dovuto essere attualizzato, trattandosi di debito di valore – fosse eventualmente variato, in considerazione dell’andamento del mercato immobiliare.

Rigettato pertanto il ricorso principale e accolto l’incidentale, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altro giudice, che sì designa nella Corte d’appello di Napoli, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il principale; accoglie l’incidentale; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2011

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