Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9768 del 13/05/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 9768 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: ARIENZO ROSA

ORDINANZA
sul ricorso 686-2013 proposto da:
RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA 01585570581, in persona
dell’Institore, – Società con socio unico soggetta all’attività di direzione
e coordinamento di Ferrovie dello Stato Italiane Spa elettivamente
domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio
dell’avvocato ENZO MORRICO, che la rappresenta e difende giusta
procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro
BUONOCORE FRANCESCO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA AVEZZANA 2/B, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO
CAMMAROTA, rappresentato e , difeso dall’avvocato ANTONIO
TRAPANESE giusta procura a margine del controricorso;
controrkorrente

Data pubblicazione: 13/05/2015

avverso la sentenza n. 4173/2012 della CORTE D’APPELLO di
ROMA del 9/5/2012, depositata il 18/06/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO.
FATTO E DIRITTO
aprile 2015, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente
relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
“Con sentenza del 18.6.2012, la Corte di Appello di Roma accoglieva
parzialmente il gravame proposto dalla società Rete Ferroviaria Italiana
avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato l’ opposizione di
quest’ultima avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da Buonocore
Francesco in relazione alle somme ed accessori spettanti a titolo di
retribuzioni maturate e non corrisposte nell’intervallo di tempo intercorso
tra la data in cui aveva esercitato l’opzione in favore dell’indennità
sostituiva della reintegra di cui all’art. 18, comma 5, I. 300170 ed il
momento in cui l’indennità suddetta era stata pagata.
La Corte del merito richiamava a fondamento della decisione la più
recente giurisprudenza di legittimità che aveva riconosciuto il danno
conseguente al ritardato pagamento dell’indennità sostitutiva della
reintegra in misura pari alle retribuzioni dovute fino al pagamento
dell’indennità. Riteneva, tuttavia, che fosse fondato il motivo di gravame
della società sulla ripetibilità degli accessori corrisposti per il ritardato
pagamento dell’indennità, con gli interessi legali dalla spiegata domanda
riconvenzionale.
Per la cassazione di tale decisione ricorre il la spa Rete Ferroviaria
Italiana affidando l’impugnazione ad unico motivo, cui resiste, con
controricorso, il Buonocore.
Viene denunziata, ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 18, commi 4 e 5, I. 300/70 (nella formulazione,
applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche apportate dall’art. 1
I. 92/2012), nonchè l’errata e/o illogica motivazione, ai sensi dell’art.
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La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 9

360, n. 5, cpc, in ordine alla qualificazione giuridica dlel’opzione ex art.
18 co. 5 cit., ed alle conseguenze del suo esercizio,.
Si rileva, richiamando orientamenti dottrinari relativi all’inquadramento
giuridico dell’obbligazione facoltativa ex latere creditoris, che la
fattispecie delineata dall’art. 18 co 5 Stat. Lav non sia sussumibile nello
schema dell’obbligazione alternativa con estinzione dell’obbligazione

più coerente sia la scelta di ritenere che con l’esercizio della facoltà di
scelta in favore dell’indennità si perfezioni il suo effetto modificativo del
rapporto obbligatorio, nel quale l’obbligo di reintegra viene meno,
definitivamente sostituito dall’obbligo di pagamento delle quindici
mensilità.
Si richiamano gli orientamenti giurisprudenziali di legittimità e si
conclude rilevando le palesi incongruenze logiche delta ricostruzione
della fattispecie fatta propria dalla prevalente giurisprudenza di
legittimità, che aveva valorizzato il principio di effettività delle tutele,
sollecitandosi l’eventuale sottoposizione della questione al vaglio delle
Sezioni Unite.
La questione all’esame riguarda specificamente le conseguenze
economiche connesse al ritardo da parte del datore di lavoro nel
pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di
lavoro ed impone di valutare preventivamente l’ulteriore questione
relativa alla possibilità, in base ad una corretta ricostruzione giuridica
dell’istituto, di ritenere o meno che, una volta effettuata l’opzione, il
rapporto di lavoro possa essere ricostituito, e di considerare se la prima
di esse debba essere risolta in stretta connessione con la seconda
ovvero anche in modo indipendente dalla stessa.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 81 del 1992, ha affermato
come più congrua l’interpretazione che ravvisa nella norma impugnata
(art. 18, comma 5 0 I. 300/70) un’obbligazione con facoltà alternativa dal
lato del creditore. Ha ritenuto corretta una ricostruzione in virtù della
quale, anziché la prestazione dovuta in via principale, cioè la
reintegrazione nel posto di lavoro, il creditore ha facoltà di pretendere
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solo al momento della esecuzione della prestazione secondaria e che

una prestazione diversa di natura pecuniaria, che è dovuta solo in
quanto dichiari di preferirla, e il cui adempimento produce, insieme con
l’estinzione dell’obbligazione di reintegrare il lavoratore nel posto, la
cessazione del rapporto di lavoro per sopravvenuta mancanza dello
scopo. Il rapporto non cessa per effetto della dichiarazione di scelta del
lavoratore, come si dovrebbe pensare se essa avesse la valenza di

pagamento dell’indennità sostitutiva (cfr. C. Cost cit.). Tuttavia, la
giurisprudenza di questa Corte, successiva a quella che inizialmente
aveva condiviso una tale impostazione (v. Cass. 6.3.2003 n. 3380,
Cass. 28.7.2003 n. 11609, Cass. 16.3.2009 n. 6342), ha ritenuto che
fossero da precisare o da modificare le “rationes” delle sentenze sopra
citate, da condividere nel “decisum”, ma affermando che “non è dubbio
che la scelta dell’indennità sostitutiva da parte del lavoratore sia
irrevocabile e che il rapporto di lavoro non possa perciò essere
ricostituito” (cfr., tra le altre, Cass 30.11.2009 n. 25233). Ed in tal
senso ha dichiarato di condividere anche precedente pronunzia della S.
C. del 17.2.2009 n. 3775, resa in fattispecie in cui il lavoratore, dopo
avere scelto l’indennità sostitutiva, pretendeva il ripristino del rapporto
fino al sessantacinquesimo anno di età. Ha, però, comunque riaffermato
il principio secondo il quale l’ammontare del risarcimento del danno da
ritardo deve essere pari alle retribuzioni perdute, fino a che il lavoratore
non venga effettivamente soddisfatto.
Nella pronunzia n. 25233/2009 richiamata, superandosi lo schema della
obbligazione con facoltà alternativa, ipotesi sulla cui configurabilità
erano sussistenti dubbi quando la scelta spettasse al creditore, è stato
ritenuto che nella facoltà di scelta operata dal lavoratore sia preferibile
ravvisare una dichiarazione di volontà negoziale del lavoratore, i cui
effetti sono sottoposti al termine dell’effettivo ricevimento dell’indennità.
E sul piano delle conseguenze, la giurisprudenza di questa Corte è
costante nell’affermare che, nel caso di scelta, da parte del lavoratore
illegittimamente licenziato, dell’indennità sostitutiva della reintegrazione
ai sensi dell’art. 18, comma 5, della legge cit., fino all’effettivo
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dichiarazione di recesso, bensì solo al momento e per effetto del

pagamento dell’indennità, il datore è obbligato a pagare le retribuzioni
globali di fatto (Cass. 6 marzo 2003 n. 3380, 28 luglio 2003 n. 11609, 16
marzo 2009 n. 6342 e, da ultimo Cass.13.10.2011 n. 21044, nonché
Cass. 21267/2011). Il sistema dell’art. 18 cit. – come ancora
puntualizzato da questa Corte (v. Cass. 16 novembre 2009 n. 24199) –

lavoratore a non subire, o a subire al minimo, i pregiudizi conseguenti al
licenziamento illegittimo, principio che la pronunzia n. 6342 del 2009
definisce “di effettività dei rimedi” e che impedisce al datore di lavoro di
tardare nel pagamento dell’indennità in questione assoggettandosi al
solo pagamento di rivalutazione e interessi ex art. 429 c.p.c..
Questo essendo il quadro giurisprudenziale delineatosi in merito alla
questione in esame, ritiene il Collegio che dopo l’esercizio del diritto di
opzione — diritto potestativo — la reintegrazione, in virtù della scelta
irrevocabilmente effettuata dal lavoratore, divenga inesigibile e che di
conseguenza, rispetto ad una prestazione inesigibile non sia
configurabile un inadempimento del datore che genera le conseguenze
risarcitorie ispirate alla continuità giuridica del vincolo. Come sopra
evidenziato, tale continuità è sicuramente da escludere ove la facoltà di
opzione sia stata irrevocabilmente espressa e ciò risulta coerente con la
previsione di una somma forfettizzata che cristallizza l’obbligo residuale
del datore di lavoro, non più riferito alla reintegrazione, obbligo,
quest’ultimo, rispetto al quale soltanto, proprio a conferma della diversità
strutturale delle situazioni, il datore di lavoro che contesti la richiesta
risarcitoria pervenutagli dal lavoratore è facultato, con l’ausilio di
presunzioni semplici, alla prova dell”aliunde perceptum” o dell’ “aliunde
percipiendum”.
Conclusioni queste che trovano un supporto decisivo in alcune
considerazioni di carattere generale.
Ed infatti, con riferimento alla peculiare disciplina in tema di
licenziamento illegittimo, ed in particolare a quella relativa alla indennità
sostitutiva in esame, non sembra consentito un approccio ermeneutico
che, in un ottica civilistica, si esaurisca nella scelta di assoggettare la
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si fonda sul principio di effettiva realizzazione dell’interesse del

suddetta indennità o alla normativa dell’obbligazione facoltativa o a
quella dell’obbligazione alternativa; istituti intorno ai quali, come è noto,
si è, in buona misura, incentrato il dibattito in dottrina ed in
giurisprudenza pure in relazione alle ricadute in termini risarcitori
derivanti dalla scelta della indennità ex art. 18, comma quinto, della

A tale riguardo, vanno in primo luogo e su un piano generale rimarcati —
in linea con quanto a più riprese sostenuto dalla dottrina
acontrattualistica del rapporto di lavoro — sia la non permeabilità agli
schemi civilistici di una rapporto — come quello in esame — che vede
coinvolta la “persona” di chi fornisce n’attività lavorativa, sia
l’ingiustificato irrigidimento in una normativa di generale portata, di
specifici istituti che, per essere funzionalizzati a soddisfare peculiari
esigenze riscontabili soltanto in ambito giuslavoristico, sono alla base di
norme speciali e nello stesso esaustive delle diverse problematiche
ricollegabili all’esercizio dei diritti scaturenti dal suddetto rapporto.
Ed infatti, una qualificazione dell’obbligazione scaturente dall’esercizio
del suddetto diritto di opzione in termini di obbligazione facoltativa o
alternativa, ai fini di una estensione automatica e completa di tutta la
relativa disciplina, fa sorgere qualche riserva in relazione ad una
normativa codicistica — di cui alla sezione Il del capo VII (artt. 1285 —
1291 c. c.) — che, per essere parametrata in via generale su obbligazioni
aventi portata patrimoniale, non si presta ad essere automaticamente ed
integralmente estesa ad un rapporto avente ad oggetto anche
obbligazioni di natura valoriale. Per di più una soluzione diversa da
quella in questa sede patrocinata finisce per dimostrarsi priva di effettiva
utilità, dal momento che, per il chiaro tenore della disposizione di cui al
comma 5 0 dell’art. 18 citato, la sola interpretazione letterale fornisce la
soluzione per tutte le ricadute riscontrabili nella realtà fattuale a seguito
dell’effettuata opzione. Al riguardo non può negarsi che con riferimento
al lavoratore cui si è riconosciuto il diritto alla reintegra — e che dopo tale
riconoscimento ha dichiarato di preferire l’indennità sostitutiva — la
regolamentazione statutaria contiene, sia per quanto attiene alla fase
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legge 20 maggio 1970 n. 300.

precedente, che a quella successiva all’esercizio del diritto di opzione,
una regolamentazione completa che può ritenersi — seppure con una
epitome — articolata nei seguenti momenti : per il tempo antecedente
all’esercizio del diritto di opzione il risarcimento dei danni a favore del
lavoratore illegittimamente licenziato va liquidato alla stregua delle
regole dettate dal precedente comma 4° dell’art. 18; l’esercizio del diritto

finale del comma 5° della norma statutaria — la risoluzione del rapporto
lavorativo; per il periodo successivo a tale momento il mancato
pagamento della indennità sostitutiva non è risarcibile alla stregua delle
regole di cui al comma 4° dell’art. 18, non più evocabili in ragione della
verificatasi risoluzione del rapporto, per cui costituiscono corollari
dell’estinzione del rapporto lavorativo l’applicazione in materia
risarcitoria dei generali principi codicistici dettati in tema di
inadempimento delle obbligazioni pecuniarie e l’indifferenza — ai fini
parametrici del risarcimento del danno — della normativa sulla
retribuzione soprattutto se contenuta nel contratto stipulato
successivamente alla risoluzione del rapporto; e ciò in linea con quanto
statuito da questa Corte di cassazione con la già citata sentenza n.
3775 del 2009.
Consegue, pertanto, da quanto sinora detto che, una volta esercitata
l’opzione, il rapporto di lavoro non può essere più ricostituito sicchè, non
potendo configurarsi una lesione della posizione del lavoratore per
effetto della perdurante cessazione del vincolo, lo speciale rimedio
risarcitorio disciplinato dal comma quarto dell’art. 18 della legge n. 300
del 1970 non può trovare applicazione in ragione della sopravvenuta
impossibilità di ricostituzione del rapporto lavorativo, impossibilità che
determina il conseguente venir meno di ogni obbligo retributivo da parte
del datore di lavoro.
Il principio di diritto enunciato nella pronunzia di questa Corte 20.9.2012
n. 15869 è quello secondo cui, per il periodo antecedente all’esercizio
del diritto di opzione, il risarcimento dei danni va liquidato alla stregua
delle regole dettate dal precedente comma 4° dell’art. 18 e l’esercizio
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potestativo di opzione porta — allo spirare dei termini di cui alla parte

del diritto di opzione determina la risoluzione del rapporto lavorativo; per
il periodo successivo a tale momento, il mancato pagamento della
indennità sostitutiva non è risarcibile alla stregua delle regole di cui al
comma 4 0 dell’art. 18, dovendo in seguito alla risoluzione definitiva del
rapporto lavorativo trovare applicazione i principi codicistici dettati in

indifferenza — ai fini parametrici del risarcimento del danno — della
retribuzione globale in precedenza riconosciuta al lavoratore (cfr. Cass
cit.). L’enunciato principio ha avuto il conforto della recente decisione
delle S.U. , che risolvendo il contrasto delineatosi in relazione a difformi
orientamenti, con pronuncia 27.8.2014 n. 18353 ha ribadito che “in caso
di licenziamento illegittimo, ove il lavoratore, nel regime della cosiddetta
tutela reale (nella specie, quello, applicabile “ratione temporis”, previsto
dall’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel testo anteriore alle
modifiche introdotte con la legge 28 giugno 2012, n. 92), opti per
l’indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà
prevista dall’art. 18, quinto comma, cit., il rapporto di lavoro, con la
comunicazione al datore di lavoro di tale scelta, si estingue senza che
debba intervenire il pagamento dell’indennità stessa e senza che
permanga – per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa non
è dovuta dal lavoratore né può essere pretesa dal datore di lavoro alcun obbligo retributivo”, con la conseguenza che “l’obbligo avente ad
oggetto il pagamento della suddetta indennità è soggetto alla disciplina
della “mora debendi” in caso di inadempimento, o ritardo
nell’adempimento, delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, con
applicazione dell’art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., salva la prova, di
cui è onerato il lavoratore, di un danno ulteriore”. In tale pronunzia si è
dato risalto anche alla valenza confermativa di tale opzione
interpretativa rappresentata dalla disposizione del terzo comma dell’art.
18 novellato dalla L. n. 92 del 2012.
Per tutto quanto sopra considerato, si propone, ex art. 375 cod. proc.
civ., n. 5, in accoglimento del ricorso, la cassazione della impugnata
pronunzia, con decisione nel merito (non essendo necessari ulteriori
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tema di inadempimento delle obbligazioni pecuniarie, con la assoluta

accertamenti) nel senso dell’accoglimento dell’opposizione al decreto
ingiuntivo, con revoca dello stesso”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta
relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in
Camera di consiglio.

conclusioni della riportata relazione e concorda, pertanto,
sull’accoglimento del ricorso, con conseguente cassazione della
sentenza impugnata. Non essendo poi necessari ulteriori accertamenti
di fatto, la causa può essere decisa nel merito nel senso
dell’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo, con
conseguente revoca del provvedimento monitorio opposto. A ciò
consegue che non sono ripetibili dalla società gli accessori corrisposti
per il ritardato pagamento dell’indennità.
Le spese dell’intero processo possono essere compensate
integralmente in ragione del contrasto tra orientamenti giurisprudenziali,
cui è stato posto termine con la recente richiamata decisione della
Cassazione a s. u.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo
nel merito, in accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo, revoca il
provvedimento monitorio.
Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, il 9.4.2015

Il Collegio ritiene di condividere integralmente il contenuto e le

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