Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 976 del 16/01/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 976 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: DI PALMA SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso 27193-2011 proposto da:
PENSATO ANTONINO (PNSNNN39E25A181S) in qualità di
titolare della ditta individuale omonima,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ARCHIMEDE 143,
presso lo studio dell’avvocato LUIGI PATRICELLI,
rappresentato e difeso dall’avvocato DEFILIPPI
2012

CLAUDIO, giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –

8818
contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

Data pubblicazione: 16/01/2013

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrente

avverso il decreto nel procedimento R.G. 698/08 della
CORTE D’APPELLO di ANCONA del 15.6.2010, depositato il

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/12/2012 dal Consigliere Relatore Dott.
SALVATORE DI PALMA.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del
Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il rigetto del
ricorso.

16/11/2010;

Equa riparazione

R.g. n. 27193/11 — U. P. 4 dicembre 2012

Ritenuto che Antonino Pensato, quale titolare dell’omonima impresa individuale, con ricorso
del 7 novembre 2011, ha impugnato per cassazione — deducendo due motivi di censura, illustrati
con memoria —, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di
Ancona depositato in data 16 novembre 2010, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul
ricorso del Pensato — vòlto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi
dell’art. 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 —, in contumacia del Ministro della giustizia,
ha condannato il resistente a pagare al ricorrente la somma di € 12.100,00, a titolo di equa
riparazione per danno non patrimoniale, compensando per la metà le spese di lite;
che resiste, con controricorso, il Ministro della giustizia;
che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale — richiesto per
l’irragionevole durata del processo presupposto — proposta con ricorso del 17 novembre 2008, era
fondata sui seguenti fatti: a) il Pensato, quale titolare dell’omonima impresa individuale, era stato
dichiarato fallito con sentenza del Tribunale di Parma del 14 aprile 1994; b) il Tribunale adito
aveva chiuso la procedura fallimentare in data 20 maggio 2009;
che la Corte d’Appello di Ancona, con il suddetto decreto impugnato: a) ha determinato la
durata complessiva del processo fallimentare presuppostoin quindici anni ed un mese, ha
determinato in cinque anni la sua durata ragionevole; b) ha determinato il periodo eccedente la
ragionevole durata in quello eccedente i predetti cinque anni, liquidando l’indennizzo di €
12.100,00, sulla base di un parametro annuo di € 1.200,00; e) ha respinto la domanda di equa
riparazione per danno esistenziale, in quanto tale danno non può essere oggetto di autonoma
liquidazione; d) ha compensato per la metà le spese di lite in considerazione del parziale
accoglimento della domanda;
che il Collegio, all’esito della odierna Camera di consiglio, ha deliberato di adottare la motivazione
semplificata.

Considerato che, con i motivi di censura, il ricorrente critica il decreto impugnato, anche sotto
il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus hanno erroneamente liquidato
l’indennizzo, applicando peraltro parametri inferiori a quelli della Corte EDU, ed hanno
illegittimamente compensato per la metà le spese di lite;
che le censure sono infondate;
che, alla luce della più recente giurisprudenza di questa Corte in ordine alla durata delle
procedure fallimentari, questa, secondo lo standard ricavabile dalle pronunce della Corte europea
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, non dovrebbe superare la durata complessiva di
sette anni (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 22408 e 8047 del 2010), ciò in quanto, tenendo conto
della peculiarità del procedimento fallimentare, il termine di tre anni, che può ritenersi normale in
procedura di media complessità, è stato ritenuto elevabile tino a sette anni allorquando il
procedimento si presenti particolarmente complesso (cfr. la sentenza n. 20549 del 2009), ipotesi
questa che è ravvisabile in presenza di un numero particolarmente elevato dei creditori, di una

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Sentenza

che la giurisprudenza di questa Corte ha ulteriormente precisato che: a) la complessità della
procedura fallimentare, la cui durata sia stata condizionata da altro procedimento, è rilevante ai fini
della liquidazione dell’indennizzo, in quanto al tempo ordinario della procedura fallimentare (tre
anni) deve aggiungersi quello relativo all’altro procedimento (nella specie, è stato cassato il decreto
impugnato, che aveva rigettato la domanda, ed è stato ritenuto, nel merito, che, in mancanza
dell’acquisizione di specifici elementi di valutazione al riguardo, la durata di un procedimento
fallimentare dovesse essere ragionevolmente contenuta in sette anni, tenuto conto del tempo
occorso per il procedimento di insinuazione del fallimento al passivo di un altro fallimento, che
ragionevolmente non poteva ritenersi superiore a tre anni, parzialmente sovrapponibili alla
procedura concorsuale in senso stretto: ordinanza n. 5316 del 2011); b) stabilendo l’art. 2, comma
2, della legge 24 marzo 2001, n. 89, stabilisce che, nell’accertare la violazione, il giudice deve
considerare la complessità del caso attraverso un esame analitico e non con la mera enunciazione
dei vari sub-procedimenti o di altre evenienze processuali, è necessario accertare analiticamente
quale sia stato il tempo impiegato per portare a conclusione ciascuno dei detti sub-procedimenti, se
— in considerazione della obiettiva difficoltà ed alla mole dei necessari incombenti — la durata di
ciascun sub-procedimento sia stata ragionevole o meno e, nella ipotesi di durata da ritenersi
eccessiva, quanta parte sia imputabile al comportamento delle parti e quanta al comportamento del
giudice o di altri organi della procedura o a disfunzioni dell’apparato giudiziario (cfr. la sentenza n.
950 del 2011);
che, tuttavia, i Giudici a quibus — con affermazione motivata e non censurata — hanno
determinato in cinque anni la durata ragionevole della procedura fallimentare de qua, sicché,
detratti cinque anni dalla durata complessiva di quindici anni ed un mese circa, la protrazione
irragionevole della stessa procedura ammonta a dieci anni e un mese;
che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, i Giudici a quibus hanno favorevolmente
applicato il costante orientamento di questa Corte che — fermo restando il periodo di ragionevole
durata di tre anni per il processo di primo grado e di due anni per il processo d’appello –,
sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui all’art. 2 della legge
n. 89 del 2001, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di € 750,00 per ciascuno dei
primi tre anni di irragionevole durata e di € 1.000,00 per ciascuno degli anni successivi,
orientamento che, ove invece rigorosamente applicato, avrebbe condotto alla liquidazione della
minor somma di € 9.335,00 (per dieci anni e un mese di irragionevole durata), a fronte di quella
riconosciuta pari ad € 12.100,00, sulla base di un parametro di € 1.200,00 per ciascun anno di durata
irragionevole;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel
dispositivo;
che, a tal fine, rileva invece il D.m. (Giustizia) 20 luglio 2012, n. 140, giacché il suo art. 41
prevede che «Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla
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particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni societarie, beni
indivisi, ecc.), della proliferazione di giudizi connessi alla procedura ma autonomi e quindi a loro
volta di durata vincolata alla complessità del caso, della pluralità di procedure concorsuali
interdipendenti;

che pertanto, tenuto conto della tabella A — Avvocati, richiamata dall’art. 11 del citato D. m. n.
140 del 2012, del valore della controversia (pari ad C 12.100,00) e, quindi, dello scaglione di
riferimento fino a euro 25.000,00 per i giudizi dinanzi alla Corte di cassazione, nonché applicata (in
ragione della minima complessità della controversia, alla stregua della ponderazione richiesta
dall’art. 4 dello stesso D. m.) la diminuzione massima indicata all’interno di detto scaglione per
ciascuna fase e ridotto il compenso così risultante del 50% ai sensi dell’art. 9 del medesimo d.m. n.
140 del 2012, trattandosi di causa avente ad oggetto l’indennizzo da irragionevole durata del
processo, spetta ai ricorrenti la somma di euro 180,00 per la fase di studio, curo 112,50 per la fase
introduttiva, ed euro 213,25 per la fase decisoria e così complessivamente la somma di euro 505,75.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in complessivi C 505,75, oltre alle
spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, il 4 dicembre 2012
Il co igliere relatore ed estensore

sua entrata in vigore» (cioè al 23 agosto 2012, giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta
Ufficiale, come stabilito dall’art. 42 dello stesso decreto), armonizzandosi con la norma, di rango
legislativo, di cui all’art. 9, comma 3, del dl. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, secondo la quale le «tariffe
vigenti alla data di entrata in vigore del presente continuano ad applicarsi, limitatamente alla
liquidazione delle spese giudiziali, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al
comma 2», cioè, segnatamente, del decreto del Ministero della giustizia che, nel caso di
liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, stabilisce i parametri per la determinazione del
compenso del professionista, ciò in quanto lo stesso art. 9 del citato dl. n. I del 2012 ha abrogato
tutte «le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico» (comma 1), nonché «le
disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alla tariffe
di cui al comma 1» (comma 5);

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