Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9766 del 23/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 23/04/2010, (ud. 09/02/2010, dep. 23/04/2010), n.9766

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19114-2007 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO PER L’AREA DI SVILUPPO INDUSTRIALE DI CASERTA in persona

del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

ANGELICO 35 presso lo studio dell’Avvocato ACCARDO FABIO,

rappresentato e difeso dall’Avvocato GIORDANO VINCENZO giusta mandato

a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 162/2006 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di NAPOLI, depositata il 16/05/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/02/2010 dal Consigliere Dott. MARIAIDA PERSICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato URBANI NERI ALESSIA, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO WLADIMIRO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Consorzio per l’area dello sviluppo industriale di Caserta ricorreva avverso l’avviso di rettifica con il quale l’Agenzia delle Entrate di Aversa aveva rettificato il valore iniziale, dichiarato ai fini INVIM, con riferimento al rogito per notar Pelosi reg. il 17.1.1994, atto con il quale il Consorzio aveva venduto ad una società un terreno dallo stesso espropriato in epoca antecedente;

sosteneva, tra l’altro, che ai sensi del D.P.R. n. 959 del 1977, art. 1 l’INVIM non era applicabile ai trasferimenti immobiliari conseguenti ad espropriazione per pubblica utilità.

La C.T.P. di Caserta accoglieva il ricorso. La relativa sentenza veniva poi confermata dalla C.T.R. di Napoli, investita dall’impugnazione dell’Ufficio, che, con la sentenza di cui in epigrafe, ha ritenuto che – pur essendo l’atto in questione un atto di compravendita e non un decreto di esproprio e/o una cessione volontaria – non possa ritenersi l’applicabilità dell’INVIM, avendo la società avente causa acquisito l’immobile, sia pure indirettamente, attraverso la procedura ablativa.

Contro tale sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione con duplice motivo. Il contribuente resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVAZIONE

Il ricorrente deduce, con il primo motivo, la violazione dell’art. 14 preleggi e del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 2, comma 5 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3): assume che tale ultima norma, di stretta interpretazione, dispone la non applicazione dell’INVIM soltanto al trasferimento conseguente all’atto autoritativo dell’esproprio e/o all’atto di trasferimento volontario, ma conseguente all’espropriazione per pubblica utilità; non può quindi trovare applicazione nell’ipotesi di trasferimento, con atto negoziale, posto in essere dall’espropriante dopo la procedura di esproprio. Lamenta poi, con il secondo motivo, la violazione dell’art. 2667 c.c. – l’omessa, illogica, insufficiente motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5) avendo l’impugnata sentenza affermato in modo apodittico l’esistenza di un legame tra la cessione in questione ed il decreto di esproprio, risalente a circa 22 anni prima, titolo d’acquisto dell’immobile per il Consorzio.

Il controricorrente a sua volta rileva come i Consorzi per le aree di sviluppo industriale sono enti pubblici che, nell’interesse pubblico, provvedono alla espropriazione delle aree rientrati in appositi piani si sviluppo, aree che vengono successivamente trasferite ai soggetti che intendono avviare un’iniziativa a carattere industriale. In virtù di ciò ritiene possibile un’interpretazione dell’art. 2, u.c., citato Decreto che estenda la non applicazione dell’INVIM anche agli atti negoziali successivi all’espropriazione per pubblica utilità. Deduce inoltre l’inammissibilità del gravame proposto per essere stata l’eccezione relativa all’inapplicabilità dell’esenzione INVIM formulata per la prima volta in appello.

Va preliminarmente dichiarata l’ammissibilità del ricorso de quo, ricavandosi dall’impugnata sentenza che, contrariamente a quanto sostenuto dal controricorrente, già il giudice di primo grado aveva esercitato la cognizione sul motivo del ricorso – proposto dal ricorrente Consorzio – relativo all’applicabilità alla fattispecie del D.P.R. 26 ottobre 1972, art. 2, u.c..

Il ricorso, i cui motivi possono essere trattati congiuntamente stante la loro connessione, è fondato.

Va innanzitutto ribadito che la natura eccezionale riconosciuta, per costante giurisprudenza (Cass. nn. 9256/2005, 5552/2005, 10789/2004, 9370/2002, 2534/2002, 1613/2002), alle norme recanti esenzione da tributi o agevolazioni fiscali, implica l’inevitabile corollario dell’interpretazione rigorosa di esse, ai sensi dell’art. 14 disp. gen., premesse al codice civile (preleggi).

E’ quindi necessario richiamare la previsione testuale del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 2, u.c. (comma aggiunto dal D.P.R. 13 dicembre 1977, n. 959, art. 1) che è così formulata: “L’imposta non si applica all’atto del trasferimento a seguito di espropriazione per pubblica utilità o della cessione all’espropriante in caso di procedura espropriativa per pubblica utilità.” Con tale previsione il legislatore ha introdotto una deroga rispetto alla regola generale dell’imposizione dell’INVIM, formulata nell’art. 1 e nel medesimo art. 2, commi 1 e 2, citato D.P.R.; essa costituisce quindi norma di stretta interpretazione, che come tale, ai sensi dell’art. 14 preleggi, non si applica oltre i casi e i tempi espressamente considerati.

Questo non esclude che anche le norme eccezionali possono essere suscettibili di interpretazione estensiva, ma quest’ultima presuppone che, secondo la volontà del legislatore, i termini utilizzati da quest’ultimo abbiano, in realtà, un significato più ampio di quello proprio delle parole. Ma, per quanto qui ci occupa, il disposto del comma in esame appare riferibile a due sole ipotesi: la prima è quella in cui intervenga il provvedimento ablativo vero e proprio; la seconda – come questa Corte ha già affermato (sent. n. 18269 del 20004, Rv. 576978) si riferisce alle ipotesi in cui il trasferimento di proprietà consegua alla cessione volontaria, ma pur sempre nel contesto di un’espropriazione già programmata, ancorchè non pervenuta alla fase conclusiva del provvedimento ablativo, dal futuro, ma sicuro espropriato all’espropriante.

La sentenza impugnata, pur affermando che “il trasferimento del terreno da parte del consorzio alla società Storace è intervenuto attraverso un atto di compravendita, e quindi in assenza di un atto di esproprio e/o di una cessione volontaria”, motiva la scelta dell’esenzione dall’INVIM assumendo: “è da rilevare che detto trasferimento è comunque intervenuto nell’ambito di una più vasta procedura di esproprio che vede il Consorzio quale soggetto attivo e propulsivo tra il procedente proprietario del bene al quale il Consorzio espropriò il terreno e la società Storace cui il Consorzio assegnò il terreno medesimo”.

Così facendo incorre in un duplice vizio.

Da una parte applica estensivamente una norma che, come sopra detto, reca un’esenzione dal tributo dell’INVIM (D.P.R. n. 643 del 1972, art. 2, comma 5) e che, in quanto tale, è norma eccezionale di stretta interpretazione ai sensi dell’art. 14 preleggi. Nel caso di specie nulla autorizza a ritenere che il legislatore con la locuzione di “cessione all’espropriante” abbia inteso riferirsi non soltanto all’ente pubblico che procede all’espropriazione, ma anche al privato destinatario finale del bene espropriato, (in tal senso Cass. N. 5260 del 2004, Rv 571176). Invero il legislatore del 1977 ha ritenuto che i trasferimenti autoritativi a seguito di espropriazione non dovessero essere sottoposti ad imposizione, e che anzi il beneficio dovesse essere esteso, ravvisandosi l’identica ratio, ai trasferimenti effettuati volontariamente dall’espropriato in favore dell’espropriante, in particolare alle cessione-bonarie espressamente previste dalla normativa speciale in materia, (L. n. 865 del 1971, art. 12).

Ma tale non può essere considerata la vendita effettuata non in favore dell’espropriante, bensì da quest’ultimo ad un terzo destinato ad essere a sua volta cessionario dell’espropriante. Tale fattispecie presenta alcune analogie, ma anche significative differenze, rispetto a quella in favore dell’espropriante. Si tratta, innanzi tutto, di una vendita effettuata nel mercato libero (anche se la volontà del venditore può essere condizionata dal fatto di essere assoggettato ai limiti di destinazione); ancora si tratta di una cessione che trova, per quanto attiene al privato acquirente, la sua giustificazione non nell’interesse pubblico bensì in quello privato (cioè la legittima ricerca di un profitto). Tanto da una parte spiega l’adozione di una disciplina differente, dall’altra non giustifica il ricorso ad un’interpretazione estensiva della norma in esame.

D’altra parte, e tanto costituisce ulteriore vizio, l’impugnata sentenza non motiva adeguatamente la scelta effettuata, limitandosi ad assumere – come sopra riportato – che detto trasferimento è comunque intervenuto “nell’ambito di una più vasta procedura di esproprio”, ciò senza dar conto della fonte normativa (vi è solo un generico richiamo all'”iniquità fiscale”) e/o del percorso logico giuridico seguito per collegare la compravendita in esame al decreto di esproprio risalente a circa 22 anni prima e, soprattutto, per giungere ad affermare l’esistenza della ratio legis sottesa all’agevolazione fiscale, prevista nella forma della non applicazione dall’INVIM in questione.

In conseguenza del principio così affermato il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.

Le spese vengono integralmente compensate tenuto conto della novità del quesito posto.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente. Compensa integralmente le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella pubblica udienza, il 9 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2010

 

 

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