Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9770 del 13/05/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 9770 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: FERNANDES GIULIO

ORDINANZA
sul ricorso 10190-2013 proposto da:
MAC DUE SRL 06837651006, in persona dell’Amministratore unico,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA S. TOMMASO D’AQUINO
75, presso lo studio dell’avvocato MAURO RECANATESI, che la
rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente contro
CALABRESI FRANCESCA;
– intimata avverso la sentenza n. 7555/2012 della CORTE D’APPELLO di
ROMA del 3/10/2012, depositata il 10/10/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES.

Data pubblicazione: 13/05/2015

FATTO E DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 9
aprile 2015, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente
relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
“Con sentenza del 10 ottobre 2012 la Corte di Appello di Roma

domanda proposta da Calabresi Francesca nei confronti della Mac
Due s.r.1., aveva dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro tra le
predette dal 23.4.2002 al 21.10.2006 ed annullato il licenziamento per
giustificato motivo oggettivo irrogato dalla Mac Due alla Calabresi
condannando la società al pagamento in favore della lavoratrice delle
differenze retributive per euro 50.125,34 ed alla sua riassunzione o, in
alternativa quest’ultima, al pagamento di quattro mensilità, oltre
accessori di legge.
Ad avviso della Corte territoriale il Tribunale, per quello che in questa
sede ancora rileva, aveva correttamente valutato le prove testimoniali
raccolte giungendo a ritenere che all’interno del supermercato gestito
dalla Mac Due la Calabresi non avesse svolto alcuna attività di
formazione e/o addestramento previsto dal progetto allegato al
contratto di tirocinio. Quanto al licenziamento, non era rimasta
provata né la dedotta diminuzione dell’attività né le altre allegazioni
della società in merito a riduzioni di posti di lavoro stante anche la
mancata produzione di libri matricola e libri paga aziendale. Inoltre,
riguardo al motivo di appello in cui veniva contestata la durata del
rapporto così come accertata dal primo giudice il motivo era
inammissibile perché generico anche in considerazione di quanto
riferito da un teste in merito ad interruzioni del rapporto concernenti,
verosimilmente, a periodi di maternità o di malattia della Calabresi
pacifici tra le parti.
Ric. 2013 n. 10190 sez. ML – ud. 09-04-2015
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confermava la decisione del primo giudice che, accogliendo in parte la

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la Mac Due s.r.l.
affidato a tre motivi.
La Calabresi è rimasta intimata.
Con il primo motivo di ricorso si deduce omessa pronuncia su motivi
di gravame con violazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere la Corte di

del rapporto di lavoro dal 24.10.2002 all’8.9.2004 ed alle mansioni
riconosciute alla lavoratrice nella sentenza di primo grado nonché
all’orario lavorativo dalla medesima svolto.
Con il secondo motivo viene dedotto “omesso esame di un punto
decisivo per la controversia oggetto di discussione tra le parti ex art.
360, co.1° n. 5 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115,
116 e 432 c.p.c., 2103 e 2697 c.c., art. 97 CCNL Commercio ex art.
360, co.1 n.3 e n.4 “.
Si assume che nell’atto di appello erano state evidenziate le carenze
della sentenza di primo grado per non avere la Calabrese fornito
alcuna prova di aver prestato la propria attività lavorativa senza
soluzione di continuità dal 2002 al 2006 né dello svolgimento di
mansioni superiori rispetto a quelle assegnatele o, in ogni caso,
rientranti nel 4 0 livello del CCNL Commercio del 2.7.2004. Ed infatti
la Corte di appello, mentre sulla durata del rapporto si era limitata a
valutare solo la deposizione di un teste, sulla questione relativa alle
mansioni superiori nulla aveva argomentato.
Il motivo prosegue con una analisi delle risultanze della prova
testimoniale espletata evidenziando, altresì, che l’impugnata sentenza
era viziata anche laddove non aveva riformato la decisione del primo
giudice nella parte in cui aveva riconosciuto il diritto della lavoratrice
allo straordinario.
Il primo motivo è infondato.
Ftic. 2013 n. 10190 sez. ML – ud. 09-04-2015
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appello statuito circa le censure svolte con riferimento alla interruzione

Dall’esame degli atti, consentito essendo stato denunciato un “error in
procedendo” emerge che la Corte di merito ha specificamente
esaminato le censure mosse nei primi tre motivi di gravame: in ordine
all’inquadramento, per aver il primo giudice erroneamente ritenuto
non valido il contratto di tirocinio stipulato tra le parti; in ordine al

economiche.
Vale evidenziare che solo nel ricorso per cassazione sono contenute
ulteriori precisazioni della censura contenuta nell’atto di appello sulla
durata del rapporto, censura che effettivamente era generica come
correttamente rilevato nella impugnata sentenza.
Inoltre, nulla di specifico è dato rinvenire nei motivi di appello circa le
mansioni ed il lavoro straordinario riconosciuti alla Calabresi dal
primo giudice.
Il secondo motivo è inammissibile nella parte in cui viene denunciato
l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di
discussione tra le parti alla luce del nuovo testo dell’art. 360, secondo
comma, n. 5, c.p.c. (come modificato dall’art. 54, comma 1° lett. b) d.l.
22 giugno 2012, n. 83, conv. con modifiche in legge 7 agosto 2012 n.
134) – applicabile ai ricorsi per cassazione contro provvedimenti
pubblicati dopo 11 settembre 2012 ai sensi dell’art. 54, comma 3 0 d.l.
cit.(quindi al caso in esame) – così come interpretato dalle Sezioni
Unite di questa Corte ( SU n. 8053 del 7 aprile 2014).
E’ stato precisato che a seguito della modifica dell’art. 360, comma 1°
n. 5 cit. il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di
legge e, cioè, dell’art. 132 c.p.c., che impone al giudice di indicare nella
sentenza “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della
decisione”.

Ric. 2013 n. 10190 sez. ML – ud. 09-04-2015
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licenziamento; in merito alla durata del rapporto ed alle richieste

Ed infatti perché violazione sussista si deve essere in presenza di un
vizio “così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto
dall’art. 132, n. 4, c.p.c. la nullità della sentenza per mancanza di
motivazione” fattispecie che si verifica quando la motivazione manchi
del tutto oppure formalmente esista come parte del documento, ma le

permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del

decisum.
Pertanto, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla
motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il
controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o
della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile
contraddittorietà e dell’illogicità manifesta).
Inoltre, il vizio può attenere solo alla questi° facti (in ordine alle questio

juris non è configurabile un vizio di motivazione) e deve essere testuale,
deve, cioè, attenere alla motivazione in sè, a prescindere dal confronto
con le risultanze processuali.
Quanto invece allo specifico vizio previsto dal nuovo testo dell’art.
360, n. 5, c.p.c., in cui è scomparso il termine motivazione, deve
trattarsi di un omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la
cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali che
abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo
(vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso
della controversia).
Le Sezioni unite hanno specificato che “la parte ricorrente dovrà
indicare — nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366, primo
comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c.- il fatto storico, il cui
esame sia stato omesso, il dato testuale (emergente dalla sentenza) o
extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui risulti l’esistenza,
Ric. 2013 n. 10190 sez. ML – ud. 09-04-2015
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argomentazioni siano svolte in modo “talmente contraddittorio da non

il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato
oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso”.
E’ evidente, quindi, che il motivo all’esame non presenti alcuno dei
requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 360, comma 1, n. 5 così
come novellato nella interpretazione fornitane dalle Sezioni unite di

in ordine alla questione relativa alla durata del rapporto che, invece,
nella impugnata sentenza risulta trattata nei termini sopra riportati.
Il mezzo è inammissibile anche nella parte in cui viene denunciata
violazione e falsa applicazione di legge in quanto nonostante tale
formale richiamo contenuto nell’intestazione del motivo, tutte le
censure prospettate si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione
della sentenza impugnata per errata o omessa valutazione del materiale
probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti.
Peraltro le argomentazioni contenute nel motivo all’esame sulle
mansioni sulla durata del rapporto e sullo straordinario risultano essere
del tutto assenti nelle censure mosse nel gravame alla decisione del
Tribunale, come già in precedenza evidenziato.
Per tali ragioni, si propone con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 cod.
proc. civ., n. 5, il rigetto del ricorso.”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta
relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in
Camera di consiglio.
Il Collegio condivide il contenuto della riportata relazione e, quindi,
rigetta il ricorso.
Non si provvede in ordine alle spese del presente giudizio essendo la
Calabresi rimasta intimata.
Al presente giudizio, introdotto con ricorso notificato in data
successiva al 31/1/2013, va applicata la legge di stabilità del 2013 (art.
Ric. 2013 n. 10190 sez. ML – ud. 09-04-2015
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questa Corte nella parte in cui è stata lamentata la omessa motivazione

1, comma 17 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 del 2012), che ha
integrato l’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, aggiungendovi il
comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche
incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o
improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore

impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà
atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al
periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del
deposito dello stesso”.
Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente
impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in
conformità.

P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso, nulla per le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.
13.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2015

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importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa

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