Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9770 del 26/05/2020

Cassazione civile sez. un., 26/05/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 26/05/2020), n.9770

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di sez. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7014/2017 R.G. proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. – PATRIMONIO BANCOPOSTA, in persona del legale

rappresentante p.t. S.A. M., rappresentata e difesa dai

Prof. Avv. Gianluca Brancadoro e Carlo Mirabile, con domicilio

eletto in Roma, via Borgognona, n. 47;

– ricorrente –

contro

ALLIANZ S.P.A., in persona dei procuratori V.A. e

C.I., rappresentata e difesa dagli Avv. Francesco Cantoni e

Domenico Vizzone, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, via Cratilo di Atene, n. 31;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 5346/16,

depositata il 9 settembre 2016;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 17 dicembre 2019

dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

uditi gli Avv. Gianluca Brancadoro e Francesco Cantoni;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Allianz S.p.a. convenne in giudizio la Poste Italiane S.p.a., per sentirla condannare al risarcimento dei danni derivanti dalla negoziazione di assegni di traenza non trasferibili, da essa tratti su varie banche all’ordine di clienti per la liquidazione di sinistri.

Premesso che i predetti titoli, inviati ai beneficiari a mezzo posta, erano stati sottratti prima di pervenire a destinazione e posti all’incasso presso gli sportelli (OMISSIS), mediante la presentazione di documenti d’identità falsificati, l’attrice sostenne di aver dovuto effettuare un nuovo pagamento in favore dei beneficiari.

Si costituì la convenuta, ed eccepì la nullità della citazione e la prescrizione del credito azionato, sostenendo inoltre che i propri operatori avevano diligentemente provveduto a verificare l’integrità degli assegni, ed opponendo comunque il concorso di colpa dell’attrice, che aveva spedito i titoli per posta ordinaria, anzichè con plico assicurato; chiese infine di essere autorizzata a chiamare in causa le banche trattarie, affermandone la responsabilità, per non avere segnalato la sottrazione degli assegni in fase di compensazione, in modo da impedirne l’accredito ai portatori.

1.1. Con sentenza del 12 novembre 2015, il Tribunale di Roma accolse la domanda, condannando la Poste Italiane al pagamento della somma di Euro 1.005.694,56, oltre interessi legali.

2. L’impugnazione proposta dalla Poste Italiane è stata rigettata dalla Corte d’appello di Roma con sentenza del 9 settembre 2016.

A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto escluso la nullità della citazione, rilevando che l’attrice aveva ritualmente provveduto ad indicare i titoli sottratti e ad allegare le circostanze che giustificavano la pretesa azionata. Ha ritenuto che l’indicazione di nuovi titoli con la memoria di cui all’art. 183 c.p.c. non comportasse un mutamento della causa pe-tendi, ma solo una modificazione quantitativa della domanda, osservando inoltre che il Giudice di primo grado aveva ampiamente giustificato il rigetto dell’istanza di autorizzazione della chiamata in causa, costituente esercizio di un potere discrezionale, in quanto non riguardante un’ipotesi di litisconsorzio necessario.

Nel merito, premesso che l’attività di (OMISSIS), consistente nella raccolta del risparmio postale, nella prestazione di servizi di moneta elettronica e pagamento, nella gestione dell’intermediazione in cambi e promozione e collocamento di finanziamenti ed investimenti tra il pubblico, va distinta dal pagamento di assegni di traenza emessi dai beneficiari, la Corte ha rigettato l’eccezione di prescrizione, escludendo l’applicabilità del D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 20 in quanto riguardante l’azione proposta dai clienti dei servizi postali e di (OMISSIS), rilevando che il D.P.R. n. 14 marzo 2001, n. 144, art. 20 estende alla Poste Italiane le norme del Testo unico bancario e del Testo unico della finanza, e ritenendo pertanto applicabile l’ordinario termine decennale previsto dall’art. 2946 c.c.

Precisato poi che la responsabilità della Poste Italiane prescindeva dalla configurabilità di una colpa nell’identificazione dei portatori degli assegni, dal momento che il R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 43 nel disciplinare il pagamento, ne impone l’effettuazione esclusivamente in favore del prenditore, con la specifica finalità di tutelarlo contro il rischio di smarrimento, distruzione o sottrazione del titolo, ha richiamato comunque l’osservazione del Giudice di primo grado, secondo cui la richiesta della tessera sanitaria, ai fini dell’identificazione, si poneva in contrasto con le raccomandazioni diffuse dall’ABI a partire dall’anno 2001, in quanto la stessa non era un documento d’identità e non era munita di fotografia. Ha ritenuto irrilevante la mancata dimostrazione del danno, osservando che lo stesso era ricollegabile alla mancata liberazione dell’Allianz dalla propria obbligazione, in conseguenza del pagamento colposamente effettuato dalla Poste Italiane in favore di soggetti non legittimati. Ha escluso infine il concorso di colpa dell’attrice, ritenendo insussistente il rapporto di causalità tra la spedizione degli assegni mediante corrispondenza ordinaria ed il pagamento effettuato in favore di soggetti non correttamente identificati, ai fini del quale sarebbe stata necessaria la dimostrazione che la spedizione con plico assicurato avrebbe evitato la produzione dell’evento dannoso.

3. Avverso la predetta sentenza la Poste Italiane ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. L’Allianz ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.

Con ordinanza del 3 settembre 2019, la Prima Sezione civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente, il quale ha disposto l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, per la risoluzione di una questione di massima di particolare importanza, concernente la possibilità di ravvisare un concorso del danneggiato, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, nella spedizione di un assegno a mezzo posta (sia essa ordinaria, raccomandata o assicurata), con riguardo al pregiudizio patito dal debitore che non sia liberato dal pagamento, in quanto il titolo venga trafugato e pagato a soggetto non legittimato in base alla legge cartolare di circolazione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1218, 1223 e 2697 c.c., dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2, rilevando che, nel ritenere sussistente il danno lamentato dall’attrice, in virtù della mancata liberazione della stessa dall’obbligazione, la sentenza impugnata non ha considerato che l’Allianz non aveva fornito la prova dell’effettuazione di nuovi pagamenti in favore dei beneficiari degli assegni. Premesso che, ai fini del risarcimento del danno, non è sufficiente la prova dell’inadempimento del debitore, ma occorre dimostrare anche il pregiudizio patrimoniale effettivamente sofferto dal creditore, afferma che la mancata estinzione delle obbligazioni dell’Allianz non era di per sè indicativa di una perdita economica risarcibile, la quale era ricollegabile esclusivamente alla duplicazione dei pagamenti. Aggiunge che erroneamente la Corte territoriale ha posto a suo carico la prova della mancata effettuazione dei nuovi pagamenti, osservando comunque che gli stessi non comportavano alcuna diminuzione nel patrimonio dell’attrice, la quale aveva acquistato il diritto alla ripetizione delle somme indebitamente corrisposte ai portatori degli assegni. Sostiene infine che il pagamento effettuato dalla banca negoziatrice, non essendo liberatorio neppure per la stessa, non esclude il suo obbligo di provvedere ad un nuovo pagamento in favore del soggetto effettivamente legittimato, con la conseguenza che una condanna al risarcimento in favore del traente la esporrebbe al rischio di un duplice adempimento.

1.1. Il motivo è infondato.

In caso di pagamento dell’assegno non trasferibile in favore di un soggetto diverso da quello effettivamente legittimato, la domanda di rimborso del relativo importo proposta dal traente o dal richiedente nei confronti della banca trattaria o negoziatrice si distingue da quella avente ad oggetto il pagamento dell’assegno, non avendo natura cambiaria, ma risarcitoria, in quanto trova fondamento non già nell’inadempimento del debito incorporato nel titolo, al cui pagamento la banca è tenuta esclusivamente nei confronti del prenditore, ma nella violazione dell’obbligo di procedere all’identificazione di colui che ha presentato il titolo all’incasso, previsto dal R.D. n. 1736 del 1933, art. 43 a tutela di tutti i soggetti interessati alla regolare circolazione del titolo (cfr. Cass., Sez. Un., 26/06/2007, n. 14712; Cass., Sez. III, 22/05/2015, n. 10534). L’accoglimento di tale domanda presuppone ovviamente la prova del danno, che tuttavia, nel caso dell’assegno di traenza, emesso dalla banca trattaria a fronte della costituzione della relativa provvista da parte del richiedente, non postula la dimostrazione dell’avvenuta effettuazione di un nuovo pagamento in favore del prenditore, potendo essere ravvisato nella mera perdita dell’importo versato o addebitato, a causa dello indebito pagamento del titolo; l’emissione e la spedizione di quest’ultimo non comportano infatti il trasferimento della titolarità del predetto importo in favore del beneficiario, il quale ne acquista la disponibilità giuridica soltanto a seguito del pagamento o dell’accreditamento effettuato dalla banca (cfr. Cass., Sez. III, 10/03/2008, n. 6291). Irrilevante deve considerarsi, in proposito, la possibilità di agire alternativamente per la ripetizione dell’indebito nei confronti dei soggetti che hanno presentato all’incasso i titoli, trattandosi di una mera facoltà del richiedente, il cui esercizio risulta peraltro precluso, nella specie, proprio a causa del comportamento della ricorrente, che non ha provveduto diligentemente all’identificazione dei predetti soggetti.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 3, e degli artt. 1189, 1218 c.c. e art. 1992 c.c., comma 2, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, ai fini della condanna al risarcimento, ha ritenuto irrilevante la prova del comportamento diligente tenuto dalla banca negoziatrice nell’identificazione dei portatori degli assegni. Premesso che l’art. 43 cit. non prevede affatto un’ipotesi di responsabilità oggettiva, ma si limita a stabilire la responsabilità della banca per il pagamento effettuato a un soggetto diverso dal prenditore, sostiene che tale disposizione si riferisce al solo caso del pagamento effettuato a un soggetto cui l’assegno sia stato trasferito in violazione della clausola d’intrasferibilità, e non anche a quello del pagamento effettuato a un soggetto presentatosi all’incasso come legittimato cartolare, affermando che in quest’ultima ipotesi si applica la disciplina generale dettata dall’art. 1992 c.c., comma 2, che non consente di escludere la rilevanza della diligenza del debitore. Aggiunge che, nel richiamare le raccomandazioni dell’ABI, la Corte territoriale non ha considerato che le stesse, oltre a non avere carattere vincolante, non sono applicabili ad essa ricorrente, che, non facendo parte di tale associazione, ha sottoscritto con la stessa uno specifico accordo relativo alla negoziazione degli assegni, il quale non impone l’identificazione dei portatori mediante l’esibizione di più documenti muniti di fotografia. Precisa comunque che tale cautela sarebbe risultata inutile per una parte degli assegni presentati all’incasso, in quanto il pagamento ha avuto luogo per effetto non già della contraffazione dei documenti d’identità, ma dell’alterazione dei titoli, della quale la sentenza di primo grado ha escluso la rilevabilità ictu oculi. Assume inoltre di aver negoziato gli assegni con riserva di verifica, senza renderne immediatamente disponibile l’importo, ma attendendo il termine previsto dagli accordi interbancari, il quale era trascorso senza che fosse stata segnalata alcuna denuncia di smarrimento o sottrazione.

2.1. Il motivo è infondato.

Nell’affermare la responsabilità della ricorrente, la sentenza impugnata ha richiamato l’orientamento all’epoca prevalente nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in caso di pagamento di un assegno non trasferibile in favore di chi non era legittimato, la banca non è liberata dall’originaria obbligazione finchè non paghi al prenditore esattamente individuato, indipendentemente dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sulla identificazione dello stesso prenditore, trattandosi di obbligazione ex lege (cfr. da ultimo Cass., Sez. VI, 21/02/2017, n. 4381; Cass., Sez. I, 19/07/ 2016, n. 14777; 22/02/2016, n. 3405).

Com’è noto, tale indirizzo, tutt’altro che pacifico (cfr. in contrario Cass., Sez. 23/12/2016, n. 26947; 4/08/2016, n. 16332; 26/01/2016, n. 1377), ha costituito oggetto di revisione da parte di una recente sentenza delle Sezioni Unite, che, risolvendo il contrasto di giurisprudenza, ha enunciato il principio di diritto secondo cui la banca negoziatrice dell’assegno (bancario, di traenza o circolare) munito di clausola d’intrasferibilità, chiamata a rispondere del danno cagionato dal pagamento effettuato a persona diversa dall’effettivo beneficiario, per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176 c.c., comma 2. A sostegno di tale conclusione, è stata richiamata la precedente sentenza delle stesse Sezioni Unite che, risolvendo il contrasto di giurisprudenza riguardante la responsabilità della banca, ne aveva escluso la natura extracontrattuale, ravvisandovi invece un’ipotesi di responsabilità contrattuale c.d. da contatto sociale, fondata sull’obbligo professionale di protezione (preesistente, specifico e volontariamente assunto), posto a carico della banca nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità delle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso (cfr. Cass., Sez. Un., 26/06/2007, n. 14712). Nel ribadire tale principio, la nuova pronuncia ne ha evidenziato l’incompatibilità con la natura oggettiva della responsabilità, predicabile soltanto in riferimento a fattispecie d’illecito extracontrattuale, precisando che, al fine di sottrarsi alla responsabilità, la banca è tenuta a provare di aver assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2, dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere anche in ipotesi di colpa lieve (cfr. Cass., Sez. Un., 21/05/2018, n. 12477).

Nella specie, peraltro, nonostante il richiamo al precedente orientamento che riteneva superfluo l’accertamento della colpa della banca, la Corte territoriale non si è sottratta affatto alla valutazione della condotta tenuta dalla ricorrente, avendo ritenuto non provato che quest’ultima avesse usato la dovuta diligenza nell’adempimento dell’obbligo d’identificazione dei presentatori degli assegni, in quanto era risultato che la stessa aveva avuto luogo in violazione delle raccomandazioni diffuse dall’ABI, mediante la richiesta della tessera sanitaria, non avente valore di documento d’identificazione. Il predetto apprezzamento integra un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nella specie neppure dedotto dalla ricorrente, la quale si è limitata a denunciare il vizio di violazione di legge, in riferimento ad una pluralità di disposizioni, lamentando in particolare l’errata attribuzione di efficacia normativa alle raccomandazioni dell’ABI, senza considerare che queste ultime sono state tenute presenti dalla sentenza impugnata non già per la loro portata vincolante, ma quale parametro di valutazione della diligenza usata ai fini dell’identificazione.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta, in via subordinata, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 1, e del D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 83 censurando la sentenza impugnata per aver escluso il concorso di colpa dell’attrice, in relazione all’avvenuta spedizione degli assegni a mezzo di corrispondenza ordinaria, senza procedere all’accertamento in concreto del nesso di causalità con il danno lamentato. Premesso che le modalità di trasmissione dell’assegno non possono considerarsi irrilevanti, dal momento che la consegna diretta al beneficiario o la spedizione mediante plico assicurato consentono normalmente di evitare che lo stesso venga in possesso di un soggetto diverso, osserva che l’utilizzazione della posta assicurata garantisce non solo la copertura assicurativa dei valori spediti, ma anche la tracciabilità del plico dalla spedizione fino alla consegna al destinatario. Sostiene che l’art. 83 cit. stabilisce una regola di diligenza volta ad attenuare proprio il rischio della sottrazione dei beni spediti, la cui violazione comporta il trasferimento di tale rischio a carico del mittente che abbia incautamente scelto di avvalersi della posta ordinaria. Afferma comunque che, anche a voler ammettere la natura oggettiva della responsabilità della banca negoziatrice, non potrebbe escludersi la rilevanza della condotta tenuta dal danneggiato, la cui valutazione non attiene all’elemento soggettivo dell’illecito, ma al profilo oggettivo della causa-zione del danno.

3.1. La questione proposta con il predetto motivo dev’essere esaminata sotto tre distinti profili, concernenti rispettivamente a) l’obbiettiva configurabilità di un rapporto di causalità tra la riscossione dell’assegno non trasferibile da parte di un soggetto non legittimato e la spedizione del titolo mediante posta ordinaria, b) l’individuazione delle regole d’imputazione giuridica dell’evento al mittente, e c) la compatibilità della responsabilità di questo ultimo con quella della banca trattaria o negoziatrice per l’omissione della dovuta diligenza nell’identificazione del presentatore del titolo. Pur riguardando l’accertamento del nesso causale, il cui riscontro si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, la questione non può ritenersi estranea all’ambito del giudizio di legittimità, in quanto, coinvolgendo l’individuazione del criterio da adottare per la selezione, tra tutte le possibili concause dell’illecito, degli antecedenti in concreto rilevanti per la produzione del danno, ed in particolare la verifica della conformità della scelta operata dal giudice di merito alle norme sostanziali che disciplinano la fattispecie accertata, attiene alla sussunzione di quest’ultima nell’ipotesi normativa, il cui controllo rientra nei poteri di questa Corte, ferma restando la spettanza al giudice di merito della valutazione delle conseguenze derivanti dall’adozione del predetto criterio di selezione (cfr. Cass., Sez. III, 10/04/ 2019, n. 9985; 25/02/2014, n. 4439; 7/12/2005, n. 26997).

I predetti profili hanno costituito per lo più oggetto di cumulativa considerazione da parte della giurisprudenza di questa Corte, la quale è pervenuta ad esiti alquanto differenziati, proprio in virtù dell’avvenuta valorizzazione, nei singoli casi, dell’uno o dell’altro aspetto.

Alcune pronunce hanno infatti attribuito un rilievo preminente (se non esclusivo) alla responsabilità della banca trattaria o negoziatrice, affermando che il titolo e la configurazione giuridica della stessa assorbono totalmente (pur in presenza di altri mezzi bancari utilizzabili per il trasferimento di valuta) le modalità di trasmissione delle quali il richiedente si sia avvalso per l’invio dell’assegno al prenditore beneficiario (cfr. Cass., Sez. I, 16/05/2003, n. 7653): a sostegno di tale affermazione, è stato richiamato il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il R.D. n. 1736 del 1933, art. 43 nel regolare l’adempimento dell’assegno non trasferibile, detta una disciplina autonoma, che deroga sia a quella dei titoli di credito a legittimazione variabile prevista dall’art. 1992 c.c., comma 2, sia a quella generale delle obbligazioni prevista dall’art. 1189 c.c., stabilendo che la banca che abbia eseguito il pagamento in favore di chi non era legittimato non è liberata dall’originaria obbligazione finchè non paghi al prenditore esattamente individuato (o al banchiere giratario per l’incasso), e ciò indipendentemente dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sull’identificazione dello stesso prenditore (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 22/02/2016, n. 3405; 9/02/1999, n. 1098). Un altro orientamento ha invece escluso la stessa configurabilità del nesso di causalità, sostenendo che la condotta del mittente che abbia inserito l’assegno non trasferibile in una corrispondenza non assicurata, quand’anche qualificabile come colposa o imprudente, non assume alcuna rilevanza causale rispetto all’evento dannoso, il quale si verifica esclusivamente in conseguenza del comportamento colposo posto in essere dall’istituto di credito negoziatore, emittente o trattario, comportamento valutabile alla stregua di un fatto sopravvenuto rispetto alla trasmissione del titolo per corrispondenza ordinaria, ed idoneo ad interrompere il nesso di causalità (cfr. Cass., Sez. III, 22/08/2018, n. 20911; Cass., Sez. VI, 4/11/2014, n. 23460; Cass., Sez. I, 31/03/2010, n. 7949). Ai predetti argomenti si accompagna spesso il rilievo, talora svolto anche in via autonoma, secondo cui la responsabilità del mittente non è ricollegabile neppure all’inosservanza del divieto, posto dal D.P.R. n. 156 del 1973, art. 83 di includere nella corrispondenza ordinaria denaro, preziosi e carte di valore esigibili al portatore, trattandosi di una disposizione operante esclusivamente nei rapporti tra il mittente ed il gestore del servizio postale, e comunque non riferibile agli assegni, che non sono titoli al portatore (cfr. Cass., Sez. I, 15/05/2019, n. 12984; 4/11/2014, n. 23460; Cass., Sez. III, 30/03/2010, n. 7618).

In tale panorama giurisprudenziale, prevalentemente convergente verso l’esclusione di una colpa concorrente del mittente, non mancano tuttavia voci dissonanti, costituite da pronunce che, pur non escludendo in linea di principio il predetto concorso, hanno dichiarato inammissibile la relativa questione, ritenendola attinente al merito (cfr. Cass., Sez. I, 11/03/2019, n. 6979; 2/12/2016, n. 24659; 22/02/2016, n. 3406), o da pronunce che hanno ritenuto applicabile il divieto di cui al D.P.R. n. 156 del 1973, art. 83 anche ai titoli all’ordine, in virtù di un’interpretazione analogica di tale disposizione (cfr. Cass., Sez. III, 21/12/2017, n. 30665).

3.2. Gli orientamenti indicati hanno il loro comune presupposto, non sempre chiaramente enunciato, ed anzi talvolta deliberatamente relegato in secondo piano (cfr. per tutte Cass., Sez. I, 16/05/2003, n. 7653, cit.), nella sottolineatura della funzione assegnata alla clausola d’intrasferibilità, consistente nel garantire il richiedente o il prenditore proprio contro il rischio del furto, dello smarrimento o della distruzione del titolo, e ritenuta quindi incompatibile con l’accollo sia pure parziale della relativa responsabilità al mittente; in quanto volta a dare l’assoluta sicurezza del pagamento al prenditore, tale funzione giustificherebbe inoltre un’interpretazione particolarmente rigorosa della disciplina dettata dal R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2, in virtù della quale dovrebbe ritenersi che il pagamento dello assegno non trasferibile effettuato in favore di una persona diversa da quella indicata come prenditore non abbia effetto liberatorio nel confronti del solvens, nel senso che, essendo rimessa alla sua diligenza la realizzazione della predetta funzione, egli paga a suo rischio e pericolo, e se cade in errore è tenuto a pagare una seconda volta (cfr. Cass., Sez. I, 13/05/2005, n. 10118; 29/08/2003, n. 12698). Nella sua formulazione originaria, tale indirizzo escludeva la natura risarcitoria dell’obbligazione posta a carico della banca trattaria o negoziatrice, ravvisandovi invece la medesima obbligazione cambiaria originaria, che la banca era tenuta ad adempiere nuovamente mediante il pagamento in favore del soggetto legittimato, non potendosi considerare validamente effettuato quello eseguito in favore del presentatore (cfr. Cass., Sez. I, 22/02/2000, n. 1978; 9/02/1999, n. 1098; 7/10/ 1958, n. 3133): in quest’ottica, si escludeva anche la necessità di un’indagine in ordine all’imputabilità dell’errore commesso nell’identificazione del prenditore, affermandosi che la banca era tenuta al nuovo pagamento a prescindere dalla natura colposa del comportamento tenuto in occasione di quello precedente; e tale precisazione è rimasta ferma anche in seguito, nonostante la diffusione del diverso orientamento, divenuto poi prevalente, che riconosce la natura risarcitoria dell’obbligazione, ricollegandola non già all’inadempimento del debito cambiario, ma all’inosservanza del dovere, posto a carico della banca dal R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2, di procedere all’identificazione del presentatore dell’assegno, mediante l’adozione di tutte le cautele e gli accorgimenti in concreto suggeriti dalla diligenza professionale (cfr. Cass., Sez. VI, 21/02/2017, n. 4381; Cass., Sez. I, 19/07/2016, n. 14777; 22/02/2016, n. 3405).

Come si è detto nella trattazione del precedente motivo, la predetta affermazione ha costituito oggetto di revisione da parte di queste Sezioni Unite, le quali, ribadendo la natura contrattuale della responsabilità derivante dall’errore nell’identificazione del legittimo portatore dell’assegno, ne hanno escluso il carattere oggettivo, concludendo che la banca è ammessa a provare di aver assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dallo art. 1176 c.c., comma 2. E’ stato inoltre chiarito che lo scopo della clausola di intrasferibilità consiste non solo nell’assicurare all’effettivo prenditore il conseguimento della prestazione dovuta, ma anche e soprattutto nell’impedire la circolazione del titolo: ed a conferma di tale assunto è stato richiamato il R.D. n. 1736 del 1933, art. 73 il quale esclude l’ammortamento dell’assegno non trasferibile proprio perchè lo stesso non può essere azionato da un portatore di buona fede, conferendo nel contempo al prenditore, ma solo come conseguenza indiretta, la maggior sicurezza di poterne ottenere un duplicato denunciandone lo smarrimento, la distruzione o la sottrazione al trattario o al traente (cfr. Cass., Sez. Un., 21/05/2018, n. 12477).

Viene in tal modo a cadere, definitivamente, il primo degli argomenti a favore della tesi che esclude il concorso di colpa del mittente, e precisamente l’affermazione dell’incompatibilità tra la responsabilità di quest’ultimo ed il titolo e la configurazione di quella della banca: argomento, questo, già fortemente indebolito, peraltro, dall’esclusione della natura cambiaria della obbligazione gravante sulla banca, e dalla conseguente individuazione della fonte della sua responsabilità nell’inadempimento di un’obbligazione ex lege o di un’obbligazione da contatto sociale. In quanto non ricollegabile all’inadempimento del debito cambiario, imputabile esclusivamente ai soggetti tenuti ad adempierlo, ma ad un’anomalia intervenuta nel processo di trasmissione e pagamento del titolo, non necessariamente addebitabile alla banca trattaria o negoziatrice, la responsabilità di quest’ultima non esclude infatti, in linea di principio, quella concorrente di altri soggetti eventualmente intervenuti nel predetto processo, che con il loro comportamento abbiano contribuito a cagionare il danno.

3.3. Quanto poi al nesso di causalità, occorre richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità civile, secondo cui tale materia è regolata dai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., in virtù dei quali un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non), nonchè dal criterio della c.d. causalità adeguata, sulla base del quale, all’interno di una serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano, ad una valutazione ex ante, del tutto inverosimili (cfr. Cass., Sez. I, 23/12/ 2010, n. 26042; Cass., Sez. III, 30/04/2010, n. 10607; Cass., Sez. lav., 14/04/2010, n. 8885). E’ stato precisato in particolare che, in presenza di un evento dannoso riconducibile a più azioni od omissioni, il rigore del principio dell’equivalenza delle cause, posto dall’art. 40 c.p., in virtù del quale deve riconoscersi a ciascuna di esse efficienza causale, trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente, desumibile dall’art. 41 c.p., comma 2 in base al quale l’evento dannoso può essere attribuito esclusivamente all’autore della condotta sopravvenuta soltanto se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto (cfr. Cass., Sez. III, 22/10/2013, n. 23915; 10/10/2008, n. 25028; 22/ 10/2003, n. 15789). L’interruzione del nesso causale può essere anche l’effetto del comportamento dello stesso danneggiato, quando il fatto di costui si ponga come unica ed esclusiva causa dell’evento dannoso, sì da privare di efficienza causale e da rendere giuridicamente irrilevante il comportamento dell’autore dell’illecito (cfr. Cass., Sez. III, 19/07/2018, n. 19180; 12/09/ 2005, n. 18094; 8/11/2002, n. 15704); quando invece il comportamento colposo del soggetto danneggiato non sia stato tale da interrompere il nesso di causalità tra il fatto del terzo e l’evento dannoso, ma abbia solo concorso alla produzione di quest’ultimo, trova applicazione l’art. 1227 c.c., comma 1, il quale afferma il principio secondo cui il danno che taluno arreca a sè medesimo non può essere posto a carico dell’autore della causa concorrente (cfr. Cass., Sez. III, 3/12/2002, n. 17152). Tali principi, enunciati con riguardo al comportamento del danneggiato sopravvenuto alla commissione del fatto illecito, sono stati ritenuti applicabili anche al comportamento coevo o anteriore, purchè legato da nesso eziologico con l’evento dannoso, essendosi affermato che il fatto colposo cui fa riferimento l’art. 1227 c.c., comma 1, comprende qualsiasi condotta negligente o imprudente che abbia costituito causa concorrente dell’evento (cfr. Cass., Sez. III, 15/03/2006, n. 5677; 18/05/1979, n. 2861).

Applicando i predetti principi alla fattispecie in esame, risulta oggettivamente difficile negare che, in caso di sottrazione di un assegno non trasferibile non consegnato direttamente al prenditore, le modalità prescelte per la trasmissione del titolo possano spiegare un’efficienza causale ai fini della riscossione del relativo importo da parte di un soggetto non legittimato: se è vero, infatti, che il pagamento dell’assegno è subordinato al riscontro della corrispondenza tra il soggetto indicato come prenditore e colui che presenta il titolo all’incasso, e quindi all’identificazione di tale soggetto, alla quale la banca deve procedere mediante l’adozione di tutte le cautele e gli accorgimenti suggeriti dalla diligenza professionale, è anche vero, però, che tale pagamento non può aver luogo in mancanza della materiale disponibilità dell’assegno, la cui presentazione alla banca ne costituisce un presupposto indispensabile. Il possesso del documento rappresenta infatti una condizione essenziale per l’esercizio del diritto in esso incorporato, allo stesso modo della qualità di prenditore di colui che presenta il titolo all’incasso: qualora pertanto la sottrazione sia stata cagionata o comunque agevolata dall’adozione di modalità di trasmissione inidonee a garantire, per quanto possibile, che l’assegno pervenga al destinatario, non può dubitarsi che la scelta delle predette modalità costituisca, al pari dell’errore nell’identificazione del presentatore, un antecedente necessario dell’evento dannoso, che rispetto ad esso non si presenta come una conseguenza affatto inverosimile o imprevedibile.

Le stesse parti, nella specie, hanno fatto ripetutamente cenno alla preoccupante frequenza con cui, in caso di trasmissione degli assegni per posta ordinaria, si verificano siffatte sottrazioni, a fronte delle quali il gestore del servizio postale non è in grado di fornire adeguate garanzie di buon esito della spedizione, se è vero che, come si è detto, lo stesso regolamento del servizio vieta d’inserire nella posta ordinaria denaro ed altri oggetti di valore. Il conseguente rischio che l’assegno cada in mani diverse da quelle del destinatario, e sia quindi presentato all’incasso da un soggetto diverso dallo effettivo prenditore, non può ritenersi d’altronde scongiurato nè dalla clausola d’intrasferibilità, la cui funzione precipua non consiste, come si è detto, nell’evitare il predetto evento, ma nell’impedire la circolazione del titolo, nè dall’imposizione a carico della banca dell’obbligo di procedere all’identificazione del presentatore, dal momento che il puntuale adempimento di tale obbligo è reso sempre più difficoltoso dallo sviluppo di perfezionate tecniche di contraffazione dei documenti, la cui falsificazione spesso non è rilevabile neppure mediante un controllo accurato, ai fini del quale, com’è noto, la giurisprudenza di legittimità è costante nell’escludere la necessità del ricorso ad attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile reperimento o del possesso da parte dell’impiegato addetto delle qualità di un esperto grafologo (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. VI, 19/06/2018, n. 16178; Cass., Sez. I, 4/08/ 2016, n. 16332; 26/01/2016, n. 1377).

In tale contesto, la scelta di avvalersi della posta ordinaria per la trasmissione dell’assegno al beneficiario, pur in presenza di altre forme di spedizione (posta raccomandata o assicurata) o di strumenti di pagamento ben più moderni e sicuri (quali il bonifico bancario o il pagamento elettronico), si traduce nella consapevole assunzione di un rischio da parte del mittente, che non può non costituire oggetto di valutazione ai fini dell’individuazione della causa dell’evento dannoso: quest’ultima, infatti, non è identificabile esclusivamente con il segmento terminale del processo che ha condotto al verificarsi dell’evento, ma dev’essere individuata tenendo conto dell’intera sequenza dei fatti che lo hanno determinato, escludendo ovviamente quelli che non hanno spiegato alcuna incidenza su di esso, per essere stati superati da altri fatti successivi di per sè soli sufficienti a cagionarlo. Tale esposizione volontaria al rischio, o comunque la consapevolezza di porsi in una situazione di pericolo, è stata ritenuta da questa Corte sufficiente a giustificare il riconoscimento del concorso di colpa del danneggiato, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, in virtù della considerazione che la riduzione della responsabilità del danneggiante è configurabile non solo in caso di cooperazione attiva del danneggiato nel fatto dannoso posto in essere dal danneggiante, ma in tutti i casi in cui il danneggiato si esponga volontariamente ad un rischio superiore alla norma, in violazione di norme giuridiche o di regole comportamentali di prudenza avvertite come vincolanti dalla coscienza sociale del suo tempo, con una condotta (attiva od omissiva che sia) che si inserisca come antecedente necessario nel processo causale che culmina con il danno da lui subito. Premesso infatti che lo svolgimento di qualsiasi attività sociale ed economica comporta inevitabilmente l’assoggettamento ad un certo livello di rischio, al quale è impossibile sottrarsi senza andare incontro a limitazioni incompatibili con una normale partecipazione alla convivenza civile, e la cui accettazione non consente di porre a carico del soggetto le conseguenze dannose della propria condotta, non potendosi pretendere in ogni situazione il rispetto di regole di massima prudenza, si è affermato invece che costituisce fonte di responsabilità non solo la condotta tenuta in violazione di precise norme giuridiche, ma anche quella che comporti l’esposizione volontaria o comunque consapevole ad un rischio che, secondo regole di prudenza comportamentale avvertite come vincolanti dalla comunità, si ponga al di sopra della soglia della normalità, dal momento che in tal caso il comportamento tenuto dal danneggiato si inserisce nel processo eziologico che conduce all’evento dannoso, divenendo un segmento della catena causale (cfr. Cass., Sez. III, 6/12/2018, n. 31540; 26/05/ 2014, n. 11698; 23/05/2014, n. 15332).

3.4. Il richiamo alla necessità che l’esposizione a rischio non si risolva nell’adozione di una condotta genericamente imprudente, ma si traduca in una violazione di norme giuridiche o comportamentali ritenute socialmente vincolanti, trova riscontro nella lettera dell’art. 1227 c.c., comma 1, che, subordinando la riduzione del risarcimento alla riconducibilità del danno a un “fatto colposo” del danneggiato, si riferisce ad un comportamento che si ponga in contrasto con una regola di condotta. Si giustifica in tal senso l’affermazione della dottrina e della giurisprudenza secondo cui, nell’ambito della predetta disposizione, la colpa non costituisce un mero criterio d’imputazione soggettiva del fatto, ma la misura della rilevanza causale dello stesso, nel senso che, in mancanza di tale requisito, il comportamento del danneggiato non può considerarsi causa o concausa del danno.

Nella specie, occorre dunque chiedersi se, al di là della sua oggettiva idoneità ad innescare la sequenza causale che conduce al pagamento dello assegno in favore di un soggetto diverso da quello effettivamente legittimato, la trasmissione del titolo per posta ordinaria, che comporta l’esposizione del mittente al rischio della sottrazione o dello smarrimento, si ponga in contrasto con norme giuridiche o con regole di condotta suggerite dalla comune prudenza.

In proposito, pur dovendosi dare atto dell’ormai ampia diffusione di strumenti bancari ben più rapidi e sicuri, e non necessariamente più costosi, dell’assegno, occorre rilevare l’inesistenza di norme giuridiche che escludano l’utilizzazione di tale mezzo per i pagamenti a distanza, spesso imposta, peraltro, dall’indisponibilità da parte del beneficiario di un conto corrente o di un deposito bancario sul quale poter fare affluire l’accredito. Va inoltre confermata l’impossibilità di attribuire efficacia giuridicamente vincolante alle norme che disciplinano il servizio postale, le quali, in quanto operanti esclusivamente nei rapporti tra il gestore del predetto servizio ed i soggetti che se ne avvalgono per la spedizione della propria corrispondenza, non possono costituire un riferimento normativo utile, almeno in via diretta, ai fini della disciplina dei rapporti con i terzi. La mera inosservanza del divieto, posto dal D.P.R. n. 156 del 1973, art. 83 d’includere denaro, oggetti preziosi e carte di valore esigibili al portatore nella corrispondenza ordinaria o in quella raccomandata, così come quella dell’art. 84 medesimo D.P.R., il quale impone di assicurare le lettere ed i pacchi contenenti i predetti beni, non costituisce dunque una ragione sufficiente a fondare l’affermazione del concorso di colpa del mittente. Per la medesima ragione, deve ritenersi non pertinente il richiamo alle analoghe disposizioni dettate, a seguito della privatizzazione dell’Ente Poste, dalla Carta della qualità del servizio pubblico postale (nelle diverse versioni, susseguitesi nel tempo, emanate con D.M. 9 aprile 2001 e con D.M. 26 febbraio 2004) e dalle Condizioni generali di servizio per l’espletamento del servizio universale postale di Poste italiane, approvate dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni con Delib. 20 giugno 2013, n. 385/13/CONS.

Ai fini che qui interessano, occorre prendere invece in esame le modalità di prestazione del servizio postale, così come disciplinate dal predetto testo unico e dalle successive modificazioni, in modo da verificare se, in relazione all’oggetto della spedizione ed alle garanzie di sicurezza previste per ciascuna modalità di trasmissione, possa ritenersi giustificata l’affermazione che la scelta effettuata dal mittente ne abbia comportato l’esposizione ad un margine di rischio superiore a quello ritenuto accettabile alla stregua delle regole di comune prudenza. Nella specie, va richiamata la disciplina dettata dal D.M. 26 febbraio 2004, vigente all’epoca della spedizione dell’assegno il cui pagamento costituisce oggetto del presente giudizio, la quale, nel delineare le caratteristiche dei prodotti forniti dal servizio postale, si limita a stabilire, per la posta ordinaria, che la stessa consente la spedizione di corrispondenza verso qualsiasi località del territorio nazionale o estero, nonchè a richiedere, per la puntualità del recapito, il rispetto degli orari di impostazione e l’indicazione del codice di avviamento postale, laddove, relativamente alla posta raccomandata ed assicurata, aggiunge che la stessa consente al mittente di ottenere una certificazione della spedizione con valore legale e di richiedere un avviso di ricevimento, nonchè di assicurare il contenuto del plico, prevedendo inoltre la tracciatura elettronica della spedizione, ovverosia la possibilità di ottenere informazioni su dove la stessa si trova, sia per telefono che attraverso internet. Tali disposizioni vanno integrate con quelle, anch’esse vigenti ratione temporis (e superate solo dalla dettagliata disciplina introdotta dalle Condizioni generali approvate dall’AGCOM), del D.P.R. 29 maggio 1982, n. 655, recante il regolamento di esecuzione dei libri I e II del codice postale, il quale prevede, all’art. 38, che la corrispondenza ordinaria è recapitata mediante immissione nelle apposite cassette domiciliari, consegna a persone di famiglia del destinatario o al portiere dello stabile o consegna presso negozi, stabilimenti, uffici, manifatture e simili, cui il destinatario sia addetto, mentre la corrispondenza raccomandata può essere recapitata soltanto mediante consegna alle predette persone, e quella assicurata soltanto mediante consegna al destinatario; gli artt. 100 e 105 dispongono inoltre che il destinatario di oggetti raccomandati o assicurati o chi sia ammesso ad agire in suo nome non può ritirarli senza averne rilasciato ricevuta all’agente incaricato del recapito.

La semplice lettura di tali disposizioni pone in risalto le particolari cautele apprestate dalla normativa per la spedizione, la trasmissione e la consegna della posta raccomandata ed assicurata, rispetto alle corrispondenti modalità previste per la posta ordinaria, rendendo altresì evidenti le motivazioni poste a fondamento del divieto imposto al mittente d’immettere in quest’ultima denaro od oggetti di valore. In particolare, la possibilità di seguire in tempo reale lo stato di lavorazione del plico ed il percorso dallo stesso compiuto dal momento della spedizione a quello della consegna, nonchè la previsione che quest’ultima abbia luogo a mani del destinatario o di persona di famiglia o addetta al suo servizio, anzichè mediante la semplice immissione nella cassetta, se non possono considerarsi di per sè sufficienti ad impedire lo smarrimento o la sottrazione del plico, consentono però al mittente, in caso di ritardo prolungato nella consegna, di attivarsi tempestivamente per evitarne il pagamento o quanto meno per segnalare l’anomalia alla banca trattaria, affinchè adotti le necessarie precauzioni. Per converso, l’utilizzazione della posta ordinaria implica la perdita di ogni controllo in ordine alla fase della trasmissione, della quale il mittente non è in grado di conoscere nè il percorso nè lo stato di avanzamento, essendosi privato della possibilità di verificarne l’esito, almeno fino a quando il destinatario del plico non ne segnali la mancata ricezione.

Ciò comporta, nel caso in cui il servizio di posta ordinaria venga utilizzato per la spedizione di un assegno, l’assunzione da parte del mittente di un evidente rischio, consistente nella sottrazione del titolo e nella sua presentazione all’incasso da parte di un soggetto non legittimato, che lo espone all’obbligo di effettuare un nuovo pagamento in favore del beneficiario rimasto insoddisfatto, impedendogli nel contempo di rivalersi nei confronti della banca trattaria o negoziatrice, ove la stessa abbia incolpevolmente provveduto al pagamento dell’assegno. Si tratta di un rischio non solo ingiustificato, avuto riguardo al valore economico dell’oggetto spedito ed alla possibilità di avvalersi di forme di corrispondenza che offrono adeguate garanzie (oltre che di strumenti di pagamento più sicuri), ma idoneo anche ad accrescere la probabilità di pagamenti a soggetti non legittimati, e quindi a comportare un aggravamento della posizione della banca trattaria o negoziatrice, maggiormente esposta alla possibilità di andare incontro a responsabilità, e quindi costretta a munirsi di strumenti tecnici sempre più sofisticati e costosi per l’identificazione dei presentatori ed il contrasto dell’uso di documenti falsificati. In quest’ottica, pertanto, l’utilizzazione della posta ordinaria si pone in contrasto non solo con le regole di comune prudenza, le quali suggerirebbero di avvalersi di modalità di trasmissione più idonee ad assicurare il controllo sul buon esito della spedizione, ma anche con il dovere di agire in modo da preservare gl’interessi di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, ove ciò non comporti un apprezzabile sacrificio a proprio carico, e ciò in ossequio al principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost., che a livello di legislazione ordinaria trova espressione proprio nella regola di cui all’art. 1227 c.c., operante sia in materia extracontrattuale, in virtù nell’espresso richiamo di tale disposizione da parte dell’art. 2056 c.c., sia in materia contrattuale, come riflesso dell’obbligo di comportarsi secondo correttezza e buona fede, previsto dall’art. 1175 c.c. in riferimento sia alla formazione che all’interpretazione e all’esecuzione del contratto (cfr. Cass., Sez. Un., 21/11/2011, n. 24406; Cass., Sez. III, 26/05/2014, n. 11698; 5/03/2009, n. 5348).

3.5. In conclusione, la questione sottoposta all’esame di queste Sezioni Unite dev’essere risolta mediante l’enunciazione del seguente principio di diritto:

“La spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorchè munito di clausola d’intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l’esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gl’interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell’evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell’identificazione del presentatore”.

3.6. Alla stregua di tale principio, non può condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui, dopo aver affermato l’obbligo della banca negoziatrice degli assegni di risarcire alla compagnia assicuratrice il danno derivante dal pagamento eseguito in favore di soggetti diversi da quelli effettivamente legittimati, in virtù dell’accertata violazione del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43 ha escluso la configurabilità del concorso di colpa dell’attrice, in relazione all’avvenuta spedizione degli assegni per posta ordinaria, attribuendo all’inadempimento dell’obbligo posto a carico della banca un’efficacia causale esclusiva nella produzione dell’evento dannoso, e ravvisandovi pertanto un fatto sopravvenuto idoneo a determinare l’interruzione del nesso di causalità con la condotta della mittente.

4. La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dal motivo accolto, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di appello di Roma, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020

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