Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9771 del 14/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 14/04/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 14/04/2021), n.9771

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13714-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

NIKA GROUP SRL ITALIA IN LIQUIDAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 342/6/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA SICILIA, depositata il 23/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

GIOVANNI CONTI.

 

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

La CTR Sicilia, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto l’appello proposto dalla Nika group S.r.l. Italia avverso la sentenza di primo grado che aveva ritenuto legittimo l’accertamento per IVA e altri tributi relativo all’anno 2003, ritenendo che l’atto fosse stato emesso in violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in relazione al decorso di soli 26 giorni fra la notifica del pvc – avvenuta il 16.11.2009 – e l’emissione dell’atto stesso- avvenuta il 12.12.2009 -, in assenza di eventuali situazioni di urgenza, neppure invocate dall’ufficio. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

La parte intimata non si è costituita.

Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate censura la violazione dell’art. 112 c.p.c.. La CTR avrebbe omesso di esaminare la fondatezza nel merito delle censure esposte dall’Ufficio rispetto al contenuto dell’appello proposto dalla società contribuente, ritenendo di dovere esaminare unicamente la questione relativa alla violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7. La CTR non avrebbe considerato che ai procedimenti relativi ad accertamenti parziali non si applicherebbe il principio fissato dall’art. 12, comma 7 cit., in ogni caso non pertinente rispetto alla tipologia di accertamento eseguito sulla base di mere acquisizioni documentali e comunque non avendo la società fornito elementi idonei ad offrire la c.d. prova di resistenza necessaria ai fini di comprovare la lesione del contraddittorio in ambito di tributi armonizzati.

Il primo motivo è infondato.

La CTR, nell’esaminare la censura correlata alla violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, ha omesso l’esame delle questioni relative alla legittimità nel merito dell’accertamento, una volta riscontrata, a suo giudizio, la lesione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, che, inficiando la ritualità dell’accertamento per lesione del contraddittorio c.d. endoprocedimentale, avrebbe determinato la nullità dell’accertamento secondo i principi fissati dalle sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 24823/2015, pure richiamata dalla ricorrente.

Nel far ciò, pertanto, il giudice di appello non è incorso in alcuna omessa pronunzia.

Il secondo motivo di ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.

Questa Corte ha già avuto modo di chiarire, in una vicenda nella quale era in discussione la lesione del principio del contraddittorio con riguardo ai c.d. accertamenti parziali di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, che “le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato il seguente principio di diritto (Cass. n. 24823/2015): “Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, ‘obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentali, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”-Cass. n. 10903/2016-.

Cass. n. 10903/2016, nel medesimo contesto, rammentò che “le Sezioni Unite hanno quindi precisato le garanzie fissate nella L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, trovano applicazione esclusivamente “in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente, valutati il dato testuale della rubrica (“Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”) e, soprattutto, quello della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 1 (coniugato con la circostanza che l’intera disciplina contenuta nella disposizione risulta palesemente calibrata sulle esigenze di tutela del contribuente in relazione alle visite ispettive subite in loco), che, esplicitamente, si riferisce agli “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”, ad operazioni, cioè, che costituiscono categorie d’intervento accertativo dell’Amministrazione tipizzate ed inequivocabilmente identificabili, in base alle indicazioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 1, richiamato, in tema di imposte dirette dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, e, in materia di imposta di registro, dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 53 bis, ipotesi tutte “caratterizzate dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca, quivi, di elementi valutativi a lui sfavorevoli: peculiarità, che specificamente giustifica, quale contro bilanciamento, il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali. Nella specie, non è contestato, in questa sede, che si verteva in ipotesi di controllo fiscale eseguito a seguito di acquisizione documentale, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 41 bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e non, in ogni caso, a seguito di “accesso, ispezione, verifica presso il domicilio del contribuente. Con riguardo poi all’IVA, il contribuente deve allegare che, a fronte del mancato rispetto del principio del contraddittorio endoprocedimentale, effettivamente “in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso”.

Orbene, ai principi richiamati nel precedente appena rammentato non risulta che la CTR si sia uniformata.

Ed invero, non è emerso dalla sentenza impugnata se l’acquisizione della documentazione operata dall’ufficio sia stata effettuata previo accesso nei locali dell’impresa ovvero mediante acquisizione su richiesta di documenti avanzata senza intrusione nei locali anzidetti.

Tale accertamento assume carattere decisivo rispetto all’esistenza o meno di una lesione del contraddittorio endoprocedimentale, proprio alla stregua dei principi espressi dalle Sezioni Unite civili sopra ricordata e dalla giurisprudenza successiva.

Se, infatti, detta acquisizione fosse avvenuta previo accesso ai locali ne sarebbe dovuto conseguire che doveva trovare applicazione il termine di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7. Ciò perchè questa Corte è ferma nel ritenere che in materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, impone la redazione del processo verbale di chiusura delle operazioni in ogni caso di accesso o ispezione nei locali dell’impresa, ivi compresi gli atti di accesso finalizzati alla raccolta di documentazione, e solo dal rilascio di copia del predetto verbale decorre il termine di sessanta giorni trascorso il quale può essere emesso l’avviso di accertamento ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7″ (Cass. n. 7843/2015, Cass. n. 12094/2019).

La CTR avrebbe, quindi, per l’un verso dovuto verificare se vi fosse stato accesso per l’acquisizione di documentazione.

Nell’ipotesi in cui ciò non fosse accaduto, il giudice di appello avrebbe poi dovuto farne conseguire l’infondatezza della censura relativa alla violazione del contraddittorio c.d. endoprocedimentale quanto ai tributi non armonizzati, in tal modo esaminando il merito dell’accertamento.

Per quel che invece riguardava l’IVA, pure oggetto dell’accertamento, per la quale esiste un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale discendente dalla natura Eurounitaria della pretesa, il giudice di appello avrebbe dovuto verificare, sulla scorta dei principi fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte già richiamati (Cass., S.U., n. 24823/2015) se il contribuente aveva o meno allegato che, a fronte del mancato rispetto del principio del contraddittorio endoprocedimentale, effettivamente in mancanza di tale irregolarità il procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso.

A tali principi non si è dunque conformata la sentenza impugnata.

Pertanto, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Sicilia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso, disatteso il primo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Sicilia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2021

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